T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 19-10-2011, n. 1428

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente è proprietario di un compendio della superficie di 184.500 mq (composto dai fondi censiti ai mappali 46, 47, 52, 53, 54, 60 e 211 del foglio 43 e ai mappali 42, 43 e 44 del foglio 44 del comune di Desenzano del Garda), interessato dai lavori, dichiarati di pubblica utilità il 22 febbraio 1991, con decreto n. 3668/368/709 (mai notificato al ricorrente, proprietario inizialmente della sola metà e poi dell’intero, a seguito di acquisto per successione dal padre), relativi alla riqualificazione e ammodernamento della S.S. 11 tra Ponte San Marco e Sirmione.
Il 16 gennaio 1992, con decreto 192, il Prefetto della Provincia di Brescia disponeva l’occupazione urgente ed indifferibile dei fondi necessari all’esecuzione dei lavori a favore dell’A.T.I. F. S.A.- E. s.p.a., agente in nome e per conto dell’A. per il periodo di cinque anni. Occupazione che interveniva solo il 13 aprile 1992, a seguito della redazione dello stato di consistenza che individuava l’area occupata e rispetto a cui è intervenuta l’immissione in possesso, in mq 10.460: ciò consentiva l’esecuzione dei lavori e determinava l’irreversibile trasformazione del suolo.
Nel corso dei lavori, inoltre, secondo quanto affermato da parte ricorrente, l’occupazione veniva estesa ad ulteriori 6.740 mq. La mancata conclusione del procedimento ablatorio determinava, però, secondo quanto affermato dallo stesso ricorrente, il "trasferimento della proprietà dei lotti oggetto del procedimento ablativo in capo all’ente espropriante a seguito dell’irreversibile trasformazione di parte dell’area occupata, fonte di obbligo risarcitorio per la stessa Amministrazione" (così il ricorso, pag. 34).
In ragione di ciò, con atto notificato il 18/19 dicembre 2001, il ricorrente intimava all’A. e alle società concessionarie, un atto di diffida e messa in mora al pagamento delle somme dovute sia a titolo di indennizzo per l’occupazione temporanea nel quinquennio, sia a titolo di risarcimento danni per la definitiva acquisizione da parte dell’A. del terreno occupato. Tale atto veniva, quindi, reiterato, constatata l’inerzia dei soggetti intimati, il 4 dicembre 2006.
A seguito dell’ulteriore assenza di riscontro, il proprietario notificava, allora, il ricorso in esame, provvedendo alla notifica anche nei confronti dei liquidatori della società consortile a responsabilità limitata F. E., con sigla F. S.C..
Parte ricorrente, ha, pertanto, in primo luogo asserito la giurisdizione del giudice amministrativo, facendo riferimento all’ampia giurisprudenza formatasi sul punto. Il sig. L, ha, quindi, dato atto dell’intervenuta trasformazione dei fondi (a seguito della loro occupazione e materiale apprensione), così sostenendo che ciò abbia determinato il trasferimento, di fatto, della proprietà in capo all’ente pubblico proprietario dell’opera realizzata di mq 17.200 e perfezionato il diritto del proprietario ad ottenere il risarcimento del danno derivato dalla perdita della proprietà.
In ordine alla quantificazione del danno il proprietario ha, inoltre, affermato la necessità che lo stesso fosse determinato facendo riferimento al valore di mercato proprio delle aree alla data del verificarsi dell’illecito, tenuto conto delle colture in atto al momento dell’occupazione e rivalutando tale somme in ragione della diminuzione del potere di acquisto della moneta: tutto ciò considerando una superficie occupata di 17.200 mq, nonché la particolare circostanza per cui l’opera è stata realizzata al centro della proprietà del ricorrente, dividendo in due parti il compendio rimanente e privando quella su cui insistono case coloniche, abitazione, stalle e tutti i servizi (posta a sud della variante) dell’accesso mediante strada vicinale dalla frazione Rivoltella e costringendo a percorrere, per l’accesso alla parte nord, un percorso di oltre un chilometro. Ciò avrebbe determinato, secondo parte ricorrente, una ridotta ottimizzazione nell’utilizzo della manodopera e dei mezzi e un maggior consumo di combustibile e avrebbe altresì escluso la possibilità di una custodia sulla parte nord, così da limitare le colture praticabili.
