Cass. civ. Sez. V, Sent., 10-02-2012, n. 1947 Appello del contribuente e dell’ufficio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza n. 31/2/06, depositata il 16.3.06, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in riforma della decisione di primo grado, accoglieva integralmente l’appello proposto dalla società International Management Group s.r.l., e annullava gli avvisi di accertamento e di rettifica, emessi dall’Ufficio ai fini IRPEF, IRPEG, ILOR ed IVA, per gli anni di imposta 1994 e 1995. 2. Il giudice di appello riteneva, invero, in via pregiudiziale, di dover disattendere l’eccezione di inammissibilità dell’appello della contribuente, sollevata dall’amministrazione, per essere stato il gravame indirizzato e notificato ad un Ufficio dell’Agenzia delle Entrate inesistente.

2.1. Nel merito, la CTR riteneva non provata l’interposizione fittizia della società inglese International Management Group UK, nei contratti stipulati dalla International Management Group s.r.l. con gli sponsor, utilizzando l’immagine del campione sportivo T. A.. Sicchè escludeva che i ricavi, apparentemente conseguiti negli anni 1994 e 1995 dalla società straniera – ed in parte versati all’estero al T., favorendo, in tal modo, l’evasione di siffatti redditi al fisco italiano – dovessero essere imputati, invece, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, alla società italiana, quale effettiva titolare e possessore dei relativi redditi.

3. Per la cassazione della sentenza n. 31/2/06 ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate, affidato a due motivi, ai quali l’intimata ha replicato con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. 1.1. Si duole, invero, l’amministrazione ricorrente che la CTR abbia disatteso, in via pregiudiziale, l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’amministrazione, per essere stato il gravame indirizzato e notificato ad un Ufficio dell’Agenzia delle Entrate inesistente.

L’atto di appello avrebbe, difatti, erroneamente indicato, quale parte appellata, l’"Agenzia delle Entrate – Imposte Dirette di Milano, Secondo Ufficio", che in realtà non esiste affatto, mentre il gravame avrebbe dovuto essere proposto – come indicato dalla stessa CTR nell’epigrafe dell’impugnata sentenza – nei confronti dell’Ufficio Milano (OMISSIS) dell’Agenzia delle Entrate.

1.2. Ne sarebbe derivata – a parere della ricorrente – l’assoluta incertezza in ordine alla parte appellata, in palese violazione, dunque, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, che prescrive, tra l’altro, che il ricorso in appello debba contenere l’indicazione "dell’appellante e delle altre parti nei cui confronti è proposto". 2. La censura è infondata e va disattesa.

2.1. Osserva, invero, la Corte che la notifica, da parte del contribuente, dell’atto di appello presso un Ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate diverso da quello che ha emesso l’atto impositivo, ed anche se – per mero errore – venga indicato un ufficio non esistente, o non più esistente, non comporta nè la nullità dell’atto, nè la decadenza dall’impugnazione, purchè venga comunque indicata l’Agenzia delle Entrate, quale effettiva destinataria del ricorso in appello.

In tal senso, infatti, depongono: a) il carattere unitario dell’Agenzia delle Entrate; b) il principio di effettività della tutela giurisdizionale, che impone di ridurre al massimo le ipotesi di inammissibilità dell’impugnazione; c) la natura impugnatoria del processo tributario, che attribuisce la qualità di parte all’organo (l’Agenzia delle Entrate), che ha emesso il provvedimento impugnato, e non alle singole articolazioni organizzative (cfr. Cass. 29465/08, 15718/09, 3727/10).

2.2. Ebbene nel caso di specie, come dedotto dalla stessa amministrazione ricorrente, nell’atto di appello l’appellante International Management Group s.r.l. ha puntualmente indicato, quale destinataria del gravame, l’Agenzia delle Entrate, errando esclusivamente nella designazione dell’articolazione locale chiamata a resistere all’impugnazione.

