T.A.R. Puglia Lecce Sez. I, Sent., 19-10-2011, n. 1794

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La società P.S., dopo avere proposto ricorso straordinario al Capo dello Stato avente ad oggetto i provvedimenti riportati in epigrafe, si costituisce innanzi al Tar Lecce in seguito alla richiesta di trasposizione del ricorso in sede giurisdizionale da parte del Comune resistente.
La stessa società si riporta alla narrativa e alle conclusioni rassegnate in quella sede, di seguito esposte
La società P.S. s.r.l., appartenente alle sorelle G.S., I., A. e M.G., in data 12.11.1998 acquisiva l’attività di barristorante in località "Saturo", Comune di Leporano, già gestita da oltre un trentennio dalla mamma signora L.M.C..
La proprietà dell’immobile e dell’area circostante è sempre appartenuta, invece, al padre, sig.G. C., il quale, pur non facendo formalmente parte della compagine societaria, è tutt’ora coinvolto nella gestione dell’attività, come al momento del suo avvio.
Nonostante le numerose difficoltà rivenienti dalla particolare conformazione dei luoghi, dalla presenza del vincolo archeologico e dalla mancanza, fino a qualche anno fa, delle primarie opere di urbanizzazione, la famiglia G. ha sempre cercato di operare nell’ambito della legalità, richiedendo e ottenendo le occorrende autorizzazioni, concessioni, nulla osta, licenze, ecc.
Tanto si evince, infatti, dai diversi provvedimenti amministrativi di cui si conserva la copia presso gli Uffici Comunali, risalenti addirittura ai primi anni "60.
Ad epoche più recenti risalgono, invece, la licenza di pubblico esercizio, di volta in volta rinnovata negli anni dal Comune di Leporano e dal Questore di Taranto, nonché l’autorizzazione alparcheggio di automezzi in località "Torre Saturo" rilasciata dal comune di Leporano in data 28.07.1977 e rinnovata sino al 1998.
Ancora, in data 22.11.1996, il Comune di Leporano rilasciava l’autorizzazione n.105 allo scaricodelle acque reflue che veniva successivamente volturata in capo alla signora G.S., come da autorizzazione provvisoria allo scarico n.37 del 07.06.02, trattandosi di area non ancora servita da pubblica fognatura.
Con provvedimento n.11 del 27 agosto 1997, inoltre, sempre la signora Lopresto otteneva l’autorizzazione igienicosanitaria.
Nel corso degli anni, stante la necessità di ampliare i locali ove veniva svolta l’attività, per soddisfare le nuove esigenze dei clienti, l’immobile in questione, originariamente costituito da un "vano bar a mare", veniva ampliato a più riprese, previo ottenimento dei titoli autorizzativi o con il successivo ottenimento delle sanatorie.
Da ultimo, nel mese di marzo 2005, in favore del sig. G. Ciro, si ripete formale proprietario dell’immobile, è stata rilasciata la concessione edilizia in sanatoria nn.1253/47 e 380/724.
Per completezza, si aggiunge che detto barristorante, originariamente disponeva di un parcheggio attiguo, al servizio sia degli avventori della locale spiaggia, sia dei clienti del ristorante, realizzato su altro fondo di proprietà del sig.G. C..
La disponibilità di quest’ultimo è venuta meno dal mese di giugno 1998 a seguito di occupazione d’urgenza del Comune di Leporano, nell’ambito della procedura di esproprio delle aree contigue al parco archeologico, mai portata a termine con l’adozione del decreto di esproprio.
Alla data odierna tale area è ancora nella disponibilità del Comune, sebbene con sentenza n.1891/09, depositata in cancelleria il 18.07.09, il Tar abbia ordinato al Comune di Leporano di reintegrare l’istante nel possesso di tale parcheggio, condannando l’Ente al risarcimento del danno in favore del G. per l’illegittima sottrazione del bene nella sua disponibilità.
Sta di fatto che, all’indomani della pubblicazione dell’ordinanza cautelare del Tar Lecce n.363/09 con cui, in via cautelare, è stata ordinata al Comune la restituzione immediata del parcheggio al G., e precisamente in data 24.04.09, due agenti della Polizia Municipale del Comune di Leporano, affiancati dal Dirigente dell’UTC, ing.A., e dal Geometra Comunale B., hanno proceduto ad effettuare una ispezione amministrativa presso il barristorante in questione.
All’esito della stessa, sono state rilevate alcune difformità edilizie nei confronti del sig.G. Ciro, si ripete proprietario dell’immobile, consistite essenzialmente per la parte relativa al ristorante(ed esclusa la parte autonoma adibita ad abitazione della famiglia) nella realizzazione di alcuni pergolati e freschiere e nella diversa disposizione interna dei bagni e dei locali tecnici destinati a cella frigo, lavanderia e spogliatoio.
E’ stata riscontrata, inoltre, la mancanza del certificato di agibilità e di autorizzazione sanitaria, in capo all’esercizio denominato "P.S.".
A fronte di tanto, è stato elevato il verbale di accertata violazione per violazione del DGR 713 del 28.05.07, in esecuzione del Regolamento CE n.852/2004, per avere esercitato l’attività senza la prescritta autorizzazione.