Riassuntivamente, quindi, parte ricorrente ha notificato il ricorso in esame al fine di ottenere, come puntualmente esplicitato dalla stessa, il risarcimento derivato: dall’occupazione illegittima di una superficie di mq 17.200, dalla perdita della proprietà della stessa, dalla diminuzione del valore della residua proprietà, dal cospicuo aumento dei costi di coltivazione, dalla localizzazione dei servizi nella porzione di terreno più distante dall’accesso naturale (via Fantona), dalla diminuzione di valore degli edifici per la maggiore difficoltà e distanza dell’accesso dal centro abitato, dal danneggiamento delle colture per l’immissione di gas di scarico. Tale danno è stato, quindi, quantificato, con apposita relazione di un tecnico, in Euro 235.604,06.
Sul piano della tempestività del ricorso, infine, il ricorrente ha evidenziato come l’occupazione fosse da considerarsi legittima fino al 13 aprile 1997 e, conseguentemente, la messa in mora risalente al 2001 sarebbe comunque intervenuta nell’arco del quinquennio previsto per la prescrizione breve del diritto al risarcimento del danno da atto illecito, anche laddove dovesse essere sostenuta la tesi della qualificazione del danno da accessione invertita come danno istantaneo e non anche permanente.
Nel marzo 2010 si è costituita, in giudizio, solo formalmente A. s.p.a., che, però, non ha esplicato alcuna specifica difesa in vista della pubblica udienza.
Si è costituita in giudizio anche F.A. s.p.a., dapprima solo formalmente e poi producendo una memoria che, tenuto conto della sospensione feriale dei termini, risulta depositata solo venti giorni liberi prima dell’udienza pubblica.
Per tale ragione il ricorrente ne ha eccepito la tardività, considerato che la questione controversia non atterrebbe, secondo lo stesso, alla speciale materia di cui all’art. 119 del c.p.a. (che riconosce termini dimidiati), ma al mero risarcimento del danno derivante dall’illegittima occupazione.
Né alla suddetta memoria potrebbe essere riconosciuta la natura di mera replica, atteso che nessuna specifica difesa è stata precedentemente spiegata.
Per parte sua il ricorrente ha ribadito, con apposita memoria, la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, anche e a maggior ragione, dopo l’entrata in vigore del d. lgs. 104/2010, nonché la tempestività del ricorso non potendosi ritenere intervenuta la prescrizione del diritto al risarcimento, sia perché in presenza di una fattispecie di danno permanente, sia per la puntuale interruzione dei termini di un’eventuale prescrizione breve, come già precedentemente rappresentato.
Nel merito, egli ha sottolineato come la dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 43 del DPR 327/01 non possa comunque aver determinato l’eliminazione del dovere incombente in capo all’Amministrazione di ristorare i proprietari ablati, in particolare laddove il proprietario abbia rinunciato alla restituito in integrum. Dovere da adempiersi mediante il pagamento del risarcimento a fronte della stipulazione di un apposito contratto traslativo della proprietà.
Peraltro, poiché il danno si perfezionerebbe nel momento della stipula dell’atto traslativo, il valore del bene dovrebbe essere quantificato non più con riferimento al momento in cui è intervenuta l’irreversibile trasformazione del suolo, ma a quello del trasferimento della proprietà, mentre per l’illegittima occupazione dovrà essere corrisposto l’interesse legale sul valore del bene nel periodo considerato e le somme così calcolate dovranno essere aumentate di interessi e rivalutazione monetaria (Consiglio di Stato, IV, 676/2011 e 3137/2011). A tale proposito, però, parte ricorrente non ha prodotto alcuna perizia tecnica, chiedendo, invece, in via istruttoria, la consulenza d’ufficio per la quantificazione del danno.
