T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 19-10-2011, n. 1429 Opere pubbliche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La ricorrente è proprietaria di terreni (un compendio di oltre 170.000 mq costituito dai mappali n. 122, 124, 125, 127, 129 fg. 38, con vocazione estrattiva e conseguente destinazione "D3- Aree per attività estrattive) interessati dalla realizzazione del nuovo collegamento autostradale tra Brescia e Milano (Bre.Be.Mi.) ed in ragione di ciò è stata destinataria della comunicazione relativa all’intervenuta approvazione del progetto definitivo dell’opera, anche ai fini della dichiarazione di pubblica utilità.

Alla richiesta di visionare la documentazione che ne è conseguita, il concessionario ha dato riscontro fissando la prima data utile al 2 dicembre 2009 e, quindi, successivamente alla scadenza del termine dell’impugnazione, che è stata, invece, tempestivamente proposta con ricorso sub R.G. 1167/2009.

Con tale ricorso è stata censurata la legittimità del progetto definito, della connessa dichiarazione di pubblica utilità, nonché delle relative comunicazioni relative al rigetto delle osservazioni, deducendo le seguenti censure:

A) quanto alla compressione della partecipazione:

1. violazione della legge n. 241/90 e dell’art. 166 del d. lgs. 163/2006, nonché dei principi di ragionevolezza, proporzionalità e giusto procedimento, in quanto l’appuntamento per l’esame della documentazione costituente il progetto definitivo è stato concesso solo per una data successiva alla scadenza dei termini per l’eventuale impugnazione del provvedimento di approvazione del progetto;

2. violazione della legge n. 241/90 e dell’art. 166 del d. lgs. 163/2006, nonché dei principi di ragionevolezza, proporzionalità e giusto procedimento, in quanto dalla documentazione prodotta non sarebbe stato possibile evincere la competenza dei singoli soggetti coinvolti nel procedimento espropriativo, come confermato dal fatto che la stessa CAL ha precisato che gli accordi per regolare i reciproci impegni attuativi per lo sviluppo delle fasi espropriative e costruttive sarebbero stati adottati in fase esecutiva. Tale incertezza, riverberantesi sulla sorte che subiranno i terreni espropriati, avrebbe inciso sulla possibilità partecipativa della ricorrente;

3. violazione del d. lgs. 163/2006 e dell’art. 76 Cost., nonché dei principi di ragionevolezza, proporzionalità e giusto procedimento, laddove la pubblicazione dell’avviso di avvio del procedimento per la dichiarazione di pubblica utilità è avvenuto con il ricorso alla mera pubblicazione dei giornali, così come previsto per la partecipazione alla procedura di V.I.A. ex d.p.c.m. 377/88.

4. violazione della legge n. 241/90 e dell’art. 97 della Costituzione, nonché dei principi di ragionevolezza, proporzionalità e giusto procedimento, in ragione della mancata motivazione dell’uso dello strumento della pubblicazione sui quotidiani per effettuare la comunicazione dell’avvio del procedimento;

B) per quanto attiene al progetto e all’ambito territoriale di proprietà della ricorrente:

5. irragionevolezza ed illogicità delle previsioni progettuali in quanto andrebbero ad intaccare una realtà "che andrebbe all’opposto preservata ad ogni costo" (così nel ricorso, primo periodo di pag. 15) in quanto impedirebbero alla ricorrente di utilizzare il compendio di sua proprietà, attuandone le previsioni urbanistiche e di sfruttamento a fini estrattivi, e vanificherebbero in tal modo i consistenti investimenti effettuati per avviare l’attività;

C) sul progetto in generale:

6. violazione delle disposizioni relative all’impatto acustico dell’opera di cui all’art. 8 della legge n. 447/95;

7. violazione della legge n. 241/9 e dell’art. 97 Cost., nonché del DPR 327/01 e del d. lgs. 163/06, in ragione del rinvio alla fase della progettazione esecutiva dell’esame degli eventuali "adeguamenti tecnici progettuali per contenere le aree in occupazione nei limiti strettamente necessari e funzionali alla realizzazione del progetto definitivo" richiesti da parte ricorrente.

