Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 13-02-2012, n. 2027 Legittimazione a ricorrere ed a resistere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Catania (con sentenza emessa il 15.7.05 in contraddittorio anche con l’INPS) condannava P.P. e G.A., nella qualità di responsabili dell’Unione Sindacale Comunale di Giarre della CISL e il primo anche in proprio, a pagare in favore di C.M. la somma di Euro 21.037,15 per crediti retributivi vari e TFR derivanti dall’intercorso rapporto alle dipendenze dell’Unione Sindacale medesima.

Con sentenza del 18.2.10 la Corte d’appello etnea, in totale riforma della pronuncia di prime cure, rigettava la domanda del C. per difetto di legittimazione passiva di entrambi gli appellanti, essendo l’Unione Sindacale Comunale di Giarre mera articolazione territoriale – e, in quanto tale, priva di autonomia patrimoniale ed organizzativa – dell’Unione Sindacale Territoriale di Catania (UST- CT) della CISL; quanto al P., statuivano i giudici del gravame che non vi era prova che egli avesse agito in proprio oppure in nome e per conto di un’associazione non riconosciuta come il sindacato.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre il C. affidandosi a tre motivi.

Resistono con controricorso il P. e l’attuale segretario della UST di Catania, Co.Ma..

L’INPS ha depositato procura in calce alla copia notificata del ricorso.

Motivi della decisione

1.1. Con il primo motivo il ricorrente, pur concordando con le motivazioni addotte dall’impugnata sentenza circa l’insussistenza di autonomia economica ed organizzativa e di conseguente soggettività giuridica dell’Unione Sindacale Comunale di Giarre, nondimeno lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., perchè proprio tale difetto di soggettività renderebbe la predetta articolazione territoriale priva di capacità processuale e, quindi, di interesse a resistere alla domanda del C., nonchè priva di interesse ad eccepire la propria carenza di legittimazione passiva e ad impugnare la sentenza di primo grado, che non avrebbe mai potuto esplicare effetto alcuno nei suoi confronti; in realtà – prosegue il ricorrente – l’Unione Sindacale Comunale di Giarre si sarebbe dovuta limitare ad eccepire la nullità della notifica (perchè eseguita a chi non aveva soggettività giuridica) o a chiamare in causa la UST di Catania.

La stessa doglianza viene reiterata con il secondo motivo, sempre per asserita violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., non avendo l’Unione Sindacale Comunale di Giarre interesse a contraddire la domanda del C..

1.2. I primi due motivi – da esaminarsi congiuntamente perchè in sostanza coincidenti – sono manifestamente infondati.

Invero, l’odierno ricorrente ritiene di poter ricavare dal difetto di capacità processuale dell’Unione Sindacale Comunale, da lui stesso evocata in giudizio, ragioni a proprio favore quando – invece – proprio tale difetto rende la domanda del C. contro detta Unione Sindacale Comunale inammissibile per mancanza di un presupposto processuale (l’altrui legitimatio ad processum), mancanza rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio (cfr., ad es., Cass. S.U. 16.11.09 n. 24179), il che assorbe ogni discorso circa l’asserita impossibilità per parte appellante di eccepirla.

Non valga in contrario parlare di suo difetto di interesse a contraddire e ad impugnare: semmai, proprio l’inidoneità, asserita dallo stesso ricorrente, della sentenza ad esplicare effetti nei confronti dell’Unione Sindacale Comunale di Giarre renderebbe inammissibile per difetto di interesse l’azione stessa proposta dal C..

In realtà, se si evoca in giudizio un’entità priva di legitimatio ad processum, il giudizio si intende instaurato nei confronti della persona fisica che in rappresentanza di tale entità sia stata erroneamente convenuta, persona fisica che ha tutto l’interesse a contraddire l’altrui domanda e ad impugnare la pronuncia emessa nei suoi confronti (come avvenuto nel caso in esame).

Nè si può parlare di nullità della notifica, vuoi poichè essa è avvenuta regolarmente (altro essendo il difetto di capacità processuale del destinatario della notifica medesima), vuoi perchè ogni ipotetica nullità a riguardo sarebbe stata sanata dalla costituzione della parte convenuta.

