T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, Sent., 19-10-2011, n. 2478 Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con l’odierno ricorso, presentato alla notifica il 15.11.2010 e depositato il successivo 23.11.2010, l’esponente società ha impugnato gli atti in epigrafe specificati, lamentandone la illegittimità sotto più profili.

In sostanza, secondo la ricostruzione di C.I. s.r.l. (da ora anche solo la società), il Comune non avrebbe dovuto procedere alla revoca parziale del permesso di costruire n.20/07 (da ora anche solo P.C.) e connessa DIA in variante, poiché l’intervento edilizio concernente il compendio immobiliare denominato "Casa Calcaterra" sarebbe stato eseguito nel pieno rispetto delle prescrizioni del Piano di Recupero (P.R.) e dei titoli autorizzativi successivi.

In particolare, il piano di riqualificazione oggetto dei suindicati atti non avrebbe affatto precluso all’esponente di procedere alla ristrutturazione mediante demolizione, in relazione a tutto l’articolato compendio immobiliare, costituito da due fabbricati a corte con due/tre piani fuori terra, recanti sull’angolo di una delle corti l’edificio denominato "la Villa", caratterizzato da un apparato stilistico e decorativo sulle facciate di nord ed ovest.

Di tutt’altro avviso la versione offerta dalla difesa comunale, secondo cui l’attività edilizia ammessa in ordine al succitato compendio (incluso dal vigente PRG del Comune di Gallarate in parte, in zona "A" – Centro Storico, in parte in zona "B4" – residenziale a verde privato, assoggettato a vincolo ambientale di cui all’art. 6.6 della NTA, salvo che per le facciate nord e ovest della "Villa", limitatamente alle quali vi sarebbe il più incisivo vincolo ex art. 6.5 delle NTA, essendo le stesse ritenute meritevoli di particolare tutela), avrebbe contemplato (in conformità all’art. 6.6 NTA cit.) gli interventi di ristrutturazione con demolizione soltanto per gli edifici a corte, soggetti a vincolo ambientale, ma non anche per la "Villa", per la quale l’art. 6.5 NTA avrebbe escluso la demolizione, ammettendo soltanto interventi di restauro.

Sta di fatto che, sul presupposto che la società, contravvenendo alle prescrizioni dei titoli abilitativi, avrebbe provocato la demolizione della "Villa", il Comune sarebbe intervenuto, dapprima con gli ordini di sospensione dei lavori, limitatamente alla "Villa"; indi, con la revoca parziale del P.C. e relativa DIA in variante, revoca su cui principalmente verte il ricorso introduttivo.

Si è costituito il Comune di Gallarate con atto depositato il 18.01.2011.

Con un primo atto di motivi aggiunti, depositati in data 01.03.2011, è stata formulata domanda incidentale di sospensione ed è stata estesa l’impugnazione all’ordine (PG. 55/2011) di non eseguire i lavori di cui alla DIA 46960/2010 (recante variante al P.C.), nonché, all’ordine, in pari data (PG.91/2011), di non eseguire i lavori di cui alla DIA 46961/2010, relativa all’autorimessa interrata (recante variante alla DIA 48399/2008).

Il Comune ha controdedotto alle censure avversarie con memoria depositata il 21.03.2011, sollevando, altresì, un’eccezione di irricevibilità del ricorso introduttivo.

Alla Camera di Consiglio del 24.03.2011, presenti gli avv. Liberto Losa per la parte ricorrente; Ercole Romano per il Comune intimato, la difesa ricorrente, in vista di una fissazione a breve della discussione di merito, ha rinunciato alla domanda cautelare; il Presidente ha, quindi, fissato l’udienza pubblica per il giorno 23 giugno 2011.

Con un secondo atto di motivi aggiunti, depositati in data 07.04.2011, la società ha esteso l’impugnazione, con contestuale richiesta di tutela cautelare, all’atto del 14.01.2011, prot. 1138, recante l’ordine di non eseguire i lavori di cui alla DIA prot. 48214 del 16.12.2010 (recante variante n. 4 al P.C.).

Ha resistito il Comune, controdeducendo con memoria del 18.04.2011 alle censure avversarie.

Con un terzo atto di motivi aggiunti, depositati il 18.04.2011, la società ha esteso l’impugnazione all’atto del 7.04.2011, prot. 14481, di diniego della proroga del termine per l’ultimazione delle opere, richiesta dall’esponente il 14.03.2011.

Alla Camera di Consiglio del 21.04.2011, l’avv. Losa ha chiesto il rinvio al merito della decisione sulla tutela cautelare; l’avv. Anghileri, con delega per la parte resistente, ha aderito alla richiesta; il Presidente ha rinviato la sospensiva al merito, già fissato al 23 giugno 2011.

Con un quarto atto di motivi aggiunti, depositati il 5.05.2011, l’impugnazione è stata estesa al doc. n.23 depositato da parte comunale e recante specificazioni motivazionali del provvedimento n. 1138 del 14.01.2011, impugnato con il secondo atto di motivi aggiunti.

Ha resistito il Comune, controdeducendo con memoria del 23.05.2011.

In prossimità della Pubblica Udienza entrambe le parti hanno depositato repliche.

Alla Pubblica Udienza del 23.06.2011, presenti gli avvocati L. Losa per la parte ricorrente, che ha dichiarato di rinunciare alla sospensiva ed E. Romano per l’Amministrazione intimata, il Collegio – dopo la discussione delle parti – ha trattenuto la causa per la decisione.

Motivi della decisione

1) Preliminarmente, il Collegio deve rilevare la parziale inammissibilità del ricorso, per difetto di interesse, per quella parte dell’impugnazione avente ad oggetto la nota comunale prot. 32023 del 5.08.2010, oltreché la comunicazione di avvio del procedimento del 24.09.2010.

Nel primo caso si tratta, infatti, di mero invito ad attenersi al rispetto dei titoli autorizzativi e alla conservazione del fabbricato denominato "Casa Calcaterra", rivolto dal dirigente del settore programmazione territoriale alla società.

Tale atto, benché valutabile dal giudice come elemento di prova in ordine all’ampiezza dell’intervento edilizio autorizzato dal Comune in ordine all’edificio "Villa Calcaterra", non assume valore provvedimentale e resta privo di autonoma lesività nei confronti dell’esponente, con ciò privandolo del prescritto interesse, concreto e attuale, all’impugnazione.

Ad analoghe conclusioni deve giungersi quanto alla comunicazione del 24.09.2010, trattandosi di atto endoprocedimentale, destinato a sfociare nella cd. revoca del 25.10.2010.

2) Deve essere, per contro, disattesa l’eccezione di irricevibilità per tardività del ricorso sollevata dalla resistente difesa, a proposito di tutti gli atti oggetto di gravame adottati nel mese di agosto 2010.

Tale eccezione, che è stata argomentata facendo leva sulla circostanza che il ricorso introduttivo sarebbe stato notificato soltanto al 61° giorno dalla conoscenza degli atti impugnati, in quanto spedito per posta il 15.11.2010, risulta, infatti, priva di fondamento.

Osserva, al riguardo, il Collegio come, ai sensi dell’art. 21 bis della legge 7.08.1990 n. 241, i provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei privati, ai quali si riconducono gli ordini di sospensione lavori (meglio indicati in epigrafe, ai nn. 3 e 4), acquistano efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso effettuata "anche nelle forme stabilite per la notifica agli irreperibili nei casi previsti dal codice di procedura civile".