Si sono costituite in giudizio tutte le parti intimate ed in vista della pubblica udienza hanno depositato memoria sia il CIPE, che la società B..

La difesa erariale ha eccepito, in primo luogo, l’estraneità al giudizio in parola del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e dell’A. s.p.a., atteso che nessun atto riconducibile a tali soggetti è stato preso in considerazione, né tantomeno impugnato.

Per quanto attiene ai primi quattro motivi di ricorso, tutti attinenti alla pretesa lesione del diritto alla partecipazione al procedimento nella fase successiva all’approvazione del progetto da parte del CIPE, la difesa di tale comitato evidenzia come, anche qualora la dedotta circostanza fosse dimostrata, ciò non potrebbe incidere sulla legittimità del provvedimento a monte e cioè del progetto così come approvato dal CIPE.

Le censure da 5 a 7, attinenti al contenuto del provvedimento (e cioè dell’approvazione del progetto da parte del CIPE), sono state genericamente formulate in sede di proposizione del ricorso, a causa della mancata piena conoscenza del progetto approvato, ma non sono state poi successivamente specificate con l’unico strumento possibile – e cioè quello del ricorso per motivi aggiunti – con la conseguente inammissibilità delle stesse per genericità.

Oltre ad eccepire tale profilo in rito, la difesa erariale ha però tentato anche una replica ai motivi dedotti, definiti talmente generici da essere impalpabili, evidenziando come ogni procedimento ablatorio comporti il sacrificio di interessi privati: per tali ragioni la quinta censura avrebbe necessitato di ulteriori specificazioni atte ad evidenziare come sarebbe stato possibile imporre un minor sacrificio di interessi privati con uguale soddisfacimento di quello pubblico, cui, però, parte ricorrente non ha provveduto.

Sotto il profilo dell’impatto acustico, precisa ancora la difesa erariale, l’opera risulta essere stata analizzata nell’ambito della valutazione dell’impatto ambientale del progetto preliminare e di quello definitivo (cfr lo "Studio acustico e vibrazionale"), mentre l’individuazione di eventuali accorgimenti per il contenimento dell’area da occupare non possono che, come legittimamente, secondo il CIPE, affermato dall’autorità espropriante, essere rimessi alla fase della progettazione esecutiva.

Nelle more del giudizio sono stati adottati gli atti preordinati all’occupazione d’urgenza delle aree necessarie alla realizzazione delle opere progettate.

Dall’esame della documentazione allegata ai suddetti decreti di occupazione d’urgenza, parte ricorrente ha ravvisato l’intervento di modifiche progettuali tali da precludere ogni utilizzo e coltivazione della cava. Le esigenze di continuare, invece, almeno parzialmente nella coltivazione avrebbero potuto essere rappresentate dalla ricorrente, se le fosse stata garantita una reale possibilità di partecipazione che andasse oltre la mera presentazione di osservazioni che parte resistente non avrebbe debitamente considerato: in particolare avrebbe potuto essere illustrata (e poi adeguatamente motivata) l’istanza di eliminazione del cantiere operativo C.O.5 (consentendo così l’estrazione di almeno 1.000.000 di mc) ed avrebbero potuto essere concordate modalità e tempistiche di realizzazioni compatibili con il più ampio sfruttamento possibile.

Ritenendo illegittimo il provvedimento, la società D. ha chiesto l’annullamento dei provvedimenti con cui la CAL ha portato ad esecuzione le scelte politiche operate relativamente alla realizzazione dell’opera in questione, deducendo, oltre ad illegittimità derivata da quella che, secondo la ricorrente, affetterebbe la dichiarazione di pubblica utilità e gli altri provvedimenti impugnati con ricorso sub R.G. 1167/2009 (rispetto alla quale risultano riproposti i vizi da 1 a 7 già dedotti), il seguente vizio proprio dei decreti di occupazione d’urgenza:

8. violazione di legge ed eccesso di potere, travisamento dei fatti e di diritto, violazione della legge n. 241/90, dell’art. 97 Cost, del DPR 327/01, del d. lgs. 163/06, dell’art. 76 Cost..Considerate le discrepanze tra le previsioni progettuali allegate al decreto d’occupazione e quelle precedenti non sarebbe più possibile comprendere, secondo parte ricorrente, quanto della proprietà della ricorrente sarà oggetto di espropriazione, quanto di occupazione temporanea, se e quando sono state apportate variazioni al progetto.

