T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 19-10-2011, n. 1426 Deliberazioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.S. s.r.l. (di seguito C.S.) è la società – operante nel settore estrattivo per la fornitura di una clientela strettamente industriale per la produzione di conglomerati bitumosi e cementizi, prefabbricati e malte – che, nel 2004, è subentrata, mediante acquisto di ramo d’azienda, nella lavorazione della cava sita in località Cascina Suriana, dove la dante causa "Nuove Iniziative s.r.l." operava sin dal 1993.

Tale cava era prevista dal precedente Piano cave, scaduto nel 2000 ed ha formato oggetto di previsione nella nuova proposta di Piano predisposta, a seguito di una accurata istruttoria tecnica e di un approfondito esame del fabbisogno, dalla Provincia di Bergamo nel 2003.

Tale proposta, con specifico riferimento all’ATEg16 (corrispondente all’ambito in cui C.S. opera), prevedeva l’estensione dell’ambito per una superficie di 42,4 ettari, una produzione di 2.800.000 mc (2.650.000 per il decennio e 150.000 per le riserve residue), una serie di prescrizioni tecniche tra cui una profondità massima di escavazione in asciutto di m 14 dal piano di campagna, una destinazione finale agricola.

C.S. s.r.l. ha però presentato osservazioni a tale proposta di piano, chiedendo l’ampliamento dell’ambito nel settore occidentale, la riduzione della profondità di scavo a 12 metri, l’eliminazione delle prescrizioni relativi all’imposizione della produzione di uno studio idrogeologico e la riduzione della fascia di rispetto da 100 a 50 metri dalle abitazioni.

Solo la richiesta dell’eliminazione dell’obbligo di produzione di uno studio idrogeologico è stata accolta, in quanto pleonastica rispetto allo stato dei luoghi, mentre l’istanza volta ad ottenere la riduzione della profondità di scavo (ancorchè formulata anche dal Comune di Bagnatica) e il conseguente ampliamento dell’ambito è stata rigettata perché non suffragata da idonea documentazione tecnica. Nemmeno la riduzione della fascia di rispetto è stata valutata positivamente, per ragioni di tutela degli insediamenti abitativi.

La proposta di Piano così approvata, tenuto conto delle osservazioni accolte, con deliberazione del Consiglio provinciale 16 marzo 2004, n. 16, è stata trasmessa alla Regione, per la prosecuzione dell’iter.

La C.S. s.r.l. ha, quindi, reiterato alla Regione le proprie osservazioni, sottolineando come la potenzialità, in metri cubi, autorizzata dal Piano sarebbe in realtà impossibile da sfruttare a pieno, data l’estensione dell’ambito ed uno spessore del giacimento erroneamente calcolato in 14 metri, laddove esso non supera i 12, ed anzi, al netto dello strato di coltura, si limiterebbe ad 11. Inoltre il rigetto della riduzione della fascia di rispetto si configurerebbe illogico rispetto agli altri ambiti in cui è prevista una distanza dalle abitazioni di 50 metri. Per tali ragioni la suddetta società ha chiesto la riperimetrazione dell’ambito, con aumento della superficie a 45,00 ettari, produzione prevista per il triennio di 2.650.000 mc e riserve residue per 300.000 mc, riduzione della fascia di rispetto a 50 metri.

Tali richieste sono state tutte ritenute meritevoli di positivo apprezzamento (tranne la riduzione della fascia di rispetto, rinviata alla sede di approvazione del progetto d’ambito) dalla competente Direzione Generale Qualità dell’Ambiente – Unità Organizzativa Attività Estrattive e di Bonifica – e da tutte le strutture amministrativetecniche preposte all’istruttoria, che le hanno trasfuse nella proposta di Piano fatta propria dalla Giunta.

Ciononostante, la VI Commissione ha stravolto la proposta di Giunta, prevedendo un aumento della produzione per il decennio di 900.000 mc, l’azzeramento delle riserve residue, l’annullamento dell’espansione del polo estrattivo verso ovest e l’ampliamento dello stesso a sud, su istanza di terzi e, quindi, su di un’area non fruibile da C.S. s.r.l..

