Cass. civ. Sez. V, Sent., 10-02-2012, n. 1946 Imposta reddito persone giuridiche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Capitalia s.p.a. propone ricorso per cassazione (successivamente illustrato da memoria depositata da Unicredit s.p.a. incorporante di Capitalia) nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Agenzia delle Entrate (che resistono con controricorso proponendo altresì ricorso incidentale al quale resiste con controricorso la Unicredito Italiano s.p.a. quale incorporante di Capitalia) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento per Irpeg e Ilor relativo al 1987, la C.T.R. Lazio, in sede di giudizio di rinvio, riformava parzialmente la sentenza di primo grado che aveva dichiarato I"infondatezza dei recuperi a tassazione per le spese di manutenzione e rappresentanza nonchè l’illegittimità, per mancanza di adeguata motivazione, del recupero relativo ad altri costi ed oneri di non specifica imputazione, ed invece la legittimità dei recuperi a tassazione relativi alle sopravvenienze passive ed alle erogazioni liberali nonchè la fondatezza del rilievo operato dall’Ufficio circa il ricalcolo di indetraibilità ai fini ilor. In particolare, i giudici d’appello rilevavano: che andava confermato il recupero delle erogazioni liberali, non risultando che le stesse fossero state fatte per il raggiungimento delle finalità elencate nel D.P.R. n. 597 del 1973, art. 60; che andava confermato il recupero di due terzi delle spese di rappresentanza, avendo l’Ufficio, in mancanza di prova della certezza, determinabilità ed inerenza delle medesime, operato una presunzione di deducibilità forfetaria nella misura di un terzo; che gli interessi attivi su crediti, anche sotto la vigenza del D.P.R. n. 597 del 1973, andavano contabilizzati e tassati secondo le regole ordinarie; che i costi e gli oneri recuperati a tassazione sotto la vigenza del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 74 erano deducibili se ed in quanto riferentisi ad attività da cui derivavano ricavi o proventi che concorrevano a formare il reddito di impresa; che doveva ritenersi corretto l’operato dell’Ufficio con riguardo alle sopravvenienze passive indeducibili per L. 74.536.000, trattandosi di somme riferite a spese per condono edilizio e oblazioni, non deducibili per specifica statuizione normativa; che era fondato il rilievo dell’Ufficio circa l’errato calcolo del coefficiente di indetraibilità ai fini Ilor, avendo la contribuente nel suddetto calcolo omesso di considerare gli interessi interamente esenti a tal fine, così determinando un coefficiente di indetraibilità inferiore.

2. Deve innanzitutto disporsi la riunione dei due ricorsi siccome proposti avverso la medesima sentenza.

Deve inoltre essere dichiarato inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze nonchè il ricorso incidentale proposto dal Ministero suddetto, atteso che il giudizio di appello è stato introdotto nel 2005 e ad esso ha partecipato la sola Agenzia delle Entrate.

Il ricorso incidentale deve essere esaminato in via preliminare perchè con esso si deduce l’esistenza di giudicato parziale giudicato interno, questione pregiudiziale e rilevabile d’ufficio sulla quale il giudice d’appello non ha deciso, atteso che, secondo SU n. 5456 del 2009, anche alla luce del principio costituzionale di ragionevole durata del processo, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito che investa questioni pregiudiziali di rito – ivi comprese quelle attinenti alla giurisdizione – o preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, e deve essere esaminato con priorità solo se, come nella specie, le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, rilevabili d’ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita – ove quest’ultima sia possibile – da parte del giudice di merito, mentre, se sia intervenuta detta decisione, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte di cassazione solo in presenza dell’attualità dell’interesse, sussistente unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale.

Con un unico motivo del ricorso incidentale l’Agenzia delle Entrate rileva che avverso la sentenza di primo grado la Banca di Roma s.p.a. formulava rilievi solo in ordine al mancato riconoscimento in deduzione di erogazioni liberali ed al confermato ricalcolo del coefficiente di indetraibilità ai fini Ilor, non opponendosi alla dichiarata fondatezza del recupero a tassazione delle sopravvenienze passive e che in sede di riassunzione dinanzi al giudice di rinvio riproponeva solo l’eccezione relativa al ricalcolo di indeducibilità ai fini Ilor e richiamava le eccezioni proposte in sede di ricorso per cassazione, con la conseguenza che, in forza dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c., doveva ritenersi formato il giudicato sui capi della sentenza di primo grado sfavorevoli alla società e da questa non impugnati.

La censura è fondata nei limiti di cui in prosieguo.