Ebbene, l’ art. 149, co. III° c.p.c. prevede che la notificazione a mezzo del servizio postale si perfeziona, per il destinatario, dal momento in cui lo stesso ha avuto la legale conoscenza dell’atto, che, in caso di irreperibilità, coincide con il compimento delle formalità di cui all’art. 140 c.p.c., come rilette alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 3 del 14.01.2010.

Applicando le suesposte coordinate normative al caso in esame, la notificazione deve ritenersi perfezionata nei confronti della società con il decorso dei dieci giorni dalla spedizione della "raccomandata informativa", che risulta avvenuta il 16.08.2010 (cfr. doc. 12 e 13 allegati di parte resistente), e, quindi, in data 26.08.2010.

Ne consegue che, il termine di impugnazione dei succitati ordini di sospensione lavori, iniziando a decorrere dopo il periodo di sospensione dei termini nel periodo feriale, di cui alla legge 7 ottobre 1969 n.742 (che, come ricorda il Consiglio Stato, da ultimo con le due decisioni della sez. VI, 18 marzo 2011, n. 1661 e 23 febbraio 2011, n. 1145, è di 46 giorni, poiché tanti sono i giorni compresi nel periodo di sospensione che decorre dal 1° agosto al 15 settembre) deve ritenersi maturato alla data del 15.11.2010 (ovvero, decorsi 60 giorni dal 16 settembre 2011 che – come "dies a quo" – soggiace alla regola di cui all’art. 155, co.I° c.p.c., per cui "non computatur in termino". Cfr. sul punto, da ultimo, T.A.R. Piemonte Torino, sez. I, 16 giugno 2011, n. 639; T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 21 aprile 2009, n. 2073; id., sez. V, 4 marzo 2008, n. 1073).

Da qui la ritualità della notifica del ricorso, avvenuta il 15 novembre 2010, ossia, al sessantesimo giorno del termine d’impugnazione decorrente dal 16 settembre 2010.

3) Passando ad esaminare il merito del gravame, il Collegio osserva quanto segue.

3.1) Con il primo motivo, l’esponente deduce la violazione dell’ art. 11 del d.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 35 della L.R. Lombardia n. 12/2005, nonché, l’eccesso di potere per difetto dei presupposti e sviamento.

Ciò, in quanto il Comune avrebbe illegittimamente revocato (sia pure in parte qua), il permesso di costruire n.20/2007, atteso che esso sarebbe per legge irrevocabile. D’altra parte, rileva sempre la società, in caso di illegittima demolizione del manufatto oggetto di ristrutturazione, l’amministrazione dovrebbe fare uso dei suoi poteri sanzionatori, compreso l’ordine di ripristino dello status quo ante, ma non potrebbe, come qui per contro accaduto, esercitare il potere di autotutela, sotto forma di revoca o annullamento del titolo edilizio, e neppure adottare un provvedimento di decadenza, pena la violazione del principio di tipicità degli atti amministrativi.

Il motivo è infondato, nei sensi di seguito esposti.

Il Collegio ritiene opportuno, in primis, sgombrare il campo da ogni possibile condizionamento di ordine formalistico, derivante dalla qualificazione fornita da parte dell’amministrazione all’atto principalmente impugnato, posto che, come noto, gli atti amministrativi vanno interpretati, non solo, in base al loro tenore letterale, ma anche risalendo all’effettiva volontà della p.a. e al potere in concreto esercitato, potendosi così prescindere dal "nomen iuris" ad essi attribuito al momento dell’adozione (cfr., ex plurimis, Consiglio Stato, sez. VI, 27 luglio 2010, n. 4902).

Ebbene, nel caso che qui occupa, da un’approfondita lettura delle premesse dell’"atto di revoca parziale del permesso di costruire n.20/2007 e DIA in variante n.48399/2008", emerge la sostanza di un atto con cui l’amministrazione, accertata la sopravvenuta impossibilità, per fatto imputabile al "Soggetto Attuatore" (così il P.C. cit.), di realizzare il progetto di cui al predetto titolo edilizio (e, con esso, il fine avuto di mira con la predisposizione del predetto P.R., di cui alle deliberazioni C.C. nn. 27/05 e 47/05 come in epigrafe specificate), ha ritenuto di dover rivedere la pianificazione attuativa dell’area interessata dall’intervento.

Ciò che, quindi, traspare dall’atto in esame, non è tanto un ripensamento dell’amministrazione in ordine al bilanciamento dei contrapposti interessi (inammissibile in presenza di un permesso di costruire che, come tale, presenta carattere irrevocabile, in quanto manifestazione di un àgere vincolato della p.a.), quanto una presa d’atto del venir meno di un elemento essenziale dell’atto.

In altri termini, nel caso di specie il P.C. (e, prima ancora, il P.R. in funzione del quale il permesso è stato rilasciato, per la riqualificazione dell’area sita nel centro storico di Gallarate, in via Postporta, mediante il restauro della "Villa" ottocentesca), si rammostra affetto da nullità per sopravvenuta impossibilità dell’oggetto, provocata dal crollo della Villa medesima (arg. ex artt. 21 septies legge n. 241/1990 e 1418, II° co., 1346 cod. civ. A proposito del significato da attribuire alla espressa comminatoria di nullità degli atti amministrativi privi degli elementi essenziali, di cui all’art. 21 septies cit., cfr. T.A.R. Liguria Genova, sez. II, 01 ottobre 2010, n. 8154, che mette in chiaro come, anche per il provvedimento amministrativo, sia "predicabile lo statuto dell’atto giuridico: ossia, in primo luogo, che esso deve possedere gli elementi costitutivi immancabili di qualsiasi atto…; e, in secondo luogo, che le condizioni strutturali dell’atto, espressamente previste dalla norma, conformano la validità dell’atto prima ancora che l’esercizio del potere").

In tal senso, va chiarito come, sia il contenuto del P.R., valutato alla luce delle richiamate N.T.A. del P.R.G., riferibili all’area de qua, che la "relazione tecnica – bozza di convenzione", a sua volta richiamata nelle delibere del Consiglio Comunale di adozione/approvazione del P.R. stesso, inducano a ritenere che, il recupero del complesso edilizio denominato "Casa Calcaterra", trovi la propria ragion d’essere nella conservazione, previo restauro, della "Villa, realizzata… come ampliamento della corte preesistente, della seconda metà dell’ottocento" (da ora anche solo la Villa), sul presupposto che essa "presenta… una qualità tipologica sufficientemente evoluta per gli standards abitativi correnti" (cfr. pg. 2 della cit. relazione).

Che il recupero in questione abbia come imprescindibile presupposto la ristrutturazione, senza demolizione (e, quindi, il restauro), della Villa si ricava, peraltro, anche dalla previsione contenuta nell’art. 6.5 delle N.T.A. del vigente P.R.G.

Si tratta, com’è noto, di norma di grado superiore rispetto a quelle del Piano di Recupero, le cui previsioni – in quanto strumento urbanistico di carattere esecutivo – restano vincolate dalle norme di piano sovraordinato (cfr. Cassazione civ., sez. II^, 11.07.2000 n. 9175; id. 13.10.2000 n. 13639, Consiglio di Stato sez. V, 12.03.1992 n. 214), salva l’introduzione di un’espressa deroga, nel caso di specie insussistente.