Alla pubblica udienza la causa, è stata trattenuta in decisione, prendendo atto delle eccezioni in rito introdotte dal ricorrente e di cui si è dato conto con riferimento alla difesa della controinteressata F.A..

Motivi della decisione

Ravvisata la giurisdizione di questo Tribunale e la tempestività della proposizione del ricorso in ragione delle successive interruzioni del termine prescrizionale – ancorchè la giurisprudenza più recente, in particolare della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo abbia condotto a qualificare il danno derivante dall’irreversibile trasformazione del suolo ad uso pubblico come danno permanente – in ordine alla legittimazione passiva deve essere dato atto di come essa sussista indubbiamente nei confronti dell’A. s.p.a. che, in quanto ente espropriante, è senz’altro tenuta sia a valutare la sussistenza dei presupposti per l’acquisizione alla mano pubblica dei terreni occupati, che a sostenere l’onere economico relativo al risarcimento del danno dovuto. Ciò non esclude, a priori, il configurarsi di una corresponsabilità della società incaricata della realizzazione dell’opera e qui intimata, che, in quanto delegata al compimento del procedimento espropriativo (ancorchè in assenza di un vero e proprio trasferimento di potestà) è soggetto sicuramente qualificato ad intervenire nel contradditorio, quale obbligato in via solidale.
In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione, sez. I civ., nella sentenza 4 giugno 2010, n. 13615 – che questo Collegio ritiene di poter condividere – laddove ha espressamente affermato che nel caso in cui l’A. s.p.a. abbia, come nel caso di specie, delegato al soggetto che si è aggiudicato la realizzazione dell’opera anche il compimento, in nome e per conto del delegante, della procedura espropriativa, pur non trasferendo i propri poteri di soggetto espropriante, come nel caso di concessione traslativa, "la perdita della proprietà del privato, è ascrivibile anzitutto al soggetto che ne sia stato l’autore materiale". Si configura, peraltro, la corresponsabilità solidale dell’ente delegante, quale soggetto obbligato a sorvegliare il corretto svolgimento del procedimento e titolato all’esercizio del potere di controllo e stimolo nei confronti del soggetto delegato.
Affermata, quindi, la legittimazione passiva di entrambe i soggetti intimati, si ritiene meritevole di positivo apprezzamento l’eccezione di tardività della memoria conclusiva della società F.A. S.A..
Nel caso di specie non si versa, infatti, nella materia dell’espropriazione per pubblica utilità, in relazione alla quale il legislatore ha previsto, in quanto intimamente connessa con la realizzazione delle opere pubbliche, un rito speciale, caratterizzato da termini dimidiati. Al contrario la fattispecie in esame deve essere ricondotta ad una mera ipotesi di azione risarcitoria, ancorchè il danno sia derivato da un’azione espropriativa non legittimamente portata a compimento (ciò in linea con quanto affermato dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza 30 luglio 2007, n. 9, in cui si è chiarito che la dimidiazione dei termini, di cui all’art. 23bis – il cui contenuto è ora trasfuso nel codice del processo amministrativo -, non è applicabile alle controversie che, sebbene conseguenti ad una procedura di espropriazione, sottopongano alla cognizione del giudice amministrativo profili di stampo esclusivamente risarcitorio).
Ciò premesso in rito, nel merito il ricorso è suscettibile di positivo apprezzamento nella parte in cui tende ad accertare e dichiarare l’illegittimità sopravvenuta dell’occupazione.
Risulta incontestato, infatti, che la procedura espropriativa non sia stata conclusa nei termini all’uopo fissati e che l’opera pubblica sia stata, quantomeno con riferimento al progettato tracciato stradale, realizzata occupando anche terreni di proprietà del ricorrente.
