Cass. civ. Sez. V, Sent., 10-02-2012, n. 1945 Imposta regionale sulle attivita’ produttive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti di M.G. (promotore finanziario, che resiste con controricorso successivamente illustrato da memoria) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione del silenzio rifiuto su istanza di rimborso Irap per l’anno 2002, la C.T.R. Umbria confermava la sentenza di primo grado, che aveva accolto il ricorso del contribuente, rilevando che quest’ultimo aveva svolto la propria attività senza apporto di capitali e/o lavoro altrui.

Con un unico motivo, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, la ricorrente si duole del fatto che i giudici d’appello non abbiano considerato che, come dedotto nell’atto d’appello, il contribuente si avvaleva delle prestazioni di un lavoratore dipendente addetto alla segreteria.

La censura è inammissibile.

Come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questo giudice di legittimità (v. per tutte SU nn. 12108 e 12111 del 2009) il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’"id quod plerumque accidit", il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza dell’organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.

Tanto premesso, occorre innanzitutto rilevare che nella specie i giudici d’appello (per quel che in questa sede ancora rileva) hanno espressamente accertato, sulla base di quanto emergente dagli atti (v. pagina 4 rigo 8 e seguenti della sentenza), che l’attività professionale era esercitata dal contribuente "senza apporto di lavoro altrui" e tale espressione, corrispondente a quella utilizzata dalla citata giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi riferita sia a collaboratori che a dipendenti. La ricorrente in questa sede si limita a contrapporre all’accertamento in fatto del giudice, siccome emergente dalla sentenza impugnata, la mera affermazione dell’esistenza di un lavoratore dipendente (riportando uno stralcio dell’atto d’appello nel quale si affermava che il M. si avvaleva dell’opera di una persona addetta alla segreteria) senza tuttavia indicare gli elementi probatori relativi a tale circostanza – acquisiti agli atti ed in ipotesi non o mal considerati dai giudici d’appello – dai quali risulti l’utilizzo in modo non occasionale di lavoro altrui da parte del contribuente (ed eventualmente per quale periodo) e senza riportare in ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, il contenuto di tali ipotetici elementi di prova che, ove considerati, avrebbero condotto il giudice d’appello ad una decisione diversa.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la soccombente alle spese che liquida in Euro 1.100,00 di cui Euro 1.000,00 per onorari, 100 di spese vive, oltre spese generali e accessori di legge.

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