All’ispezione sono seguite, in data 29.04.09, l’ordinanza n.23 del Responsabile del Servizio Commercio, con la quale è stata ordinata l’immediata chiusura dell’esercizio P.S., perché condotto in difetto di autorizzazione sanitaria e di certificato di agibilità dei locali, e la contestuale restituzione delle autorizzazioni sopra indicate, in quanto revocate, con diffida ad ottemperare a quanto sopra, nonché, nei confronti del sig.G., l’ordinanza di sospensione di lavori edilizi eseguiti in assenza di titolo abilitativo, del 30.04.09.
La G.S. formulava istanza al Comune per poter riprendere l’attività, almeno provvisoriamente, in quanto aveva assunto degli impegni per banchetti nuziali per i giorni 123 maggio, ed altri a seguire nel corso del mese, e non vi era il tempo materiale né per disirli, né per rinviarli.
Tale istanza, però, veniva rigettata con provvedimento del 04.05.09, prot.n.6065 da parte del Responsabile del Servizio Commercio, pure impugnato.
Seguivano, in data 26.05.09, ulteriore istanza da parte del sig. G. con la quale si dichiarava pronto a rimuovere tutte le opere esterne e si chiedeva la sanatoria delle modifiche interne apportate al ristorante, e in data 12.06.09 da parte della sig.ra G.S., nella dichiarata qualità, la formalizzazione, presso l’Ufficio della ASL competente della " notifica di unità di impresa del settore alimentare", con procedura di DIA ai fini della registrazione, valevole quale autorizzazione sanitaria e successiva istanza al Sindaco del Comune di Leporano per richiedere la revoca dell’ordinanza di chiusura dell’esercizio e di ritiro delle autorizzazioni amministrative.
La società ricorrente ha pertanto impugnato la citata ordinanza n.23/09, il provv. prot.6065 del Responsabile del Servizio Commercio del Comune di Leporano e gli atti presupposti e consequenziali, ritenuti illegittimi per le seguenti ragioni:
violazione e/o falsa applicazione dell’art 7 e ss. e degli artt.21 quinquies e nonies della legge 241/90Difetto di motivazioneEccesso di potere per difetto di istruttoria, contraddittorietà con precedenti determinazioni, perplessità dell’azione amministrativa, sviamento della causa tipica ed ingiustizia;
violazione del diritto di libertà di iniziativa economica, di cui all’art 41 della Cost- violazione e/o falsa applicazione di legge, in particolare degli art. 3 e 4 della legge 287/91Eccesso di potere per falsa presupposizione ed ingiustizia manifesta;
violazione del principio di libertà di iniziativa economica, di cui all’art 41 della Cost.Violazione e/o erronea applicazione del principio generale di proporzionalità e gradualità delle sanzioni -violazione dell’affidamento del privato- eccesso di potere per sviamento, travisamento dei fatti, ingiustizia ed illogicità;
violazione del principio di buon andamento della Pubblica amministrazione, di cui all’art 97 della Cost- eccesso di potere per sviamento, perplessità, contraddittorietà con precedenti atti, ingiustizia ed illogicitÃ
La società ricorrente ha anche formulato istanza di risarcimento del danno da liquidare in via equitativa e, in ogni caso, non inferiore a Euro 200.000,00.
Il Comune di Leporano si è costituito in giudizio ed ha eccepito la inammissibilità e la infondatezza delle domande proposte dalla ricorrente, anche a mezzo di apposito controricorso.
La controversia è passata in decisione alla pubblica udienza del 28 aprile 2010

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.
Con il primo gruppo di censure si deduce che il provvedimento di revoca delle autorizzazioni amministrative di cui era intestataria la P.S. s.r.l. è stato adottato senza la previa adozione della comunicazione di avvio del procedimento di revoca.
Si sostiene, altresì, che" anche se in data 24.04.2009 l’esercizio P.S. è stato sottoposto ad ispezione, nessun elemento poteva far ritenere che sarebbe seguita l’adozione del provvedimento di revoca delle autorizzazioni amministrative, in quanto lo stesso non è stato preannunciato in alcun modo alla ricorrente."
D’altronde, si afferma, che la giurisprudenza, nonostante riconosca la legittimità delle ispezioni a sorpresa, in ogni caso richiede che tali verifiche siano seguite dal vero e proprio avviso di avvio del procedimento, ex art 7della legge 241/90.
L’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento di revoca delle autorizzazioni nn.82 e 83 nel caso di specie, invalida in modo irreversibile i provvedimenti impugnati, in quanto determinati da valutazioni dell’amministrazione alle quali è mancato l’apporto collaborativo del privato destinatario.
In definitiva, se fosse stata posta in condizione di interloquire, la ricorrente avrebbe potuto rilevare i motivi che ostavano all’adozione del provvedimento di revoca adottato, oltre alla propria volontà di sanare le irregolarità riscontrate, attivandosi immediatamente per l’ottenimento dell’autorizzazione sanitaria e il rilascio del certificato di agibilità.