In linea di principio si renderebbe, quindi, necessario rimettere all’ente espropriante, a fronte della sopra descritta situazione, l’individuazione della soluzione maggiormente rispondente all’interesse pubblico tra l’acquisizione della proprietà interessata al demanio stradale, ovvero la restituzione della stessa in disponibilità dell’originario proprietario, previo ripristino e a fronte del risarcimento del danno connesso all’occupazione delle aree.
Nel caso di specie, però, si può desumere, anche dal comportamento processuale dell’Amministrazione, che l’ipotesi della restituzione del terreno al proprietario sia senz’altro da escludersi con riferimento a quella superficie che risulta a tutti gli effetti occupata dal tracciato stradale e dai suoi accessori, esclusa, peraltro, la superficie occupata dal sottopasso realizzato nell’esclusivo interesse del ricorrente per facilitare il collegamento delle due parti in cui il compendio dello stesso è stato diviso.
Superata, quindi, l’ipotesi restitutoria, nemmeno mai ventilata da nessuna delle parti in causa, la questione controversa risulta essere rappresentata dal trasferimento della proprietà all’ente espropriante, a fronte della corresponsione di un adeguato risarcimento del danno subito per effetto di ciò (e dell’illegittima occupazione) da parte del proprietario.
Per quanto attiene al primo profilo, nella recente pronuncia del 2 settembre 2011, n. 4970, il Consiglio di Stato, ha affermato che: "L’Amministrazione che ha illegittimamente occupato un bene privato, trasformandolo mediante la realizzazione dell’opera pubblica, può apprendere il bene facendo uso unicamente dei due strumenti tipici, ossia il contratto, tramite l’acquisizione del consenso della controparte, o il provvedimento, e quindi anche in assenza di consenso ma tramite la riedizione del procedimento espropriativo con le sue garanzie. A questi due strumenti va altresì aggiunto il possibile ricorso al procedimento espropriativo semplificato, già previsto dall’art. 43 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (T.U. espropriazione per p.u.) ed ora, successivamente alla sentenza della Corte costituzionale, 8 ottobre 2010, n. 293, che ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, nuovamente regolamentato all’art. 42 bis dello stesso testo, come introdotto dall’articolo 34, comma 1, del D.L. 6 luglio 2011 n. 98 "Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria", convertito in L. 15 luglio 2011 n. 111."
Si rende, quindi, necessario rimettere all’A. s.p.a. ogni valutazione in ordine alla scelta dello strumento attraverso cui addivenire all’acquisizione delle aree illegittimamente occupate, fissando, a tale fine, un termine di sei mesi, decorrenti dalla notificazione della presente sentenza, entro cui l’Amministrazione dovrà procedere alla formulazione di una proposta finalizzata alla stipulazione di un contratto per la cessione del diritto di proprietà ed il contestuale soddisfacimento delle pretese risarcitorie in via transattiva, ovvero all’adozione del provvedimento ex art. 42 bis del DPR 327/2001.