Ciò avrebbe condotto anche ad un’illegittima quantificazione dell’indennità d’esproprio, determinata moltiplicando un VAM non condiviso da parte ricorrente.

A seguito dell’iscrizione a ruolo del secondo ricorso, parte ricorrente ha depositato documenti, nonché una memoria nella quale, a fronte della mancata esplicitazione di specifiche difese delle controparti, comunque costituitesi, ha sottolineato come permanesse la difficoltà di individuare l’area interessata dall’occupazione (anche in assenza di specifica delimitazione fisica), nonché le specifiche competenze di chi si occupa della autostrada e della realizzazione della linea AV/AC.

C.A.L., per quanto di competenza, ha depositato la documentazione preordinata all’approvazione del progetto, sottolineando come la scelta della localizzazione della stessa fosse obbligata dalle scelte precedentemente operate in sede di adozione delle varianti allo strumento urbanistico del Comune di Cazzago San Martino, risalenti al 2005, confermate dal PGT del 2007 e supportate da specifiche esigenze di interesse pubblico, connesse anche alla necessità di integrare il progetto in questione con quello della linea AV/AC, comunque operate perseguendo l’ottimizzazione dell’inserimento nel territorio, la limitazione dell’impatto ambientale, la riduzione del consumo di territorio e la creazione di un unico corridoio infrastrutturale. Considerazioni, queste, tutte ribadite in occasione della memoria difensiva prodotta nell’imminenza della pubblica udienza.

Analoghe considerazioni sono state esplicitate da B. s.p.a. che ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso per la mancata censura del progetto preliminare approvato dal CIPE nel 2005, con cui è stato apposto il vincolo preordinato all’esproprio, nonché per la mancata notifica al Comune in qualità di controinteressato. Nel merito tale società ha evidenziato come vi sia perfetta coincidenza tra le previsioni del progetto e quelle del decreto di occupazione d’urgenza (essendo sufficiente a tal fine la sovrapposizione del documento 5 allegato al progetto definitivo con la planimetria allegata ai decreti impugnati), che sarebbe stato regolarmente portato ad esecuzione mediante presa di possesso delle aree: nessuna incertezza sarebbe, quindi, possibile configurare in ordine all’area interessata dall’occupazione.

A tali prospettazioni ha, infine, replicato parte ricorrente, affermando, in particolare, oltre all’infondatezza delle eccezioni in rito, la non perfetta coincidenza della previsione progettuale rispetto al vincolo preordinato all’esproprio così come introdotto dagli strumenti urbanistici.

Su esplicita richiesta di parte ricorrente, però, il Collegio ha ravvisato l’opportunità del rinvio della trattazione dello stesso per l’esame congiunto con quello precedente, avente ad oggetto gli atti presupposti.

Alla pubblica udienza all’uopo fissata, esaminate le memorie depositate dalla difesa erariale (di cui si è dato più sopra conto) e da B., entrambe nell’ambito del ricorso 1167/09, la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

Il Collegio ravvisa le condizioni per disporre, in via preliminare, la riunione dei giudizi in epigrafe indicati, in ragione della connessione soggettiva (le parti sono le medesime) e oggettiva, derivante dal rapporto di consequenzialità intercorrente tra gli atti impugnati con i due diversi ricorsi.

Ancora in rito debbono essere estromessi dal giudizio il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e l’A. s.p.a., atteso che nessun atto riconducibile a tali soggetti è stato preso in considerazione, né tantomeno impugnato.

Nel merito non può trovare accoglimento il ricorso sub R.G. 1167/09.

In particolare deve essere rigettata la prima censura, in quanto nessuna illegittimità degli atti può derivare dal fatto che l’Amministrazione che li ha adottati abbia ritardato l’accesso agli stessi. L’ordinamento prevede espressamente, ricorrendo tale eventualità, la facoltà per l’interessato di un’impugnazione tempestiva, ancorchè formulata in termini generici, fatta salva la possibilità di integrazione delle censure attraverso l’apposito istituto del ricorso per motivi aggiunti, peraltro non utilizzato nel caso di specie, così da condurre alla necessaria declaratoria di inammissibilità per genericità della successiva censura sub 2.

