Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 07-07-2011) 28-09-2011, n. 35250

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. C.R. propone ricorso avverso l’ordinanza del 29 novembre 2010 del Tribunale del riesame di Bari che ha respinto l’impugnazione della misura della custodia cautelare in carcere disposta nei suoi confronti.

Si ritiene l’assenza di gravi indizi di colpevolezza sulla collocazione del ricorrente nella struttura organizzativa della società illecita, che costituisce l’ipotesi di accusa. Si rileva in fatto che gli unici rapporti da questi tenuti con le persone facenti parte del sodalizio risultano sporadici, e giustificati dal rapporto di parentela, essendo uno degli interlocutori cognato dell’odierno ricorrente, e si valutano le risultanze delle registrazioni telefoniche per escludere la presenza di tracce di accordo illecito.

Si assume che, in ogni caso, le conversazioni esaminate siano generiche e limitate numericamente, non idonee a sorreggere l’ipotesi associativa finalizzata allo spaccio di stupefacenti.

Sottoponendo ad analisi le dichiarazioni dei collaboranti si conclude che non vi sono elementi per confermare la partecipazione dell’esponente ad alcuno dei due clan oggetto delle indagini.

Richiamati principi generali in materia associativa, si assume che da alcuna delle conversazioni intercettate è dato ricavare un riferimento all’odierno ricorrente come persona che deve ricevere un compenso, in vista dell’attività svolta, o che partecipa al riparto di utilità, concludendo quindi per l’insussistenza degli indizi di concorso nell’illecito contestato.

Si contesta inoltre la sussistenza dell’aggravante di cui alla L. 12 luglio 1991, n. 203, art. 7. 2. Si esclude con il secondo motivo la presenza di esigenze cautelari attuali e concrete, richiamando la rilevanza del decorso del tempo al fine di accertare la permanenza di tali esigenze.

Analogamente si nega la presenza di concreto pericolo di fuga, considerato altresì lo stato di quasi incensuratezza, o del rischio concreto ed attuale di reiterazione dell’illecito, poichè l’interessato svolge regolare attività lavorativa, come documentato nel corso del procedimento incidentale, e non risulta sottoposto a condanne penali definitive o raggiunto da carichi pendenti per procedimenti successivamente instaurati.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile, poichè l’ordinanza ricostruisce e motiva la costanza dell’attività illecita svolta nel territorio di riferimento dal ricorrente, il passaggio da una compagine associativa ad un’altra che operava anch’essa tramite il controllo capillare di un predeterminato territorio, in correlazione al mutamento delle rapporto sentimentale della sua parente, svolgendo la medesima attività merceologica con componenti dei diversi gruppi contrapposti, in immediata successione temporale.

Tale costanza nell’attività, nonchè la connessione diretta con elementi di spicco delle due compagini, riferita non solo dai collaboranti, ma riscontrata dalle conversazioni telefoniche intercettate, nonchè l’assenza di accordi specifici sulle singole cessioni, corroborano la contestazione associativa.

In relazione a tale ipotesi delittuosa, ulteriore e significativo elemento di riscontro risulta valorizzato nell’ordinanza, ove, richiamandosi una conversazione intercorsa tra l’odierno ricorrente ed il coimputato Ch.Vi., si evidenzia la piena consapevolezza nel primo della presenza del gruppo e della sua gerarchia, invitandosi in essa il C. a proporre la soluzione dei contrasti insorti nell’attività con tale V., identificato dalle indagini come luogotenente del gruppo.

Risultano poi pienamente valorizzati nel provvedimento i numerosi contatti diretti del ricorrente con F.A. e V. M., elementi di spicco della compagine, cui è contestata anche la parallela partecipazione all’associazione di stampo mafioso, che non possono essere giustificati, come prospettato in ricorso, solo con il vincolo di parentela di C. con il primo, stante l’oggetto delle conversazioni e la piena iscrizione del loro contenuto, nelle finalità operative del gruppo.

Gli elementi di fatto richiamati nell’ordinanza consentono di confermare l’accertamento sull’effettiva possibilità di accesso del ricorrente alla piena conoscenza delle modalità organizzative elemento che, unitamente alla costante riferibilità dei contatti con i singoli partecipi all’attività di smercio, da conto della consapevolezza della presenza del vincolo associativo. Per contro, proprio la consapevolezza del gruppo e delle sue modalità organizzative ed operative, dimostra anche della correttezza della contestazione dell’aggravante di cui alla L. 12 luglio 1991, n. 203, art. 7 riscontrata, quanto alla sua esistenza oggettiva, dalla piena coincidenza personale tra l’associazione mafiosa di cui ad altra imputazione del medesimo procedimento, e quella destinata allo spaccio di sostanza stupefacente che si muove nel medesimo ambito territoriale.

La permanenza dell’attività di spaccio ed il suo collegamento con un programma economico che trascende la singola cessione è dimostrata dall’immediatezza dei contatti, che rimandano a consuetudini ed accordi pregressi, cui si rapportano le singole attività esecutive, oltre che dal costante riferimento emergente dalle conversazioni a rapporti di debito credito in continuo aggiornamento.

2. La natura associativa della contestazione della quale, per quanto detto, si ravvisano gi estremi, unitamente alla pervicacia dimostrata nel collegamento mantenuto in successione temporale con due gruppi criminali, giustificano ulteriormente nel caso concreto l’emissione della custodia cautelare in carcere, anche a prescindere dalla presunzione legale di congruità della sola misura custodiale massima di cui all’art. 275 c.p. vigente, comma 3 per l’imputazione contestata; tali circostanze confermano la validità dell’impianto motivazionale della pronuncia impugnata, e nell’assenza dei vizi lamentati, anche sotto tale profilo.

3. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma indicata in dispositivo, in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 in favore della cassa delle ammende.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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