Anche tale modifica è stata, però (insieme a numerose altre introdotte dalla Commissione VI, il cui intervento sulla proposta di Giunta è stato definito come gravemente lesivo, in primis, della competenza propria della Provincia), infine, abbandonata e il Consiglio Regionale ha ripristinato l’estensione dell’ambito ATEg16 e le potenzialità di escavazione così come originariamente previsto dalla Provincia, prima del recepimento delle osservazioni.

Con deliberazione del Consiglio regionale della Lombardia del 14 maggio 2008, n. VIII/619, dopo un complesso iter, appesantito da un’agguerrita battaglia politica, la superficie dell’Ambito è tornata, quindi, a 42,40 ettari, con una riserva stimata di 2.800.000 mc, una produzione prevista per il decennio di 2.650.000 mc e riserve residue per 150.000 mc.

Ritenendo tali previsioni insufficienti a soddisfare le necessità della produzione decennale, l’approvazione del Piano è stata impugnata con il ricorso in esame, nel quale sono dedotte le seguenti censure:

1. Violazione dell’art. 8 della L.r. 14/98, la quale disciplina la formazione del Piano cave. La proposta pianificatoria formulata dalla Provincia, in accoglimento anche delle osservazioni presentate, è stata radicalmente modificata dalla Regione, in violazione dei principi di competenza, partecipazione, tempestività e sussidiarietà e violando l’obbligo di motivare le proprie scelte. Peraltro una modifica di così forte incidenza si dovrebbe comunque ritenere lesiva del diritto alla partecipazione che è stato garantito solo mediante la pubblicazione dell’originaria proposta provinciale;

2. Violazione dell’iter procedimentale con riguardo all’art. 8 della L.r. 14/98 e all’art. 3 della legge n. 241/90, nonché al mancato rispetto dei rapporti tra Giunta e Consiglio regionale. L’incoerenza tra le determinazioni della Giunta e del Consiglio sarebbe già stata rilevata come causa di illegittimità, in analoga vicenda, dal TAR Lombardia, Milano sentenza 28 maggio 2007, n. 4700. In ogni caso il mancato raccordo tra valutazioni tecniche ed istruttorie fatte proprie dalla Giunta e valutazioni politiche operate dalla Commissione VI e dal Consiglio renderebbe illegittimo il provvedimento per l’assenza di ogni motivazione in ordine alle ragioni che hanno determinato quest’ultimo organo a discostarsi così nettamente dalla proposta dell’organo di governo. Tanto più considerato che la norma, se attribuisce alla Giunta regionale la possibilità di apportare integrazioni e modificazioni al Piano proposto dalla Provincia, consente al Consiglio di operare solo modifiche che comportino esclusivamente, a carico della Giunta, l’adeguamento degli elaborati cartografici e, quindi, meri aggiustamenti che non implichino difformità di rilievo;

3. Violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 8 della legge regionale 14/98, eccesso di potere, travisamento dei fatti e difetto di istruttoria, derivante dalla mancata considerazione delle osservazioni presentate ed in particolare della rappresentata impossibilità di escavare il quantitativo previsto con la ridotta superficie autorizzata dell’ATO e l’erronea indicazione della profondità di scavo come fosse possibile sino a 14 metri dal piano di strada. Inoltre non sarebbe stata tenuta in alcuna considerazione la circostanza per cui, nel corso del lungo iter del Piano, sono già stati escavati volumi tali da risultare a disposizione, per l’intero decennio di validità del piano, solo 800.000 mc.

In vista della pubblica udienza l’Amministrazione regionale ha eccepito l’infondatezza del ricorso, in considerazione del fatto che il generale obbligo di motivazione previsto per tutti i provvedimenti amministrativi sarebbe escluso, invece, per gli atti normativi e a contenuto generale, quale deve qualificarsi il Piano cave. Peraltro l’obbligo di motivazione sarebbe intimamente collegato alla natura complessa del provvedimento in questione, cui il Consiglio di Stato ha attribuito, con sentenza n. 535/97, la natura di atto complesso ineguale al Piano cave della Regione Lombardia, riconoscendo l’ampia discrezionalità della Regione, cui debbono essere imputate le scelte finali, le quali si sottrarrebbero ad uno specifico obbligo di motivazione. Tanto più laddove, come nel caso di specie, la Regione non ha inserito un nuovo ambito, ma si è limitata a ripristinare le scelte provinciali anteriori all’accoglimento delle osservazioni dell’odierna ricorrente.