Senonchè detta erronea indicazione – come correttamente ritenuto dalla CTR nell’impugnata sentenza – non può in alcun modo comportare la dedotta nullità dell’atto e l’inammissibilità del gravame, atteso che la corretta indicazione dell’organo che ha emesso il provvedimento impugnato dalla contribuente (l’Agenzia delle Entrate) vale, ad avviso della Corte, ad escludere in radice qualsiasi incertezza in ordine alla parte contro la quale l’appello era stato proposto.

Per le ragioni suesposte, pertanto, il motivo di ricorso in esame non può che essere respinto.

2. Con il secondo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate deduce la motivazione insufficiente su un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. 2.1. Osserva, invero, l’amministrazione che costituiva fatto controverso tra le parti l’interposizione fittizia della società inglese International Management Group UK, nei contratti stipulati dalla società italiana International Management Group s.r.l. con gli sponsor, utilizzando l’immagine del campione sportivo T. A..

Tale fatto, a parere della ricorrente, era altresì decisivo per la decisione, atteso che, laddove vi fosse stata effettivamente detta fittizia interposizione, i ricavi ottenuti dagli sponsor di T., apparentemente percepiti dall’International Management Group UK, sarebbero stati, in realtà, in possesso dell’International Management Group s.r.l. e, pertanto, si sarebbero dovuti – sul piano fiscale – ad essa imputare, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3. 2.2. Ebbene, ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, la CTR sarebbe pervenuta al convincimento dell’assenza di prove di siffatta interposizione fittizia sulla base di un’insufficiente ed inadeguata valutazione del materiale probatorio acquisito in atti.

Di qui la dedotta sussistenza del vizio motivazionale dedotto dall’amministrazione, dal quale sarebbe affetta – a suo dire – l’impugnata sentenza.

2.3. Premesso quanto precede, osserva la Corte che anche il motivo di gravame in esame, al pari del precedente, non può trovare accoglimento, dovendo tale censura essere ritenuta inammissibile per profili inerenti ai limiti del sindacato della motivazione della sentenza di appello nel giudizio di legittimità. 2.3.1. Va osservato, infatti, che la deduzione di un vizio di motivazione della decisione impugnata con ricorso per cassazione conferisce alla Corte, non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, al fine di rivedere il ragionamento decisorio, poichè non conforme alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi presi in considerazione. E’, per vero, fin troppo evidente che, in siffatta ipotesi, il motivo di ricorso si tradurrebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice stesso, volta ad ottenere una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione.

La denuncia del vizio di motivazione può comportare, dunque, soltanto una verifica, da parte del giudice di legittimità, della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale dell’iter argomentativo seguito dal giudice di merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento, scegliendo – dopo avere valutato l’attendibilità e la concludenza delle prove assunte – tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a comprovare i fatti in discussione (cfr, ex plurimis, Cass. 2272/07, 27162/09, 6694/09, 6288/11).

2.3.2. Orbene, nel caso concreto, la CTR ha adeguatamente enunciato le fonti del suo convincimento (processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, testi, documentazione versata in atti, sentenza penale di assoluzione dei legali rappresentanti della IGM s.r.l.) in ordine all’assenza di un’interposizione fittizia della società inglese nei contratti di sponsorizzazione conclusi dalla corrispondente italiana; sicchè – a parere della Corte – deve senz’altro escludersi nel ragionamento del giudice di merito l’omesso o deficiente esame di punti decisivi della controversia.

Per contro, le censure mosse dall’Agenzia delle Entrate si incentrano, in parte, sulla pretesa inadeguata scelta delle fonti del proprio convincimento da parte della CTR, per altra parte, sul presunto erroneo apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme rispetto alle aspettative dell’amministrazione.

Siffatta censura, pertanto, si palesa del tutto inammissibile, per le ragioni di principio in precedenza esposte.

3. Il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, per tutte le considerazioni che precedono, non può, di conseguenza, che essere rigettato.

4. Le spese sostenute dall’intimata nel presente giudizio seguono la soccombenza dell’Ufficio finanziario, nella misura di cui in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE rigetta il ricorso; condanna l’amministrazione ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dall’intimato nel presente giudizio, che liquida in Euro 20.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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