Né a diversa conclusione può condurre la riproposizione della suddetta censura nel ricorso sub R.G. 122010, considerato che, a prescindere da ogni valutazione in ordine all’eventuale ritualità di ciò, nemmeno questo secondo ricorso ha tentato una maggiore specificazione della stessa.

Invero non è dato comprendere come la mancata definizione, allo stato in cui si trovava l’avanzamento del procedimento al momento dell’approvazione del progetto definitivo, delle specifiche competenze operative dei soggetti coinvolti nella realizzazione dell’opera abbia inciso sulla legittimità della dichiarazione di pubblica utilità. A prescindere dalla pretesa preclusa possibilità di formulare precise osservazioni – che non sono, peraltro, state presentate nemmeno successivamente alla conoscenza del progetto e nemmeno in sede giudiziale – in concreto, il ricorso non individua il modo in cui tale mancata specificazione avrebbe refluenza sugli effetti della dichiarazione di pubblica utilità. Ciò tenuto conto, in particolare, che le modalità con cui la realizzazione dell’opera andrà ad incidere sulla proprietà privata non possono che essere oggettive e non anche soggettive.

In altre parole non è dato comprendere come la precisa identificazione dei soggetti competenti per ciascun profilo connesso alla realizzazione dell’opera ed ogni singola lavorazione, essenziale in fase esecutiva, potrebbe rilevare sulle modalità di incisione della proprietà privata, le quali debbono essere desumibili dalla dichiarazione di pubblica utilità, vincolando il comportamento del successivo esecutore, chiunque esso sia. La dichiarazione di pubblica utilità, infatti, deve consentire la localizzazione dell’opera pubblica, l’individuazione dell’area di proprietà privata interessata dalla realizzazione dell’opera, le modalità con cui la realizzazione dell’opera andrà in concreto ad incidere sulla eventuale proprietà residua. Ogni modificazione di ciascuno di questi profili, mediante eventuali variazioni progettuali, che può riverberarsi sul diritto di proprietà dell’espropriando, così come affievolito dalla dichiarazione di pubblica utilità, comporta il rinnovo di quest’ultima: ciò che rileva, quindi, in linea di principio è "come" viene incisa la proprietà privata e non anche "chi", tra i soggetti eseguirà materialmente l’intervento, comunque subordinato al rispetto dei suddetti parametri.

Ne deriva l’assoluta genericità ed indeterminatezza della censura che, pertanto, deve ritenersi inammissibile, prima ancora che infondata, atteso che tutte le informazioni essenziali per la piena tutela del diritto di proprietà risultano essere desumibili dagli elaborati di progetto che ben consentono di distinguere anche le opere di competenza di B. e quelli di competenza di RFI per la realizzazione della Linea Av/Ac, le quali, peraltro, dovranno essere realizzate in modo coordinato, a causa delle pesanti interferenze.

Con particolare riferimento alla terza doglianza, invece, si deve dare atto di come la comunicazione dell’avvio del procedimento preordinato alla dichiarazione di pubblica utilità mediante la sola pubblicazione sui quotidiani sia espressamente prevista dalla specifica disciplina che regolamenta il procedimento di approvazione delle opere classificate come infrastrutture strategiche. Il sesto comma dell’art. 16 del D.P.R. 327/2001 prevede, infatti, espressamente che "Ai fini dell’approvazione del progetto definitivo degli interventi di cui alla legge 21 dicembre 2001, n. 443, l’avviso di avvio del procedimento di dichiarazione di pubblica utilità è comunicato con le modalità di cui all’ articolo 4, comma 2, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190". A sua volta tale disposizione recita: "la comunicazione è effettuata con le stesse forme previste per la partecipazione alla procedura di valutazione di impatto ambientale dall’articolo 5 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 agosto 1988, n. 377" e cioè, mediante "pubblicazione, sul quotidiano più diffuso nella regione o provincia autonoma territorialmente interessata e su un quotidiano a diffusione nazionale, di un annuncio contenente l’indicazione dell’opera, la sua localizzazione ed una sommaria descrizione del progetto".