A ben vedere, infatti, detta norma di P.R.G., che individua come parti di edificio ritenute meritevoli di particolare tutela le facciate nord ed ovest della Villa, limita (con una concisa ma chiara previsione di chiusura) gli interventi ammessi sul predetto edificio, nel senso che: "il massimo di livello di intervento ammesso è il restauro" (cfr. art. 6.5 N.T.A. cit).

Consegue da ciò che, contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, il contenuto dell’intervento edilizio autorizzato in relazione alla Villa, benché definito, nel P.R. come nel P.C., come "ristrutturazione", non includesse affatto la possibilità della demolizione della Villa, dovendosi intendere tale intervento conformato dal vincolo scaturente dalla previsione dell’art. 6.5 cit., e, quindi, più vicino alla categoria del restauro conservativo che a quella della ristrutturazione.

Non è di ostacolo a tale ricostruzione, come adombra di ritenere la difesa ricorrente, la previsione di un sopralzo della Villa, contenuta nella relazione allegata al P.R., non potendosi affatto escludere che detto sopralzo fosse compatibile con la conservazione dell’edificio sottostante (sembrando, anzi, logico ritenere che l’autorizzazione di un "sopralzo" presupponga proprio la permanenza della parte sottostante del fabbricato già esistente).

Significativa, poi, della specifica valenza con cui il concetto di ristrutturazione è stato qui impiegato dall’autorità emanante è la stessa epigrafe del P.C., ove si distingue la "ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione", prevista per gli edifici diversi dalla Villa, dalla semplice "ristrutturazione", prevista a proposito della Villa.

A tale distinzione fa riscontro, analizzando nel dettaglio la rappresentazione grafica delle Tavole progettuali (cfr., in particolare, la Tav. 1 allegata al permesso), la diversa colorazione prevista per la "residenza nuova" (ovvero, i fabbricati diversi dalla Villa), rispetto alla "residenza ristrutturata" (la Villa, appunto).

Ciò, senza contare la comunicazione (all. n. 11 di parte resistente) dell’arch. Piermichele Miano il quale, informato della demolizione della Villa, eseguita a sua insaputa, nel rendere nota all’amministrazione e alla proprietà la propria rinuncia all’incarico di direttore dei lavori, sino a quel momento rivestito, dà atto che il contenuto del P.R. e del permesso edilizio fosse chiaro nel senso di escludere la demolizione della Villa.

Consegue da tutto ciò che, venuto meno l’edificio da restaurare, elemento qualificante del progetto approvato nel piano di recupero e, quindi, del permesso di costruire rilasciato in attuazione del piano stesso, l’amministrazione ha legittimamente preso atto del venir meno, sia pure in parte, dell’oggetto stesso dell’intervento edilizio, rappresentato proprio dal recupero, mediante intervento di restauro conservativo, della ridetta Villa.

In tali evenienze, quindi, l’istituto idoneo a descrivere la situazione di difetto sopravvenuto (sia pure in parte qua) dell’oggetto del provvedimento amministrativo, non è tanto la revoca (termine erroneamente utilizzato dall’amministrazione nell’atto impugnato), quanto la nullità (parziale), ai sensi dell’art. 21 septies della legge n. 241/1990.

Ciò, in quanto ciò che si è venuta a delineare è un’ipotesi di invalidità del provvedimento amministrativo, per difformità del medesimo dal paradigma normativo.

Merita, pertanto, di essere condivisa la tesi del patrocinio resistente, secondo cui, al di là del nomen iuris utilizzato dall’amministrazione, l’atto di revoca parziale disvela, in realtà, una declaratoria di nullità (parziale) del permesso di costruire, per il (parziale) venir meno dell’oggetto del medesimo, rappresentato dalla Villa, quale elemento del patrimonio ediliziourbanistico esistente, attorno al quale ruotava l’intervento programmato nel piano di recupero e destinato ad essere attuato, in concreto, con il rilascio del permesso poi revocato (rectius annullato).

In definitiva, va riconosciuta la legittimità dell’operato dell’amministrazione che, ritenendo la Villa elemento qualificante del progetto edilizio programmato nel P.R., tutelato dall’art. 6.5 delle cit. N.T.A., ha ritenuto di dover procedere ad una nuova pianificazione esecutiva dell’area de qua, per tenere conto del venir meno di siffatto elemento, a causa dell’anzidetto crollo.

Il primo motivo si rivela, per quanto sin qui esposto, infondato.

3.2) Con il secondo motivo, la società deduce la violazione degli artt. 3 e11 del d.P.R. n.380/01; 27, 35 e 54 della L.R. Lombardia n.12/05, nonché dell’art.28 L.R. cit. in relazione al punto C2 del regolamento edilizio; e, ancora, l’eccesso di potere per travisamento e illogicità manifesta, oltreché per difetto di istruttoria.

In sostanza, qui l’esponente lamenta la erronea interpretazione della portata del permesso di costruire che, a suo dire, non avrebbe affatto posto il divieto di demolizione della Villa, anche perché la demolizione rientrerebbe senz’altro nel concetto di ristrutturazione edilizia.

D’altro canto, osserva sempre la ricorrente, la giurisprudenza ammetterebbe che, in caso di crollo accidentale, si possa procedere alla ristrutturazione. Lo stesso Regolamento edilizio del Comune di Gallare, poi, al punto C.2.1, ammetterebbe l’esecuzione di interventi ordinariamente soggetti a D.I.A. anche senza la predetta denuncia preventiva, ove essi si rendano necessari al fine di evitare un pericolo imminente per l’incolumità delle persone e l’integrità delle cose.

Il motivo è infondato.

Al riguardo, il Collegio si può limitare a richiamare quanto già esposto esaminando il primo motivo, a proposito della particolare pregnanza da assegnare alla previsione dell’art. 6.5 delle N.T.A. e alla relazione illustrativa del Piano di recupero, nonché, da ultimo, anche alla Tav. 1 allegata al permesso di costruire, al fine di delineare gli esatti contorni dell’intervento edilizio ammesso in relazione alla Villa.

L’uso del termine "ristrutturazione" nel P.R., come pure nel P.C., non può essere avulso dal contesto di riferimento e, soprattutto, non può essere valutato a prescindere dalle prescrizioni della norma sovraordinata di P.R.G.

In sostanza, una valutazione complessiva della documentazione relativa alla pianificazione dell’area de qua, non disgiunta da una congrua valorizzazione della ratio sottesa alla cit. pianificazione esecutiva, non può che indurre a giustificare l’uso del termine ristrutturazione in luogo di quello di restauro (l’unico ammesso nelle norme di P.R.G.), avuto riguardo alla volontà dell’amministrazione di ammettere il sopralzo dell’edificio, in quanto ritenuto compatibile con il recupero e, quindi, con il mantenimento delle facciate della Villa soggette al vincolo ex art. 6.5 cit.

Né tale sopralzo può ritenersi, di per sé, idoneo a snaturare la portata dell’intervento di recupero di che trattasi, tenuto anche conto dell’ampia definizione di tale intervento contenuta nell’art. 31 della legge 5.08.1978 n.457.

Discende da ciò che, l’intervento sulla Villa, così come configurato nel P.R. e nel P.C., con la previsione del mantenimento, previo restauro e sopralzo, della Villa, non è in contrasto, né con la ratio del piano di recupero, né con la prescrizione dell’art. 6.5 cit.

Quanto all’accidentalità del crollo, asserita da parte ricorrente a dimostrazione della non volontarietà della demolizione e, quindi, dell’illegittimità della sopravvenuta revoca (rectius dell’annullamento), il Collegio non può che ritenere sfornita di prova tale evenienza, tanto più in considerazione di quanto comunicato dal direttore dei lavori nella citata lettera di rinuncia all’incarico.

