Cass. civ. Sez. I, Sent., 13-02-2012, n. 2029 Corrispettivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza n. 885 del 1998 la Corte di appello di Roma, pronunciando sugli appelli proposti da ACEA (ora ACEA S.p.a.) e dalla Pimea S.r.l., fora Pimea soc. coop. a r.l.), avverso le sentenze, non definitiva e definitiva, del Tribunale di Roma, rispettivamente del 25 marzo 1982 e del 6 giugno 1986, con cui l’Acea era stata condannata al pagamento della somma di L. 302.095.541, in base al saldo revisionale ed altre voci inerenti al contratto di appalto, intercorso fra le parti per la pulizia dei locali aziendali, dichiarava inammissibile, in parte, il gravame proposto in via incidentale dalla Pimea, determinando il residuo credito della stessa in L. 94.428.958. 1.1 – Questa Corte, con sentenza n. 11589 del 2001, accoglieva parzialmente il ricorso della Pimea avverso della decisione, relativamente al motivo con il quale era stato denunciato vizio di motivazione in merito al pagamento dei compensi e della revisione prezzi per il primo semestre dell’anno 1978. 1.2 – La Corte di appello di Roma, pronunciando in sede di rinvio, con la sentenza indicata in epigrafe condannava l’Acea al pagamento della somma di Euro 48.768,49, calcolata, previa individuazione degli aspetti ormai coperti dal giudicato, attraverso la considerazione di tutte le poste, con determinazione del compenso revisionale in L. 272.204.628, tenendo anche conto della circostanza che l’Acea aveva fatto acquiescenza alla determinazione del proprio debito residuo in L. 67.274.238. 1.3 – Per la cassazione di tale decisione la Pimea ha proposto ricorso, affidato ad unico e complesso motivo, illustrato da memoria.

Acea resiste con controricorso, parimenti illustrato da memoria.

Motivi della decisione

2 – Con unico e complesso motivo viene denunciata insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e n. 3.

In particolare, premesso che la corte territoriale è pervenuta, in sede di rinvio, alla sostanziale conferma della parte dispositiva della decisione di merito già cassata, si sostiene che la corte territoriale avrebbe violato il principio di diritto affermato da questa Corte ed avrebbe errato nel rideterminare il calcolo di tutte le voci di credito, comprese quelle in relazione alle quali si era formato il giudicato, laddove avrebbe dovuto procedere al riesame delle somme dovute relativamente al primo semestre dell’anno 1978, tenendo conto, da un lato, del saldo dei canoni di appalto e, dall’altro, di quanto dovuto a titolo di revisione per il medesimo periodo, aggiungendo, poi, l’importo, non contestato, di L. 27.154.722, dovuto a titolo di revisione per i precedenti periodi.

2.1 – Il ricorso è infondato.

Giova premettere che il sindacato della Corte di cassazione sulla sentenza del giudice di rinvio, gravata di ricorso per infedele esecuzione dei compiti affidati con la precedente pronunzia di annullamento, si risolve nel controllo dei poteri propri di detto giudice per effetto di tale affidamento, e dell’osservanza dei relativi limiti, la cui estensione varia a seconda che l’annullamento stesso sia avvenuto per violazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia.

Nella prima ipotesi, infatti, egli è tenuto soltanto ad uniformarsi, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, al principio di diritto enunciato nella sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; nella seconda invece la sentenza rescindente, indicando i punti specifici di carenza o di contraddittorietà, non limita il potere del giudice di rinvio all’esame dei soli punti specificati, da considerarsi come isolati dal restante materiale probatorio, ma conserva al giudice stesso tutte le facoltà che gli competevano originariamente quale giudice di merito, relative ai poteri di indagine e di valutazione della prova, nell’ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento, anche se, nel rinnovare il giudizio, egli è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente o implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, in sede di esame della coerenza logica del discorso giustificativo. (Cass., 16 maggio 2003, n. 7635; Cass., 20 aprile 2004, n. 7501).

Tale libertà di valutazione del materiale probatorio, che comporta la conservazione, in capo al giudice del rinvio, relativamente al capo oggetto di annullamento, delle facoltà che gli competevano originariamente quale giudice di merito, incontra il duplice limite costituito, da un lato, dai fatti che la sentenza di cassazione ha considerato come definitivamente accertati, per non essere investiti dall’impugnazione, nè in via principale nè in via incidentale, e sui quali la pronuncia di annullamento è stata fondata (Cass., 16 dicembre 2003, n. 19217) e, dall’altro, dall’obbligo di giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente o implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, in sede di esame della coerenza logica del discorso giustificativo, evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato, ritenuti illogici, e con necessità, a seconda dei casi, di eliminare le contraddizioni e sopperire ai difetti argomentativi riscontrati (Cass., 22 aprile 2009, n. 9617).