Giova innanzitutto evidenziare che nella esposizione del motivo, come sopra riportato, l’Agenzia rileva la formazione del giudicato sulla dichiarata fondatezza del recupero a tassazione delle sopravvenienze passive, per mancata proposizione di appello sul punto, nonchè sul mancato riconoscimento in deduzione di erogazioni liberali perchè, pur essendo stato proposto appello sul punto, l’eccezione non sarebbe stata riproposta in sede di giudizio di rinvio. Nel quesito di diritto proposto al termine del motivo ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. tuttavia, la ricorrente incidentale si limita a chiedere se l’eventuale mancata contestazione in sede di gravame di alcuni capi della sentenza di primo grado impedisca di rimetterne in discussione le relative statuizioni nel successivo corso del processo, ma non fa alcun accenno alla mancata riproposizione in sede di riassunzione dinanzi al giudice di rinvio di eccezioni già oggetto di rituale impugnazione in sede di appello, pertanto l’esame e decisione della censura in questa sede non potrà che essere limitata a quanto esposto nel quesito proposto.

Tanto premesso, occorre rilevare che nella sentenza impugnata (non censurata sul punto) espressamente si legge che avverso la sentenza di primo grado proponeva appello la Banca che "formulava rilievi solo in merito al mancato riconoscimento in deduzione di erogazioni liberali ed al confermato ricalcolo del coefficiente di in detraibilità ai fini Ilor non opponendosi alla dichiarata fondatezza del recupero a tassazione delle sopravvenienze passive" e che l’Ufficio, proponendo appello avverso la sentenza di primo grado per la parte di propria soccombenza, precisava in via preliminare "la definitività, a favore dell’erario, del recupero a tassazione relativo alle sopravvenienze passive per L. 74.536.000, non essendo stata contestata la pronuncia della C.T.P. in inerito".

Deve pertanto ritenersi che sul punto delle sopravvenienze passive si sia formato il giudicato interno per mancanza di tempestiva impugnazione, non rilevando l’eventuale generica richiesta di totale riforma della sentenza di primo grado, se la specifica statuizione non sia stata fatta oggetto di specifica censura.

In proposito, occorre rilevare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, nel caso di impugnazione parziale l’acquiescenza ai sensi dell’art. 329 c.p.c., comma 2, alle parti della sentenza non impugnate, si verifica solo se le diverse parti della sentenza siano del tutto autonome, dovendo escludersi quando la parte impugnata sia sviluppo logico della parte non impugnata, per cui in realtà l’impugnazione della argomentazione, pur distinta, della prima si ponga in nesso consequenziale con l’altra (v. tra le altre cass. n. 33 del 2008) e che nella specie la statuizione relativa al recupero a tassazione delle sopravvenienze passive di che trattasi non risulta in alcun modo inscindibilmente collegata ad altri capi della decisione di primo grado, onde deve ritenersene l’autonomia.

Col primo motivo del ricorso principale, Capitalia s.p.a., deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 597 del 1973, artt. 52/57 e 74, rileva che, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, in assenza di una contraria previsione normativa, le spese per condono edilizio ed oblazioni regolarmente iscritte nel conto economico dell’impresa devono considerarsi deducibili.

Col secondo motivo, deducendo vizio di motivazione, la ricorrente principale si duole che i giudici d’appello non abbiano identificato la statuizione normativa che impedirebbe la deducibilità delle spese per condono edilizio e per oblazioni.

I motivi sopra esposti, da esaminare congiuntamente perchè connessi, sono assorbiti in relazione a quanto deciso con riguardo al ricorso incidentale, posto che essi censurano statuizioni della sentenza impugnata travolte dall’accoglimento del ricorso incidentale.

Col terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 597 del 1973, artt. 52 e 74 la ricorrente principale rileva che, mancando una contraria previsione normativa, le spese di rappresentanza correttamente dichiarate dal contribuente non possono essere disconosciute dall’erario in assenza di elementi probatori che ne dimostrino la non inerenza.

La censura è infondata.