In più, la stessa ricorrente avrebbe anche fatto notare il contraddittorio comportamento dell’amministrazione, che a distanza di pochi giorni, cioè il 27 aprile 2009, con delibera di Consiglio Comunale n.10, aveva previsto la possibilità di rilasciare certificati provvisori di agibilità in favore dei pubblici esercizi, tra i quali quello dei ricorrenti, non dotati del certificato di agibilità.
Era poi doverosa una motivazione sulla necessarietà del provvedimento di revoca.
Le censure non possono essere accolte.
E’ ben vero che la partecipazione del privato al procedimento amministrativo costituisce principio generale dell’ordinamento giuridico e, in particolare, dell’assetto delle relazioni tra potere pubblico e cittadino.
Ma le stesse norme che disciplinano gli istituti partecipativi contemplano la possibilità di derogare alla necessità di dare comunicazione di avvio del procedimento quando sussistano particolari esigenze di celerità e urgenza del procedimento tali da consentire alla P.a. procedente di omettere la relativa formalità.
Dette esigenze di celerità e urgenza devono senz’altro ravvisarsi nella tutela della igiene e sanità pubblica, poste in pericolo ogni qualvolta una attività di ristorazione viene esercitata, come nel nostro caso, in assenza di autorizzazione igienicosanitaria e di certificato di agibilità.
Né può mancarsi di rilevare che la partecipazione del privato al procedimento, anche di secondo grado, deve intendersi quale utile ed efficace apporto collaborativo del privato al procedimento medesimo e non già alla stregua di un inutile aggravio procedimentale.
L’utilità dell’apporto collaborativo del privato al procedimento viene meno quando si tratta di contestare un elemento fattuale così rilevante quale la accertata mancanza di certificato di agibilità, con tutte le conseguenze che da detta mancanza discendono.
Si vuol porre in evidenza, con ciò, che trova applicazione, nella fattispecie concreta, l’art 21 octies della legge 241/90, trattandosi di ipotesi in cui il contenuto dispositivo del provvedimento non sarebbe potuto cambiare, a cagione della doverosità della revoca adottata dalla P.a.
Non sussiste, poi, il lamentato deficit nella motivazione del provvedimento.
La lettura dell’atto impugnato consente di comprendere appieno quale sia stato l’iter logico giuridico posto a base della decisione adottata dalla P.a.
Il provvedimento è pienamente conforme al modello legale tipico in quanto esso illustra sia i presupposti di fatto – la accertata carenza di autorizzazione igienicosanitaria e di certificato di agibilità- sia le ragioni giuridiche a base della decisione assunta, in rapporto ai risultati dell’istruttoria compiuta.
Con il secondo gruppo di censure si lamenta la violazione della libertà di iniziativa economica privata, la quale, essendo munita di copertura costituzionale ex art 41, può subire limitazioni nei soli casi tassativamente previsti dalla legge.
Nella specie, la P.a. ha, invece, fatto applicazione del potere di revoca dell’autorizzazione amministrativa, al di fuori dei casi tassativi previsti dall’art 4 della legge 287/91, erroneamente richiamando la fattispecie prevista dalla lettera C, che riguarda la mancanza dei criteri di sorvegliabilità dei locali fissati con il D.M.564/92, per sanzionare, invece, il mancato ottenimento del certificato di agibilità e la mancata voltura dell’autorizzazione sanitaria.
Sotto tale profilo, occorre mettere in evidenza che il provvedimento di revoca delle autorizzazioni è stato legittimamente adottato nell’esercizio della generale potestà di autotutela riconosciuta alla P.a. quale manifestazione tipica di potere amministrativo, oggi espressamente disciplinata dalla legge, ex art 21 quinquies e nonies legge 241/90.
Giova, d’altra parte, evidenziare che,dal tenore letterale del provvedimento si desume con sufficiente chiarezza che la revoca è intervenuta non già per difetto dei requisiti di sorvegliabilità dei locali, ma per assenza di autorizzazione igienicosanitaria oltre che del certificato di agibilità.
Né si può accogliere la tesi in forza della quale i provvedimenti impugnati dalla società ricorrente sono espressione di un potere amministrativo esorbitante e sproporzionato.(terzo gruppo di censure)
La accertata carenza di presupposti fondamentali a presidio della igiene e della sanità pubblica per la prosecuzione di un’attività caratterizzata da frequente contatto con il pubblico esige senz’altro l’adozione di provvedimenti inibitori rigorosi a tutela dell’interesse pubblico primario sopra ricordato, senza possibilità interlocutorie, proprio in ragione della esposizione a pericolo di un bene giuridico rilevantissimo.
Deve, infine, rilevarsi che il richiamo ad una presunta disparità di trattamento non può trovare ingresso nella presente controversia.
Si tratta di censura generica che non giova alla società ricorrente.
In conclusione, la condotta tenuta dalla P.a. nella specie risulta immune dalle censure prospettate dalla ricorrente, il cui ricorso va respinto in toto, anche per quel che concerne l’istanza risarcitoria, del tutto priva dei suoi indispensabili supporti probatori.
Il ricorso è respinto.
Le spese possono essere compensate

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sezione Prima di Lecce, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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