In ogni caso il potere di modifica del piano proposto dalla Provincia sarebbe riconosciuta dall’art. 8 sia alla Giunta, che al Consiglio regionale.

Dal canto suo, parte ricorrente ha replicato rappresentando che, recentemente, risulta essere stato approvato il progetto di gestione, il progetto d’Ambito è stato adottato dalla Conferenza di servizi, la convenzione stipulata con il Comune per lo sfruttamento è stata adeguata.

Tutto ciò senza peraltro prestare acquiescenza al provvedimento impugnato, la cui illegittimità, semmai risulterebbe comprovata dai successivi atti.

In particolare, con decreto regionale n. 1871 del 2 marzo 2011 è stata attestata la compatibilità ambientale del progetto di gestione, non senza precisare che la coltivazione non potrà che avvenire con una profondità di scavo di 12 metri e non anche 14 come previsto dalla scheda di Piano: ne discende la riduzione del volume di sabbia scavabile.

Parte ricorrente, inoltre, anche con la propria memoria di replica, insiste sul fatto che l’avvenuta escavazione, nel periodo necessario per l’approvazione del piano, di 1.903.342 mc di materiale renderebbe non più disponibile gran parte del volume autorizzato, costringendo l’operatore a cercare la risorsa mineraria sul mercato.

Né all’estensione dell’ambito osterebbe la proprietà delle aree ad ovest della cava, già oggetto di convenzione sottoscritta con il Comune ed aggiornata lo scorso 1 luglio 2011.

In conclusione la ricorrente ribadisce come alla limitazione della profondità dello scavo debba, necessariamente, corrispondere l’ampliamento del perimetro dell’ATO, pena la impossibilità di gestire in modo economicamente accettabile la cava.

Alla pubblica udienza, la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

Nella controversia in esame, il Collegio è chiamato, ancora una volta, ad occuparsi della natura del Piano Cave, del ruolo dei soggetti coinvolti nella sua formazione, dell’obbligo di motivazione delle scelte operate.

Per quanto attiene al primo di tali aspetti è pur vero che, nella richiamata, da parte resistente, sentenza n. 535 del 1997, la Sesta sezione del Consiglio di Stato ha affermato che: "Nella Regione Lombardia, l’approvazione del piano provinciale delle cave predisposto ai sensi della L. reg. 30 marzo 1982 n. 18 si configura come atto complesso, nel quale gli Enti locali svolgono un ruolo di proposta (la Provincia) e di collaborazione (i Comuni), che non condizionano, neppure sotto il profilo del contenuto, le decisioni finali della Regione, alle quali soltanto si imputa l’effetto finale". Nella stessa pronuncia si legge, altresì, che le "scelte che attengono al merito dell’azione amministrativa…, se effettuate nel rispetto del procedimento delineato dal legislatore regionale, si sottraggono a censure di illegittimità".

Ciononostante il Collegio ritiene di poter condividere l’orientamento giurisprudenziale (già fatto proprio da questo Tribunale, nella sentenza n. 1607 del 2010, in relazione ad analoga vicenda, avente ad oggetto il medesimo piano provinciale), il quale prende le mosse dalla sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI – 12/11/2003 n. 7261 dove si legge che: "ove la Regione intenda discostarsi dalla proposta iniziale riservata alla competenza dell’Amministrazione provinciale, deve enunciare le ragioni di tale scelta; diversamente il Piano sarebbe il risultato di una decisione arbitraria della Regione e si porrebbe in contrasto con il dettato della legge regionale che configura il Piano medesimo come atto complesso, derivante dal concorso di volontà di soggetti diversi".