Escluso che nel caso di specie possa trovare applicazione la generale disposizione contenuta nella legge n. 241/90, indubbiamente derogata dalla specifica previsione sopra richiamata, ed in assenza di una esplicita e compiuta formulazione di questione di legittimità costituzionale della suddetta norma, il Collegio non ravvisa una manifesta fondatezza del, solamente accennato, dubbio di conformità della stessa ai principi costituzionali. Ne consegue la necessaria attestazione della conformità alla legge delle modalità utilizzate per la comunicazione dell’avvio del procedimento nel caso di specie e l’accertamento dell’infondatezza anche della quarta censura.

Né miglior sorte può essere riservata alla quinta censura, atteso che con essa parte ricorrente si limita a dedurre la pretesa illegittimità di una soluzione progettuale che incide pesantemente sull’attività della ricorrente, senza peraltro, evidenziare alcun profilo di irragionevolezza della scelta progettuale operata che potrebbe essere ravvisato solo ove fosse fornito almeno un principio di prova, ovvero anche solo fosse eccepita la mancata considerazione, dell’esistenza di soluzioni alternative parimenti soddisfacenti per l’interesse pubblico perseguito.

Con riferimento al vizio dedotto al numero 6 del ricorso, il Collegio, a fronte della genericità della censura, che si limita ad indicare la norma di cui si vorrebbe integrata la violazione, ritiene di poter condividere la tesi della difesa erariale, secondo cui, sotto il profilo dell’impatto acustico, l’opera risulta essere stata analizzata nell’ambito della valutazione dell’impatto ambientale del progetto preliminare e di quello definitivo (cfr lo "Studio acustico e vibrazionale").

A prescindere dalla genericità che, ancora una volta, caratterizza la censura sub 7, anche la stessa non evidenzia alcuna illegittimità dei provvedimenti impugnati, atteso che appare conforme alla vigente disciplina rimandare alla fase esecutiva l’adozione di eventuali accorgimenti che possano condurre ad un contenimento della superficie da occupare che, evidentemente, rimane implicitamente confermata nella consistenza indicata dal progetto. Non essendo stata esplicitata alcuna specifica doglianza in ordine ad un’eventuale esuberanza o non corretta individuazione dell’area interessata dal progetto, nessun vizio risulta in concreto ravvisabile con riferimento al progetto approvato.

Respinto, così, nel complesso il ricorso sub R.G. 1167/09, gli effetti del rigetto non possono che estendersi alla prima parte del ricorso sub 1220/10, con la quale sono stati dedotti vizi di invalidità derivata da quella degli atti preordinati all’occupazione.

Peraltro, con riferimento al secondo ricorso in esame, si può prescindere dall’entrare nel merito delle eccezioni in rito introdotte da B. s.p.a., attesa l’infondatezza anche dell’unica doglianza rivolta in via diretta ai provvedimenti impugnati.

Non è stato fornito, infatti, alcun principio di prova della discrepanza tra gli atti progettuali e gli allegati ai decreti di occupazione d’urgenza che, al contrario, appaiono coincidere ed individuare in modo puntuale le aree oggetto di espropriazione e di occupazione.

La documentazione in atti esclude, quindi, la lamentata, generica, non corretta individuazione delle aree.

Le doglianze connesse alla, pretesa, non corretta quantificazione dell’indennità di espropriazione esulano dalla giurisdizione di questo giudice, rientrando esse tra le questioni devolute alla cognizione, in unico grado, della Corte d’Appello.

Ne deriva il rigetto anche del secondo ricorso.

Le spese del giudizio seguono l’ordinaria regola della soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sui ricorsi in epigrafe indicati, ne dispone la preliminare riunione e li rigetta.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida, a favore di ciascuna parte costituita, in Euro 2.000,00 (duemila/00), per un totale di Euro 10.000,00 (diecimila/00), oltre ad IVA e C.P.A., se dovuti e rimborso forfetario delle spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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