3.3) Passando ad esaminare il terzo motivo, con cui l’esponente denuncia la violazione degli artt. 10 e ss. del d.P.R. n.380 cit., 33 e ss L.R. 12 cit., nonché l’eccesso di potere per travisamento, illogicità manifesta e difetto di istruttoria, si osserva quanto segue.

Stando alla tesi ricorrente, né il P.R., né il P.R.G. vieterebbero esplicitamente la ristrutturazione mediante demolizione, dovendosi reputare altrimenti illegittimo l’art. 6.5 cit., ove fosse interpretato come preclusivo degli interventi di demolizione e ricostruzione ove necessari.

Il motivo è infondato.

Anche qui, il Collegio ritiene sufficiente richiamare le considerazione già esposte esaminando il primo motivo di ricorso, a proposito del contenuto dell’intervento di ristrutturazione ammesso in relazione alla nota Villa.

La lettura della relazione allegata al P.R., nonché dell’art. 6.5. delle N.T.A. del P.R.G., induce ad escludere che l’intervento edilizio ammesso sulla Villa includa la demolizione dell’edificio.

Né si può seguire il ragionamento della ricorrente, laddove pretende di imporre una lettura del P.R. contrastante con le N.T.A. del P.R.G., giustificata dall’attitudine del primo a porsi come variante del secondo.

In verità, giova ribadire come, in linea generale, siano le norme del P.R.G. a porre prescrizioni vincolanti per la pianificazione esecutiva portata dal P.R., mentre l’introduzione di specifiche varianti da parte della pianificazione di dettaglio deve chiaramente emergere dal contenuto del piano ed essere funzionale allo scopo del recupero.

Nel caso di specie, l’unica variante (adottata ai sensi della L.R. n. 23/1997, art. 2, co. 2, lett. d e g) che emerge in relazione alla Villa dagli atti di causa, è quella afferente la possibilità "del sopralzo della Villa nella intesa di realizzare una nuova linea di gronda più alta, unificante anche per i corpi doppi più prossimi" (cfr. la relazione tecnica già cit.), e da ritenersi, per quanto già detto, compatibile con la permanenza del vincolo scaturente dalla prescrizione di cui all’art. 6.5 cit.

Si rivela, infine, inammissibile per difetto di interesse, la censura avanzata contro tale articolo, per la denegata ipotesi che fosse interpretato nel senso di precludere intereventi di demolizione in caso di precarietà delle condizioni dell’immobile, atteso che, tale non è l’interpretazione della norma fatta propria dall’amministrazione nel caso che qui occupa.

E, di vero, l’art. 6.5 prevede la possibilità di autorizzare la sostituzione di parti di strutture orizzontali o verticali, ma: "quando venga inoppugnabilmente dimostrato, anche attraverso un’adeguata documentazione grafica e fotografica, lo stato di pericolosità degli elementi stessi".

Sennonché, come chiaramente emerge dagli atti impugnati, qui non è stata la p.a. a negare l’autorizzazione alla demolizione per la conclamata situazione di pericolosità della Villa, ma è stata la stessa società a non avvalersi del disposto della succitata previsione, omettendo di fornire all’amministrazione i dovuti ragguagli sullo stato di pericolosità del predetto immobile.

Deve essere ribadita, dunque, l’infondatezza del motivo poc’anzi scrutinato.

3.4) Con il quarto motivo, l’esponente deduce la violazione degli artt. 3 e 11 del d.P.R. n.380 cit., 14, 27, 35 e 54 della L.R. 12 cit., 3 della legge n. 241/1990; nonché l’eccesso di potere per travisamento, illogicità manifesta, difetto di istruttoria e di motivazione.

Ciò, in quanto, l’esplicito richiamo contenuto nell’art. 3 della convenzione attuativa del P.R., alla possibilità di apportare, in sede di progettazione esecutiva, le modifiche indicate dall’art. 7 della L.R. 23 cit. confermerebbe che, a dispetto di quanto affermato nel provvedimento impugnato, il piano attuativo non conterrebbe previsioni rigide e inderogabili, al di là del rispetto delle caratteristiche tipologiche di impostazione del piano attuativo stesso.

Il motivo è infondato.

Il Collegio non può non riportarsi, anche qui, alle considerazioni espresse in precedenza, rimarcando come la demolizione della Villa abbia provocato un vulnus alla previsione dell’art. 6.5 delle N.T.A., con il passaggio da un intervento (ammesso) di risanamento conservativo ad uno (vietato) di ristrutturazione mediante demolizione.

Con la distruzione della Villa e, con essa, delle facciate nord ed ovest oggetto di particolare tutela, sono state, infatti, irrimediabilmente compromesse le caratteristiche tipologiche d’impostazione dello strumento attuativo, collocando, per ciò solo, l’intervento in questione al di fuori dei limiti di ammissibilità prescritti dall’art. 7 della L.R. n. 23 cit. per le varianti planivolumetriche.

3.5) Il quinto e il sesto motivo possono essere esaminati congiuntamente, vertendo entrambi sulla estensione della revoca parziale alla D.I.A. in variante n. 48399/2008; con essi, infatti, si deduce la illegittimità per violazione degli artt. 3 e 11 del d.P.R. n. 380 cit., 27, 35 e 54 della L.R. n.12 cit., 3 della legge n. 241 cit., nonché, l’eccesso di potere per difetto e contraddittorietà della motivazione, difetto di istruttoria, travisamento, illogicità, contraddittorietà, violazione del principio di proporzionalità.

Ciò, in quanto il provvedimento impugnato avrebbe erroneamente disposto la revoca parziale anche della DIA n. 48399/2008 (cd. prima variante), relativa alle opere da eseguirsi nel sottosuolo della Villa, sul presupposto che si tratti di variante del titolo edilizio originario che, in quanto tale, non potrebbe sopravvivere all’annullamento di quest’ultimo.

Da qui, l’illegittimità della revoca parziale della D.I.A. in variante, per le stesse censure dedotte col primo motivo di ricorso, nonché, per invalidità derivata da quella della revoca del P.C.

Il motivo è infondato.

La rilevata infondatezza delle censure sin qui scrutinate, a proposito del provvedimento di revoca del p.c., trae seco l’infondatezza della dedotta invalidità derivata, nonché, dei vizi con cui si ripropongono le questioni già esaminate, a proposito della riqualificazione in termini di nullità parziale del provvedimento di revoca parziale qui gravato.

Per il resto, rileva il Collegio come l’estensione della declaratoria di nullità alla D.I.A. in variante, n. 48399/2008, sia una conseguenza inevitabile del collegamento funzionale tra l’oggetto del P.C. e quello della predetta D.I.A.

Si tratta, infatti, di parcheggi di pertinenza della Villa, per cui è indubbio che, demolita quest’ultima (la "cosa principale", ex art. 817 c.c.), venga meno anche la ragion d’essere dei primi (destinati ad essere subordinati funzionalmente alla Villa).

Si deve, pertanto, ritenere che la nullità parziale del P.C. si ripercuota inevitabilmente sulla D.I.A. in variante, per la parte concernente i parcheggi sottostanti la Villa, a causa dell’interdipendenza oggettiva e funzionale tra l’intervento assentito nel primo in ordine alla Villa, e quello previsto nella seconda (i parcheggi sottostanti la Villa).