Se ciò esclude la sussistenza di un’autonoma potestà regionale per la creazione di nuove aree estrattive, in ogni caso "il procedimento viene a configurarsi….come una serie di cerchi concentrici nell’ambito dei quali è possibile introdurre modificazioni", ma a tal fine deve ritenersi necessario che sulle nuove e diverse scelte operate dalla Regione sia "coerentemente assicurato il contraddittorio istruttorio al fine di non pervenire alla scelta di soluzioni non rispettose dei principi dettati dalla stessa legge regionale in tema di Piani cave: il principio del giusto procedimento si deve coniugare quindi anche con quello dell’adeguata istruttoria procedimentale, al fine di armonizzare i divergenti interessi coinvolti nella procedura pianificatoria estrattiva" (così la sentenza di questo Tribunale, I, 8 febbraio 2010, n. 618, che il Collegio condivide).

Ne deriva che, come chiarito nella sentenza di questo Tribunale del 4 maggio 2009, n. 893, "le norme degli artt. 7 e 8 comma 1 della l. r. 14/98, là dove prevedono che alla proposta presentata dalla Provincia sentiti i Comuni la Giunta regionale possa apportare "integrazioni e modifiche" da sottoporre poi al Consiglio regionale per l’approvazione finale, va interpretata nel senso che si possano apportare in modo puro e semplice solo modifiche di mero dettaglio, ovvero imposte dall’adeguamento ad obblighi normativi. In tutti gli altri casi, non va stravolto il carattere provinciale del piano, e quindi le modifiche non si possono inserire se non ripetendo la procedura che ha condotto alla proposta arrivata alla Giunta".

Richiamati i principi sin qui enunciati, nel caso di specie si rende necessario andare oltre, in considerazione del fatto che il contenuto finale del Piano si discosta non solo dalla proposta Provinciale, ma anche dallo strumento pianificatorio disposto dalla stessa Giunta Regionale. Tale andamento dei fatti ha un chiaro riflesso sulla sussistenza di uno specifico obbligo di motivazione, che, sebbene non possa configurarsi, in linea di principio, in ordine ad atti dal contenuto generale e pianificatorio, appare invece affermarsi con una certa forza laddove il provvedimento finale contraddice le scelte anteriori, discostandosi, nella determinazione del contenuto dello stesso, dagli esiti e le evidenze cui hanno condotte le complesse indagini istruttorie, anche della stessa Regione, snodatesi nel corso di più anni e poste nel nulla in modo repentino e privo di alcun supporto tecnico. Ciò anche tenuto conto della necessità di non trascurare il legittimo affidamento ingenerato nei confronti della società odierna ricorrente.

Peraltro uno specifico obbligo di motivazione si impone anche in considerazione della circostanza per cui la C.S. s.r.l. aveva espressamente rappresentato l’incongruenza dei dati tecnici previsti dalla scheda di Piano originaria, derivante dall’impossibilità di raggiungere una profondità di scavo di 14 metri e, quindi, di escavare 2.650.000 mc di materiale con la limitata estensione dell’ambito autorizzata, la quale avrebbe dovuto essere ampliata verso Ovest, per consentire il pieno sfruttamento.

Nel ripristinare la originaria previsione del Piano provinciale, quindi, la Regione avrebbe dovuto tenere conto di tali osservazioni e disporre una verifica di quanto evidenziato dalla società interessata alla coltivazione. Del resto la documentazione prodotta in vista della pubblica udienza conferma la validità della tesi di parte ricorrente, essendo stata autorizzata, nell’approvazione del progetto di gestione, l’escavazione solo fino ad una profondità di 12 metri.

Sotto questi, specifici, profili, il provvedimento impugnato appare, quindi, viziato. Rientra, invece, nella valutazione discrezionale rimessa agli organi coinvolti nel procedimento riesaminare le deduzioni relative alla mancata considerazione del passaggio del tempo e del conseguente quasi esaurimento del quantitativo di escavazione previsto.

Quest’ultime, peraltro, riguardono fatti sopravvenuti, irrilevanti in sede di valutazione della legittimità originaria dei provvedimenti.

Così accolto il ricorso, le spese del giudizio seguono l’ordinaria regola della soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla l’atto impugnato.

Condanna la Regione al pagamento delle spese del giudizio a favore della società ricorrente, nella misura di Euro 3.000,00 (tremila/00), oltre ad IVA, C.P.A., rimborso forfetario delle spese e rimborso del contributo unificato anticipato ai sensi del comma 6 bis dell’articolo 13 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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