Con riguardo alla regola generale in tema di distribuzione dell’onere della prova dettata dall’art. 2697 c.c., la giurisprudenza di questo giudice di legittimità ha costantemente ritenuto che grava sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare la sussistenza dei fatti costitutivi della pretesa fiscale, non esistendo, in materia tributaria, alcuna presunzione di legittimità dell’avviso di accertamento, sicchè, quando l’amministrazione stessa assuma che si è in presenza di un’evasione fiscale, è tenuta a dimostrarlo in giudizio, mentre spetta al contribuente eccepire e provare l’esistenza di fatti modificativi, impeditivi o estintivi della pretesa, e, quindi, il fatto costitutivo del proprio diritto alla invocata deduzione (v. cass. n. 19918 del 2005 – secondo la quale il contribuente che intenda contestare il disconoscimento di una perdita su crediti da parte dell’Ufficio ha l’onere di fornire la prova dei fatti costitutivi del suo preteso diritto alla deducibilità della perdita -, e cass. n 6886 del 2001 – secondo la quale, nel caso in cui il titolare di reddito di lavoro autonomo derivante dall’esercizio di una professione pretenda dedurre dal reddito dichiarato, siccome "inerenti", le spese sostenute nell’esercizio della professione e riferite a "titoli" distinti, lo stesso è gravato dall’onere di documentarle specificamente per ciascuno dei distinti titoli allegati -, nonchè, tra le altre, cass. n. 18864 del 2004 e n. 4536 del 1984).

Col quarto motivo,deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 597 del 1973, artt. 41, 44 e 52 la ricorrente principale rileva che, sotto il vigore del citato decreto ed in assenza di forme di applicazione retroattiva del TU1R, gli interessi su crediti di imposta avevano natura compensativa e pertanto non concorrevano alla determinazione del reddito imponibile.

La censura è fondata.

In proposito è sufficiente evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità (alla quale il collegio intende dare continuità in assenza di valide ragioni per discostarsene, gli interessi maturati sui crediti di imposta nei confronti dell’Amministrazione da una società di capitali – nel vigore dei D.P.R. n. 597 del 1973, D.P.R. n. 598 del 1973, D.P.R. n. 599 del 1973 – ancorchè iscritti nel conto dei profitti e delle perdite, non vanno assoggettati ad Irpeg e ad Ilor, perchè hanno natura compensativa e, quindi, non sono qualificabili nè come reddito di capitale nè come reddito di impresa (v. cass. n. 3399 del 2010).

Col quinto motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 60, la ricorrente principale sostiene che, in assenza di qualsiasi concreta dimostrazione della carenza dei prescritti requisiti di deducibilità l’ente impositore non può negare la deducibilità di alcune spese di utilità sociale genericamente affermando che sarebbe onere del contribuente dimostrare che tali spese sono effettivamente avvenute per le finalità previste dalla disciplina di riferimento.

La censura è infondata, alla luce di quanto sopra esposto a proposito di distribuzione dell’onere probatorio in materia con riguardo all’esame del terzo motivo di ricorso.

Col sesto motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 597 del 1973, artt. 52 e 74, la ricorrente principale si duole del fatto che i giudici d’appello abbiano ritenuto che dalla disciplina positiva vigente ratione temporis sia desumibile il principio per cui, in deroga alla regola della tendenziale coincidenza della base imponibile Irpeg e di quella Ilor – in presenza di specifiche esenzioni di tale tributo reale – il contribuente dovrebbe rideterminare il numeratore del rapporto tra reddito imponibile e reddito complessivo al fine di espungere eventuali componenti esenti ai (soli) fini Ilor, ed afferma invece che nella disciplina legale applicabile alla fattispecie ratione temporis non sussiste alcun obbligo di rideterminazione ai fini Ilor del rapporto di indeducibilità individuato in materia di Irpeg dal D.P.R. n. 587 del 1973, art. 58.

La censura è infondata.

In tema di Ilor, ai soli fini della determinazione della percentuale di deducibilità degli interessi passivi dal reddito d’impresa imponibile, i redditi esenti dall’imposta in base alle previsioni di norme speciali (nella specie costituiti da interessi moratori iscritti nell’apposito fondo passivo di cui al D.P.R. n. 597 del 1973, art. 66) vanno sottratti, al numeratore del rapporto previsto dal D.P.R. n. 597 del 1973, art. 58, comma 1, dall’imponibile Irpeg, in deroga alla regola della coincidenza tra base imponibile Irpeg e base imponibile Ilor 13806 del 2005 E’ infatti da rilevare che il principio – espresso dal D.P.R. n. 599 del 1973, art. 4 – della coincidenza della base imponibile Ilor con la base imponibile Irpeg va coordinato con la funzione propria del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 58, comma 1, che individua la percentuale di deducibilità degli interessi passivi nella misura risultante dal rapporto tra l’ammontare dei ricavi e degli altri proventi che concorrono a formare il reddito imponibile e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi, compresi quelli che fruiscono di esenzioni. In proposito questo giudice di legittimità ha ritenuto che "l’art. 58 stabilisce (…) una presunzione assoluta che gli interessi passivi riguardano sia i redditi di impresa imponibili, sia quelli esenti, nella proporzione in cui i ricavi e proventi che danno luogo a redditi imponibili stanno all’ammontare complessivo di tutti i proventi e ricavi, ivi compresi quelli danti luogo a redditi esenti" (v. Cass. n. 15205 del 2000).