3.6) Con il settimo motivo, si deduce la illegittimità della revoca per violazione degli artt. 3 e 11 del d.P.R. n. 380 cit., 27, 35 e 54 della L.R. n.12 cit., nonché, l’eccesso di potere per travisamento, illogicità manifesta e difetto di istruttoria.

Ciò, in quanto non corrisponderebbe al vero, che l’amministrazione comunale sarebbe venuta a conoscenza dello stato di precarietà dell’immobile soltanto in data 09.08.2010, su denunzia di terzi.

Il motivo è, prima ancora che infondato, inammissibile per genericità.

Al riguardo, si osserva come, l’unico appiglio della tesi ricorrente, a proposito della risalente conoscenza comunale dello stato di precarietà dell’immobile, fa leva su una fotografia (all. n. 17) che, però, non presenta alcuna data certa di riferimento (salvo quella degli atti a cui è allegata, ovvero la d.C.C. 4.10.2010 di adozione del P.G.T. che, tuttavia, è successiva a quella dei provvedimenti qui gravati).

D’altro canto, sempre fra gli allegati di parte ricorrente, esaminando la foto allegata sub n. 16, rappresentativa – a detta dell’esponente – dello "stato del complesso edilizio prima dell’esecuzione dei lavori" (cfr. pg. 42 del ricorso introduttivo), si ricava un’immagine della Villa che, contrariamente a quanto asserito dalla società, ne rivela uno stato tutt’altro che precario.

Tanto basta a dimostrare, quindi, l’infondatezza anche del suesposto motivo.

3.7) Con l’ultimo motivo del ricorso introduttivo si deduce nuovamente la violazione degli artt. 3 e 11 del d.P.R. n.380 cit., 27, 35 e 54 della L.R. 12 cit., nonché, la violazione del d.lgs. 22.01.2004; dell’art. 42, co.2, lett. b) del d.lgs. n. 267/00, nonché, l’incompetenza e l’eccesso di potere per travisamento, illogicità manifesta, difetto di istruttoria e sviamento.

Ciò, in quanto si contesta l’interpretazione comunale delle N.T.A. del P.R.G. e del P.R. come preclusive della ristrutturazione mediante demolizione della Villa, deducendosi, altresì, l’incompetenza dirigenziale ad effettuare scelte di pianificazione urbanistica.

Il motivo è infondato.

Il Collegio non può che richiamare, al riguardo, quanto già esposto scrutinando i primi due motivi del ricorso, a proposito della portata dell’art. 6.5 N.T.A. e dei rapporti tra P.R.G. e P.R.

Per il resto, è evidente l’inammissibilità della censura di incompetenza, non esprimendo l’atto di revoca impugnato alcuna scelta attuale di pianificazione urbanistica.

4) Per le considerazioni che precedono, il ricorso introduttivo deve essere dichiarato in parte inammissibile e, per il resto, respinto in ogni domanda con esso formulata, compresa quella risarcitoria, per difetto dei relativi presupposti (primo fra tutti, quello rappresentato dall’agire provvedimentale illegittimo della p.a.).

B) Motivi aggiunti – I° atto.

5) Passando ad esaminare il primo atto di motivi aggiunti, riguardante l’ordine del 03.01.2011 (PG. 55) di non eseguire l’intervento di cui alla D.I.A. del 7.12.2010, prot. 46960 (cd. seconda variante, relativa sempre al P.C.), necessaria per consentire la ricostruzione della Villa, nonché, l’ordine, in pari data (PG.91), di non eseguire l’intervento di cui alla D.I.A. 7.12.2010, prot. 46961 (cd. terza variante, relativa ai lavori dell’autorimessa interrata, di cui alla D.I.A. 48399/2008), il Collegio osserva quanto segue.

5.1) E’ di tutta evidenza, stante quanto sin qui rilevato, l’infondatezza delle censure che fanno leva sulla invalidità derivata dagli atti impugnati col ricorso introduttivo, stante l’esito di quest’ultimo, come sopra accertato.

5.2) Analogamente, devono essere respinte le censure proposte avverso i suindicati ordini, ove le stesse si limitano a riprodurre i motivi già esposti nel ricorso introduttivo, essendo qui estensibili le stesse argomentazioni già spese in precedenza per confutare la tesi della società.

5.3) Quanto ai restanti motivi, va condivisa l’impostazione della difesa resistente, laddove essa tende a prospettare l’inammissibilità delle censure autonomamente rivolte verso i provvedimenti inibitori delle varianti de quibus, sul presupposto che le varianti medesime non avrebbero più alcuna ragion d’essere, una volta decretata la nullità (in parte qua) del titolo edilizio principale.

Trattandosi, infatti, di D.I.A. in variante a un permesso edilizio in precedenza (in parte qua, ovvero, per ciò che attiene alla Villa) venuto meno, anch’esse si appalesano nulle per mancanza, ovvero, per impossibilità sopravvenuta dell’oggetto, stante lo stretto rapporto di interdipendenza funzionale che lega le succitate varianti al permesso edilizio originario.

Si tratta, giova ribadire, di varianti che, o (com’è per la prot. 46960/2010) sono volte ad introdurre modifiche al progetto della stessa Villa, oppure (prot. 46961/2010) afferiscono all’utilizzo del sottosuolo della Villa medesima.

Ne consegue che, nessun interesse può sorreggere le censure autonomamente svolte avverso gli ordini inibitori dei lavori di cui alle due D.I.A. in variante sopra menzionate, trattandosi di censure inidonee a superare l’effetto di invalidità derivata caducante su di esse prodotto dalla nullità del titolo edilizio principale.

6) Consegue da ciò che anche il primo atto di motivi aggiunti deve essere respinto, stante l’infondatezza delle domande con esso introdotte, compresa quella risarcitoria, per difetto dei relativi presupposti (primo fra tutti, quello rappresentato dall’agire provvedimentale illegittimo della p.a.).

C) Motivi aggiunti – II° atto.

7) Con il secondo atto di motivi aggiunti, depositati il 7.04.2011, l’esponente ha impugnato l’ordine (prot. 1138) del 14.01.2011 di non eseguire i lavori di cui alla DIA (prot. 48214) del 16.12.2010 (cd. quarta variante).

Si tratta, spiega l’istante, di variante che non riguarderebbe la Villa, ma le restanti porzioni del complesso edilizio, allo scopo di realizzare un marginale adeguamento progettuale delle falde di copertura del tetto e la conformazione estetica di due facciate del complesso.

Di tutt’altro avviso la difesa comunale, secondo cui le modifiche dell’originario progetto sarebbero tutt’altro che marginali, consistendo nella traslazione (avanzamento di sedime) di circa metri 5,30 per un edificio e di uno scostamento in rientro pari a metri 3,50 per un altro edificio, sì da porsi in palese contrasto col disposto dell’art. 6.1, nono comma della N.T.A. del P.R.G., che consente detta traslazione soltanto per consentire la realizzazione di percorsi pedonali e porticati di uso pubblico qui insussistenti.

Anche i suddetti motivi aggiunti sono infondati, per le ragioni di seguito specificate, analizzando i singoli motivi.

7.1) Col primo motivo, si deduce la violazione di legge, con particolare riguardo agli artt. 22 e 23 del d.P.R. n. 380 cit., poiché l’ordine inibitorio sarebbe pervenuto all’istante oltre il termine di trenta giorni prescritto dalle citate norme.