Per quanto attiene al risarcimento del danno, che, in entrambi i casi, dovrà essere offerto, esso dovrà essere quantificato dall’Amministrazione considerando:
– che l’indennità di occupazione per il periodo di legittima occupazione dovrà essere corrisposta nella misura prevista dal decreto che l’autorizzava, per tutta la superficie ivi indicata, a prescindere dall’effettiva materiale apprensione della stessa. Con l’adozione del decreto di occupazione, infatti, l’area ivi indicata è stata sottratta alla disponibilità giuridica del proprietario, rendendo per ciò stesso irrilevante il fatto che, rispetto a parte di essa sia stato in concreto mantenuto il possesso da parte dell’espropriato (anche attraverso il detentore, titolare di un contratto di affitto). Per evitare tale situazione giuridica e la conseguente corresponsione della piena indennità, l’ente espropriante (ovvero il soggetto delegato alla gestione della procedura espropriativa) avrebbe dovuto tempestivamente comunicare, infatti, la revoca parziale del decreto di occupazione relativamente alla superficie di cui non è stato effettivamente acquisito il possesso e la conseguente rimessione della stessa nella disponibilità del proprietario;
– che la stessa perizia di parte prodotta dal ricorrente evidenzia come la superficie effettivamente occupata per la realizzazione dell’opera pubblica sia stata pari a 5.250 mq;
– che, pertanto, a decorrere dalla data entro cui avrebbe dovuto intervenire il decreto di esproprio (gennaio 1997) e, quindi, l’occupazione è divenuta illegittima, il risarcimento del danno per l’occupazione del suolo non potrà che essere commisurato alla superficie effettivamente occupata di 5.250 mq. Nessun danno, infatti, risulta essere stato patito, né dal proprietario, né dall’affittuario, per quelle aree che, non essendo state occupate, sono rimaste nella disponibilità fisica di tali soggetti e sono ritornate anche nella disponibilità giuridica degli stessi dal momento dell’intervenuta scadenza dell’occupazione d’urgenza;
– che il danno derivante dall’illegittima occupazione dei fondi dovrà, peraltro, essere risarcito tenendo conto dell’intero periodo in cui la stessa si è protratta illegittimamente, non essendosi prescritto il relativo diritto al risarcimento del danno, in ragione del susseguirsi degli atti interruttivi della prescrizione posti in essere dal ricorrente;
– che il danno derivante dalla materiale indisponibilità del terreno per tutto il periodo, fino all’adozione del provvedimento di acquisizione, può essere liquidato, in via equitativa, in misura pari al cinque per cento annuo del valore venale determinato ai sensi del successivo alinea;
– che lo stesso risarcimento del danno correlato al’acquisto della proprietà da parte dell’A. s.p.a., dovrà essere rapportato alla superficie effettivamente ablata di 5250 mq e determinato in misura pari al valore venale di tale terreno alla data della adozione del provvedimento di acquisizione delle aree. La somma così determinata deve essere aumentata del dieci per cento a titolo di forfetario indennizzo per i pregiudizi patrimoniali e non patrimoniali subiti dal ricorrente;
– che, in assenza di qualsiasi principio di prova del pregiudizio effettivamente subito dal compendio immobiliare nel suo complesso considerato per effetto dell’ablazione parziale e considerata anche la minima incidenza della superficie ablata rispetto all’estensione del compendio stesso, non risulta dovuto alcun ulteriore, specifico, indennizzo in termini di svalutazione dell’area residua o di, solo asserite, maggiori spese necessarie alla coltivazione;
– che non può valorizzarsi, in termini di compensatio lucri cun damno, l’avvenuta realizzazione del nuovo distributore di carburanti, che, seppur può, in linea di principio, aver determinato un incremento del valore delle aree rimaste di proprietà del ricorrente, non ha attribuito a quest’ultimo un vantaggio specifico e direttamente collegato alla realizzazione dell’opera, idoneo a differenziare la sua posizione da quella di ogni altro proprietario frontista.
Accolto il ricorso, le spese del giudizio seguono l’ordinaria regola della soccombenza e debbono, pertanto, essere poste a carico delle parti soccombenti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.
Condanna le parti resistenti al pagamento delle spese del giudizio che liquida nella misura di Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) a carico di ciascuna di esse (per un totale di Euro 5.000,00), oltre ad IVA, C.P.A. e rimborso forfetario delle spese e rimborso del contributo unificato dal ricorrente anticipato ai sensi del comma 6 bis dell’articolo 13 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 5 ottobre 2011 con l’intervento dei magistrati:
Giorgio Calderoni, Presidente
Stefano Tenca, Primo Referendario
Mara Bertagnolli, Primo Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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