Se questa è, dunque, la funzione e la ratio del citato art. 58, risulta evidente che, nell’individuazione del reddito imponibile ai (soli) fini del calcolo della percentuale di deducibilità, laddove la norma sia applicata all’Ilor, non può non tenersi conto delle specifiche ipotesi di esenzione da tale imposta, previste da norme speciali in deroga alla regola della coincidenza tra base imponibile Irpeg e base imponibile Ilor, pena, in caso contrario, l’irragionevolezza della suddetta presunzione, in quanto riferita ad un rapporto tra reddito imponibile e ricavi totali difforme da quello concretamente derivante dalla disciplina applicativa dell’imposta. Da quanto esposto consegue che i redditi esenti da Ilor vanno sottratti, al numeratore del rapporto previsto dall’art. 58 citato, dall’imponibile Irpeg, in coerente applicazione del medesimo criterio logico in virtù del quale – a vantaggio, questa volta, del contribuente – il valore relativo al reddito imponibile Irpeg va invece aumentato delle componenti reddituali esenti dall’Irpeg ma non dall’Ilor. (v. cass. n. 13806 del 2005, secondo la quale, in relazione ad Ilor, ai soli fini della determinazione della percentuale di deducibililà degli interessi passivi dal reddito d’impresa imponibile, i redditi esenti dall’imposta in base alle previsioni di norme speciali vanno sottratti, al numeratore del rapporto previsto dal D.P.R. n. 597 del 1973, art. 58, comma 1, dall’imponibile Irpeg, in deroga alla regola della coincidenza tra base imponibile Irpeg e base imponibile Ilor).

Col settimo motivo, deducendo vizio di motivazione, la ricorrente principale si duole del fatto che i giudici d’appello, con motivazione apodittica ed esclusivamente ripetitiva del dato normativo, abbiano concluso per l’indeducibilità di una pluralità di costi senza specificare nulla circa la natura di detti costi e circa le motivazioni per le quali il collegio non ha ritenuto di dover accogliere le prospettazioni difensive della contribuente.

La censura è inammissibile.

In proposito, occorre innanzitutto rilevare che nella esposizione del motivo in esame manca l’indicazione prevista dalla seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c., a norma del quale è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume viziata, essendo peraltro da evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dal citato art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un "quid pluris" rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (v. cass. n. 8897 del 2008).

E’ poi in particolare da ribadire che l’illustrazione di cui al citato art. 366 bis deve sempre avere ad oggetto (non più un una questione o un "punto", secondo la versione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 anteriore alla modifica introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006 bensì) un fatto preciso, inteso sia in senso storico che normativo, ossia un fatto "principale", ex art. 2697 c.c. (cioè un "fatto" costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche, secondo parte della dottrina e giurisprudenza, un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo, e che nella specie manca non solo l’illustrazione di cui alla seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c., ma, ancor prima, l’individuazione di uno o più "fatti" specifici (intesi come sopra e non come generico sinonimo di punto, circostanza, questione) rispetto ai quali la motivazione risulti viziata nonchè l’evidenziazione del carattere decisivo dei medesimi fatti.

E’ infine appena il caso di evidenziare che il vizio di motivazione denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 può riguardare solo l’accertamento in fatto, non la motivazione in diritto della sentenza.

Alla luce di tutto quanto sopra esposto, devono essere accolti il ricorso incidentale ed il quarto motivo del ricorso principale, con assorbimento dei primi due motivi del medesimo ricorso e rigetto degli altri. La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata senza rinvio limitatamente a quanto statuito in ordine al capo della sentenza di primo grado sul quale si era formato giudicato interno (trattandosi di ipotesi in cui il processo non poteva essere proseguito (v. art. 382 c.p.c., ultima parte) e deve essere altresì cassata in ordine al motivo del ricorso principale accolto in questa sede; a tale ultimo proposito, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito affermando la non computabilità nella base imponibile degli interessi sui crediti di imposta. Atteso lo sviluppo e l’esito della lite, si dispone la compensazione delle spese dell’intero processo.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi. Dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e quello proposto nei confronti di detto Ministero. Accoglie il ricorso incidentale e nei limiti di tale accoglimento cassa senza rinvio la sentenza impugnata.

Accoglie altresì il quarto motivo del ricorso principale, assorbiti i primi due e rigettati gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione a tale ultimo motivo e decidendo nel merito dichiara non computabili nella base imponibile gli interessi sui crediti di imposta.

Compensa le spese dell’intero processo.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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