Sul punto, osserva il Collegio come, dalla documentazione versata in atti, emerga come la cit. D.I.A. sia pervenuta in Comune in data 16.12.2010, mentre l’ordine inibitorio sia stato consegnato per la notifica al messo notificatore in data 14.01.2011 (quindi entro i trenta giorni), benché ricevuto dalla società soltanto il 18.01.2011.

Si tratta, allora, di stabilire se, la scadenza del termine (perentorio) di trenta giorni previsto per l’eventuale intervento inibitorio da parte dell’amministrazione, debba coincidere col perfezionamento del processo decisionale pubblico, oppure, col momento in cui l’ordine inibitorio è entrato nella sfera di effettiva conoscenza del privato istante.

Al riguardo, il Collegio ritiene di poter condividere l’impostazione seguita, tra l’altro, dalla giurisprudenza richiamata nella memoria del Comune resistente (TAR Puglia, Lecce, 30.04.2010 n. 1064), secondo cui: "… è sufficiente che nel termine perentorio di trenta giorni l’ordine sia stato adottato e, tutt’al più, inviato, mentre la notifica (ossia la materiale conoscenza dell’ordine da parte del privato istante) può ragionevolmente avvenire, in considerazione degli ordinari tempi tecnici, anche successivamente a tale termine. Tale impostazione è peraltro coerente con quanto stabilito dalla Corte costituzionale a proposito della notifica di atti giudiziari, ove si è affermato che la notificazione si perfeziona, per il notificante, alla data di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario anziché a quella, successiva, di ricezione dell’atto da parte del destinatario antecedente.

Sarebbe infatti palesemente irragionevole che un effetto di decadenza possa discendere dal ritardo nel compimento di un’attività riferibile non al notificante, ma a soggetti diversi (l’ufficiale giudiziario, l’agente postale oppure il messo comunale, come nella specie), e perciò del tutto estranea alla sfera di disponibilità del primo. Gli effetti della notificazione (ritiene il collegio anche laddove si tratti di atti amministrativi con effetti restrittivi della sfera giuridica del destinatario) devono dunque essere ricollegati, per quanto riguarda il notificante, al solo compimento delle attività a lui direttamente imposte dalla legge, ossia alla consegna dell’atto da notificare al soggetto a ciò preposto (cfr. in termini, Corte cost., 26 novembre 2002, n. 477)".

Alla luce di quanto sopra, l’ordine di non effettuare l’intervento deve ritenersi tempestivamente adottato, atteso che la decisione è stata inviata in data 14.01.2011, ossia entro i trenta giorni previsti dalla legge.

Il primo motivo deve essere, pertanto, rigettato.

7.2) Col secondo motivo, l’esponente deduce la violazione dell’art. 10 bis., non essendo stato l’ordine inibitorio preceduto dalla comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della denuncia.

Osserva all’uopo il Collegio come, la fattispecie di cui all’art. 10bis cit. (per cui, fra l’altro:"Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l’autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda"), non sia applicabile all’istituto della D.I.A., così come disciplinato dagli artt. 22 e 23 del d.P.R. n. 380/2001.

Ciò, in quanto qui non è affatto configurabile un’istanza tesa ad ottenere un provvedimento amministrativo, ma un titolo abilitante con cui si comunica l’intenzione di intraprendere un’attività direttamente ammessa dalla legge.

Il procedimento amministrativo, semmai, è quello preordinato all’esercizio del potere inibitorio di riscontro dell’esistenza dei presupposti di legge che, però, essendo doveroso (e, quindi, officioso), non può essere considerato "ad istanza di parte".

Ciò, senza considerare che la disciplina della D.I.A. lascia comunque aperta la possibilità di un dialogo costruttivo dell’interessato con l’amministrazione, stante la possibilità del privato istante di ripresentare la denuncia, sia pure emendata delle carenze riscontrate dalla p.a. (cfr., in terminis: T.A.R. Veneto Venezia, sez. II, 13 settembre 2005, n. 3418, secondo cui:"… l’istituto della denuncia di inizio di attività, disciplinato dagli art. 22 e 23 d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, evidenzia profili di incompatibilità con le nuove norme di ordine generale dettate in tema di "comunicazione (preventiva) dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza"; in particolare (precisato che il procedimento segnatamente disciplinato dall’anzidetto art. 23 d.P.R. n. 380 del 2001 si sostanzia nella formazione di un titolo "ex lege") l’adozione del provvedimento con il quale l’amministrazione comunale ordina al privato di non effettuare l’intervento da lui denunciato non deve essere preceduta dalla comunicazione di cui al predetto art. 10 bis, ostando in tal senso non solo la circostanza che la denuncia di inizio di attività non può, letteralmente, considerarsi una "istanza di parte", ma anche (e soprattutto) la speciale disciplina "della notifica all’interessato" dell’"ordine motivato di non effettuare il previsto intervento", contenuta dal comma 6 dell’art. 23 cit., dove già è prevista la motivazione dell’ordine inibitorio e dove viene assicurata una forma di confronto e di tutela del privato, a favore del quale viene comunque fatta "salva la facoltà di ripresentare la denuncia di inizio attività, con le modifiche o le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica ed edilizia"").

Ne consegue l’infondatezza anche del secondo motivo.

7.3) Col terzo motivo l’esponente denuncia la violazione degli artt. 10, 22 e 23 del d.P.R. 380 cit., 41, 42 e 43 della L.R. n.12/2005, 42 d.lgs. n. 267/2000, nonché l’incompetenza organica e l’eccesso di potere per difetto dei presupposti e sviamento.

Ciò, in quanto, pur concretando la D.I.A. un atto a contenuto vincolato, la p.a. l’avrebbe inibita senza specificare le ragioni di contrasto con la disciplina urbanistica vigente, ma soltanto sulla base di presunte difformità con strumenti urbanistici futuri, la cui adozione, peraltro, non sarebbe di spettanza dirigenziale ma del Consiglio comunale.

Il motivo è infondato.

In verità, l’ordine inibitorio reca l’indicazione di specifiche ragioni ostative all’attività denunciata, tra cui: la violazione dell’art. 6.1 delle N.T.A. del P.R.G.; la mancanza del nullaosta paesaggistico e la violazione dell’art. 41, comma 1 della legge reg.n.12 cit.

Per il resto, è evidente l’inammissibilità della censura di incompetenza, non esprimendo l’atto di che trattasi alcuna scelta attuale di pianificazione urbanistica.

7.4) Con il quarto motivo si deduce, poi, il difetto di motivazione, poiché non sarebbero state chiarite le ragioni del presunto contrasto della variante de qua con l’art. 6.1, comma 9 delle N.T.A.

Il motivo è infondato.

La motivazione dell’impugnato ordine inibitorio fa chiaramente leva sul contrasto dei lavori progettati ad oggetto della D.I.A. con le prescrizioni dello strumento urbanistico generale, al cui rispetto si richiama, a sua volta, l’art. 3 della convenzione attuativa del P.R.

L’art. 6.1 comma 9 delle norme di piano generale, infatti, circoscrive chiaramente l’ammissibilità degli interventi comportanti, fra l’altro, "la traslazione", all’ipotesi che siano destinati alla realizzazione di percorsi pedonali e porticati di uso pubblico, "qualora espressamente richiesti dall’amministrazione comunale".