2.2 – Tanto premesso, deve rilevarsi che, a prescindere dall’inammissibile deduzione della violazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2, per non essersi la corte capitolina uniformata al principio di diritto stabilito da questa Corte (principio del tutto insussistente, trattandosi di annullamento per vizio di motivazione), nel ricorso ci si duole della complessiva considerazione degli elementi già in precedenza calcolati, senza tuttavia indicare se, ed in quale misura, nel ragionamento del giudice del rinvio siano presenti errori o contraddizioni, e quale relazione causale, ove realmente sussistenti, abbiano con la decisione.

In realtà, la sentenza impugnata risulta rispettosa dei principi sopra indicati, in quanto, nell’ambito di una preliminare e rigorosa ricognizione dei limiti del proprio giudizio, la corte territoriale ha osservato che dovevano ritenersi intangibili, essendosi al riguardo formato il giudicato, gli aspetti relativi: a) alla differenza dovuta dall’Acea a saldo fino al dicembre 1977, pari a L. 27.154.722; b) alle modalità della revisione, relativamente al primo semestre dell’anno 1978 (da conteggiarsi alla data di inizio dell’appalto originario), e, più precisamente al febbraio del 1975 (essendo stato rigettato il primo motivo del ricorso della Pimea); c) alla "pienezza" della revisione, nel senso della necessità di calcolarla sul compenso al lordo delle penali, ed infine, d), al vincolo, per l’ACEA, costituito dalla richiesta di un "saldo" pari a L. 67.274.238.

Compiuta tale actio finium regundorum, la corte capitolina ha adeguatamente assolto, il compito, stabilito nella decisione che disponeva la cassazione con rinvio, di "riesaminare – alla luce della documentazione già acquisita (in primo luogo il supplemento Mirino del 15 febbraio 1995) ed alla stregua della già rassegnate conclusioni delle parti (e trascritte nella sentenza cassata) – la domanda della Pimea di condanna al pagamento dei compensi e della revisione prezzi del ridetto semestre del a978, pervenendo, conclusivamente ad assommare il realtivo importo (al netto di ogni credito od acconto Acea) a quello – non più contestabile – di L. 27.154.722 e sul totale liquidando gli interessi legali dal 16.2.1979 (come irrevocabilmente stabilito dalla Corte di merito)".

Pertanto la censura della ricorrente, secondo cui sarebbe stato indebitamente operato il ricalcolo di voci ormai intangibili, non coglie nel segno, dal momento che risultano per l’appunto considerati -al fine di chiarire aspetti non ben esplicati nella sentenza cassata e nel rispetto dei punti coperti da giudicato – i dati della consulenza suppletiva che, secondo la decisione n. 11589 del 2001 di questa Corte, avrebbero dovuto essere riesaminati, tenendo conto, in ogni caso, "di ogni credito od acconto Acea".

In definitiva, la pretesa di considerare intangibile il dato inerente alla somma di L. 272.204.628, senza per altro indicare specifici vizi logici, giuridici o di calcolo in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, non trova alcun riscontro nella sentenza che aveva disposto la cassazione con rinvio. Questa Corte, infatti, aveva evidenziato – così enucleando l’aspetto fondamentale del ravvisato vizio motivazionale – come la sentenza impugnata "invece di distinguere, correttamente, tra credito per revisione – credito per saldo lavori (il primo pari ad oltre L. 212 milioni e ignorasi se comprensivo o meno del secondo) – acconti versati per l’uno e/o per l’altro, ed invece di procedere al complessivo computo del dovuto, ha semplicemente e solamente riconosciuto a Pimea la somma corrispondente al secondo credito per essere questa incontestata e totalmente ignorando il fatto che la non contestazione al proposito riguardava solo la voce afferente il saldo del pattuito canone dovuto per i lavori". Tale vizio motivazionale è stato adeguatamente emendato dal giudice del rinvio, che, sulla base dei dati emergenti dalla consulenza contabile, ha specificato che la somma di L. 272.204.628 riguarda esclusivamente la posta relativa al compenso revisionale per il semestre in contestazione, e, per altro, pur avendo accertato un importo inferiore, ha tenuto conto, quanto all’ammontare della differenza a credito per i lavori eseguiti, dell’acquiescenza dell’Acea al dato relativo all’importo di L. 67,274.296. In considerazione di quanto evidenziato, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese relative al presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 4.800,00, di cui Euro 4.600,00 per onorari.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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