Discende da quanto sopra, quindi, che la possibilità di introdurre varianti planivolumetriche in fase attuativa resta saldamente ancorata (come ribadito dallo stesso art. 3 della Conv.) al duplice presupposto, qui insussistente, del rispetto dell’art. 7, co. 10 della l.r. n. 23/1997 (per cui:"Non necessita di approvazione di preventiva variante… la previsione, in fase di esecuzione, di modificazioni planivolumetriche, a condizione che queste non alterino le caratteristiche tipologiche di impostazione dello strumento attuativo stesso, non incidano sul dimensionamento globale degli insediamenti e non diminuiscano la dotazione di aree per servizi pubblici o di uso pubblico) e del disposto dell’art. 6.1 N.T.A. del P.R.G. sopra riportato.

A dispetto di quanto sostenuto da parte ricorrente, si deve, infatti, ritenere che tale norma faccia chiaramente riferimento all’ipotesi della traslazione dell’area di sedime, cui è riconducibile l’intervento della D.I.A. che qui occupa, inibito dalla p.a. proprio in quanto, come si ricava dall’atto impugnato, i lavori denunciati danno luogo ad una modifica del P.R., consistente in "una differente giacitura e sagoma" delle opere da realizzare.

7.5) Con il quinto e il sesto motivo, da trattare congiuntamente in quanto vertenti su questioni analoghe, l’esponente nuovamente deduce il difetto di motivazione in ordine alla reale consistenza delle modifiche introdotte con la variante de qua.

Il Collegio si limita, allora, a richiamare quanto già esposto esaminando il precedente motivo, con la precisazione che l’art. 6.1 N.T.A. è applicabile anche al caso che qui occupa, dettando "norme generali" (così la rubrica dell’articolo in questione) in ordine agli interventi ammessi in zona A (qual è quella in cui ricade l’intervento che qui occupa).

Quanto all’ampiezza delle modifiche apportate al progetto originario, l’esistenza delle traslazioni si ricava agevolmente dalla disamina della Tav. 20, allegata alla D.I.A. e prodotta in atti da entrambe le parti, così confermando l’assunto dell’amministrazione.

A ben vedere, anche accogliendo la descrizione di parte esponente, che connota le modifiche oggetto della variante de qua come "modifica dell’andamento delle coperture e della composizione della facciata", nondimeno emerge l’esistenza di uno spostamento dell’area di sedime, che dà luogo alla riscontrata violazione dell’art. 6.1 N.T.A., oltreché alle ulteriori carenze evidenziate dall’amministrazione nell’atto impugnato.

I suesposti motivi si appalesano, pertanto, infondati.

7.6) Passando ad esaminare il settimo motivo, con esso l’esponente si duole di ulteriori considerazioni espresse dall’amministrazione nell’atto impugnato le quali, facendo leva sulle "modalità di intervento sulla Villa", non sarebbero affatto attinenti ai lavori oggetto della D.I.A. qui inibita.

Orbene, ritiene il Collegio che le censurate considerazioni dell’amministrazione, essendo volte a fornire una visione d’insieme della vicenda relativa all’intervento edilizio oggetto dell’odierno P.R., non appaiono determinanti ai fini dell’inibitoria qui avversata, la quale poggia su specifiche ragioni, puntualmente indicate dall’amministrazione, e oggetto delle censure svolte nei motivi in precedenza esaminati (sub. nn. 7.3, 7.4 e 7.5).

Il motivo si rivela, pertanto, inammissibile per difetto di interesse.

7.7) L’ottava censura si concentra su una delle ragioni addotte dall’amministrazione a supporto dell’inibitoria, che fa leva sulla mancanza dell’autorizzazione paesaggistica, in relazione al progetto attuale, siccome diverso da quello sul quale era stata ottenuta l’autorizzazione comunale in data 08.05.2009 n.40.

Il motivo è infondato.

Non è chi non veda la diversità dell’intervento oggetto dell’autorizzazione intervenuta a maggio 2009 e, quindi, in epoca anteriore al noto "crollo" della Villa, rispetto all’intervento oggetto dell’odierna D.I.A.

Se, come già evidenziato, la sopravvenienza del crollo giustifica ampiamente la necessità di un rinnovato esercizio del potere di pianificazione urbanistica da parte della competente p.a., per il venir meno di una parte significativa dell’oggetto della precedente pianificazione, allo stesso modo, ben si comprende la necessità di una nuova autorizzazione paesaggistica dell’intervento in questione.

Né si può condividere la tesi esponente, incline ad annettere all’intervento sulle restanti parti del compendio, diverse dalla Villa, una sorta di neutralità e/o di indifferenza rispetto a quanto accaduto in relazione alla Villa stessa, atteso che, la stessa società ha reso evidente, con le varianti richieste per l’intervento de quo, che proprio la sopravvenienza rappresentata dal famoso crollo ha reso necessari adattamenti progettuali di non trascurabile consistenza. Si tratta, giova ribadire, dell’avanzamento di sedime di un edificio, dello scostamento in rientro per altro edificio (entrambi ricavabili dalla Tavola 20 del progetto in variante, all. sub n. 27 di parte resistente e confermati in dettaglio nel doc. n. 23 della difesa comunale), oltre alle variazioni di prospetto degli edifici diversi dalla Villa.

D’altra parte, il Collegio non ritiene condivisibile l’impostazione di parte ricorrente che, al fine di escludere l’assoggettabilità degli interventi de quibus dal vaglio della competente autorità in materia paesaggistica, ne sminuisce l’importanza, tenuto conto che si tratta di modifiche sostanziali della localizzazione degli edifici sulle rispettive aree di pertinenza, riconducibili alla previsione delle "variazioni essenziali" di cui all’art. 32, co. 1, lett. c) del d.P.R. n. 380/2001.

In aggiunta a ciò, va sottolineato come si tratti di modifiche ricadenti su edifici posti in zona vincolata (ai sensi degli artt. 6.5 e/o 6.6. N.T.A. cit.) e come tali considerate ex lege come interventi "in totale difformità dal permesso" ai sensi dell’art. 32, co. III° d.P.R. cit.

Ad ulteriore supporto della descritta incisività delle modifiche progettuali in questione, tali da implicare un nuovo assoggettamento ad autorizzazione paesaggistica, è utile richiamare, come fa la difesa resistente, l’art. 3 dell’allegato al d.P.C.M. 12.12.2005, recante: "Individuazione della documentazione necessaria alla verifica della compatibilità paesaggistica degli interventi proposti…".

Detto articolo, infatti, valorizza – per una corretta redazione della relazione paesaggistica a corredo della relativa istanza – proprio la rappresentazione dell’opera non avulsa dal contesto di riferimento.

Per le suesposte considerazioni, anche l’ottavo motivo si appalesa infondato.

7.8) Con il nono motivo la società deduce la violazione degli artt. 22 e 23 del d.P.R. n. 380 cit., nonché degli artt. 41 e 42 della legge reg. 12 cit., oltre all’eccesso di potere per travisamento, illogicità manifesta e difetto di istruttoria. In sostanza, ciò di cui qui ci si duole, è che non siano state considerate come variante assentibile con DIA le modifiche sopra riportate, riconducibili alla previsione di cui all’art. 41 cit.

Il motivo è infondato.

La ricorrente trascura qui di considerare, che l’intervento oggetto della quarta variante deve essere pur sempre ricollegato a quanto previsto nell’originario permesso di costruire n. 20, a sua volta adottato in attuazione del P.R. più volte citato.

Ne consegue, che non può essere qui reclamata l’applicazione del primo comma dell’art. 41 cit., non potendosi estrapolare le modifiche de quibus dal contesto di riferimento, caratterizzato, appunto, dal complessivo intervento oggetto del P.C.

Discende da ciò che, per definire l’ampiezza dell’intervento in variante qui ammissibile si deve fare riferimento al secondo comma dell’art. 41 cit., che pone, fra l’altro, il limite del rispetto della sagoma, chiaramente insussistente nel caso in esame, stante la parziale traslazione del sedime derivante dalle modifiche de quibus (cfr., a proposito dell’incidenza delle modifiche del sedime sulla sagoma dell’edificio da ricostruire, Cassazione civile, sez. II, 24 giugno 2008, n. 17176, secondo cui:"essendo la sagoma di un edifìcio rappresentata dalla sua proiezione tanto sul piano orizzontale quanto su quello verticale,…un fabbricato ricostruito avente un’altezza superiore a quella preesistente e insistente su di un sedime in parte diverso da quello originario integra una costruzione nuova per l’intero e non soltanto per la porzione che si sopraeleva rispetto all’altezza dell’edificio originario ovvero in cui si discosta dall’area di risulta della demolizione…").

Il suesposto motivo risulta, quindi, infondato.

7.9) Con il decimo motivo si propongono censure su aspetti secondari della motivazione dell’ordine inibitorio, che fa primariamente leva sugli aspetti già scrutinati con i motivi esposti sub nn. 3 e ss., autonomamente idonei a sorreggere la determinazione ivi assunta.

Ne consegue la inammissibilità per difetto di interesse del predetto motivo.

7.10) Con l’undicesimo motivo, infine, si denuncia sia l’invalidità derivata dell’ordine, in quanto promanante da quella della cd. revoca del P.C., che l’invalidità autonoma dello stesso ordine per i motivi già scrutinati nell’ambito del ricorso introduttivo.

Si comprende allora come l’infondatezza dei motivi sin qui scrutinati tragga seco anche quella del motivo da ultimo indicato.

8) Per le considerazioni che precedono, anche il secondo atto di motivi aggiunti deve essere respinto, stante l’infondatezza delle censure con esso formulate. Ad analoga sorte è destinata la domanda risarcitoria, stante il difetto dei relativi presupposti (primo fra tutti, quello rappresentato dall’agire provvedimentale illegittimo della p.a.).

D) Motivi aggiunti – III° atto.

9) Con il terzo atto di motivi aggiunti, presentati alla notifica il 14.04.2011 e depositati il 18.04.2011, è impugnato l’atto del Comune di Gallarate del 7.04.2011, prot. 14481, recante diniego di proroga del termine per l’ultimazione delle opere, richiesta dalla società con istanza del 14.03.2011.

I vizi dedotti fanno leva sia sull’invalidità derivata dal provvedimento di cd. revoca del P.C. del 25.10.2010, che su vizi propri, per violazioni di carattere procedimentale (art. 10 bis legge n. 241/1990) e per eccesso di potere.

I motivi aggiunti qui scrutinati risultano in parte infondati e, per il resto, inammissibili per difetto di interesse.

Osserva, al riguardo, il Collegio come l’atto impugnato, mentre contiene un esplicito diniego di proroga "per le parti riferite alla Villa e corrispondente sottosuolo", assuma carattere soltanto interlocutorio per le restanti parti, per le quali si richiedono "integrazioni e prove concrete sulle ragioni indicate a ritardo".

9.1) Ebbene, esaminando i motivi rivolti a contrastare la parte dell’atto avente valore di diniego di proroga, il Collegio ne deve rilevare l’infondatezza, sia quanto alla dedotta invalidità derivata, non essendo stata riscontrata l’invalidità dell’atto presupposto, sia quanto all’ulteriore motivo di ricorso, che fa leva sulla violazione della regola del giusto procedimento.

9.2) In ordine alla dedotta violazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/1990, è sufficiente osservare come il diniego di proroga abbia ad oggetto il termine di ultimazione dei lavori riferiti al P.C. n. 20/2007 e alla DIA in variante n. 48399/2008, ovvero, a titoli che, come ampiamente esposto esaminando il ricorso introduttivo, sono affetti da nullità (parziale) per mancanza di oggetto (a causa del sopravvenuto crollo della Villa).

Ne consegue che l’atto in questione presenta carattere senz’altro vincolato, non potendosi ammettere la proroga di lavori che non hanno più una loro ragion d’essere, essendone venuti meno i titoli legittimanti.

Per tale via, ai sensi dell’art. 21 octies, comma 2 della legge n. 241 cit., la suesposta censura risulta destituita di ogni fondamento.

9.3) Per il resto, è evidente la portata interlocutoria dell’atto che, limitandosi a richiedere chiarimenti alla parte istante, non assume un carattere definitivo e si rivela privo di autonoma e immediata lesività, privando, per questa parte, i motivi aggiunti del prescritto interesse all’impugnativa.

10) Per quanto sopra, quindi, i suesposti motivi aggiunti si rivelano in parte infondati e, per il resto, inammissibili.

E) Motivi aggiunti – IV° atto.

11) Con il quarto atto di motivi aggiunti, la società ha impugnato il documento n 23, depositato dal Comune di Gallarate il 18.04.2011, recante specificazioni motivazionali del provvedimento n. 1138 del 14.01.2011.

Qui l’esponente, oltre a dedurre l’invalidità derivata promanante dal provvedimento inibitorio del 14.01.2011, rispetto alla cui motivazione l’atto in questione si porrebbe come integrativo, lamenta altresì plurimi profili di illegittimità per vizi propri.

Sennonché, la stessa funzione assegnata all’atto qui gravato, di sostegno motivazionale all’ordine inibitorio già gravato con il secondo atto di motivi aggiunti poc’anzi scrutinati, ne giustifica l’assenza di autonoma lesività, stante la già rilevata infondatezza dei predetti motivi.

12) Ne consegue che i motivi aggiunti da ultimo proposti si appalesano inammissibili per difetto di interesse. Deve essere, invece, respinta la domanda risarcitoria con essi proposta, per difetto dei relativi presupposti e, in primo luogo, dell’agire provvedimentale illegittimo della p.a.

13) Conclusivamente, il Collegio così statuisce sul ricorso introduttivo e i quattro atti di motivi aggiunti come sopra specificati:

a) dichiara in parte inammissibile e per il resto respinge il ricorso introduttivo in ogni sua domanda compresa quella risarcitoria;

b) respinge il primo e il secondo atto di motivi aggiunti in ogni loro rispettiva domanda;

c) dichiara in parte inammissibile e per il resto respinge il terzo atto di motivi aggiunti;

d) dichiara inammissibile il quarto atto di motivi aggiunti, respingendone la domanda risarcitoria.

14) Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso e i motivi aggiunti come in epigrafe proposti, così statuisce:

a) dichiara in parte inammissibile e per il resto respinge il ricorso introduttivo, in ogni sua domanda, compresa quella risarcitoria;

b) respinge il primo e il secondo atto di motivi aggiunti in ogni loro rispettiva domanda;

c) dichiara in parte inammissibile e per il resto respinge il terzo atto di motivi aggiunti;

d) dichiara inammissibile il quarto atto di motivi aggiunti, respingendone la domanda risarcitoria

Condanna la società ricorrente a rifondere le spese di lite alla resistente amministrazione, liquidandole in complessivi euro 3.000,00, oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 23 giugno 2011 con l’intervento dei magistrati:

Angelo De Zotti, Presidente

Giovanni Zucchini, Primo Referendario

Concetta Plantamura, Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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