2.1. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 354 c.p.c., per omessa rimessione della causa al primo giudice, atteso che la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare la nullità della notifica in quanto avvenuta presso una sede periferica costituente mera articolazione di quella centrale (UST di Catania), oppure avrebbe dovuto dichiarare che nel giudizio di primo grado doveva essere integrato il contraddittorio nei confronti di detta UST; inoltre – conclude il ricorrente – l’eccezione di carenza di legittimazione passiva era da rigettarsi perchè sollevata da soggetto privo di capacità processuale.

Anche tale doglianza è manifestamente infondata.

Premesso che le ipotesi di rimessione della causa al primo giudice previste dall’art. 354 c.p.c., sono tassative, in ordine alla pretesa nullità della notifica dell’atto introduttivo di lite valga quanto sopra già detto.

In relazione, poi, all’asserito difetto di integrità del contraddittorio e all’affermata impossibilità di sollevare un’eccezione di mancanza di legittimazione passiva da parte di soggetto privo di capacità processuale, si premetta che nel caso di specie si è trattato non di difetto di legittimazione passiva, bensì di difetto di titolarità del rapporto controverso (tempestivamente eccepito fin dal primo grado dalle persone fisiche che hanno partecipato al giudizio).

Come più volte statuito da questa S.C., la legittimazione passiva consiste nella correlazione tra il soggetto evocato in giudizio e l’asserita titolarità, in capo al convenuto, del dovere correlato al diritto per cui si agisce, di guisa che il controllo del giudice a riguardo si risolve nell’accertare se, secondo la mera prospettazione data dall’attore – a prescindere, quindi, dall’effettiva titolarità del rapporto dedotto in lite (che ne costituisce il merito, investendo i concreti requisiti di fondatezza della domanda) – il convenuto possa assumere la veste di destinatario dei comandi contenuti nella pronuncia giurisdizionale.

Ove, invece, il convenuto eccepisca la propria estraneità al rapporto giuridico sostanziale dedotto in giudizio, viene a discutersi dell’effettiva titolarità passiva del rapporto controverso, cioè nell’essere o meno il convenuto identificabile come il soggetto tenuto alla prestazione richiesta dall’attore.

Tale questione concerne il merito della causa, ragion per cui, se riconosce fondata la negazione, da parte del convenuto, della titolarità passiva del rapporto sostanziale dedotto in lite, il giudice correttamente decide la controversia non con una pronuncia di rito sulla regolare costituzione del contraddicono, bensì con una sentenza di rigetto nel merito della pretesa avanzata dall’attore (cfr., ex aliis, Cass. 6.4.06 n. 8040; cfr., altresì, Cass. nn. 6916/1997, 5407/1997, 10843/1997, 2105/2000, 17606/2003, 16158/2005, 24457/2005, 24594/2005, 28227/2005, 4796/2006, 7078/2006, 13756/2006).

E’, dunque, ormai da lungo tempo acquisito in giurisprudenza che per determinare la legittimazione si deve fare riferimento al rapporto dedotto in giudizio, nel senso che parti legittime sono quelle indicate come parti del rapporto sostanziale. Infatti, le condizioni di legittimazione sono soddisfatte se l’attore, nel chiamare in giudizio il convenuto, afferma che esiste un rapporto sostanziale di cui egli e il convenuto sono rispettivamente il soggetto attivo ed il soggetto passivo. Se, dunque, l’attore afferma di essere creditore del convenuto, si avvera la condizione necessaria e sufficiente perchè sussistano legittimazione attiva e passiva, mentre l’effettiva esistenza del rapporto obbligatorio così dedotto riguarderà soltanto il merito di causa.

Integra, invece, questione di legittimazione passiva unicamente quella relativa all’esistenza del dovere del convenuto di subire il giudizio instaurato dall’attore con una determinata prospettazione del rapporto oggetto della controversia, indipendentemente dall’effettiva sussistenza della titolarità del rapporto stesso.

In altre parole, le ipotesi in cui la decisione di merito non può essere emanata per difetto di legittimazione ad agire o a contraddire sono statisticamente marginali, come quelle in cui l’attore faccia valere un diritto dichiaratamente non proprio, o pretenda l’adempimento di un obbligo dichiaratamente non gravante sul convenuto, ovvero altre in cui il diritto controverso sia tale che a priori (prima, cioè, di accertare se esiste o meno) non possa appartenere a colui che chiede il giudizio (o il corrispondente obbligo non possa gravare sul convenuto).

A differenza dalla titolarità del rapporto, la legitimatio ad causam individua i soggetti che devono essere presenti nel giudizio affinchè il giudice possa pronunciare una sentenza di merito: per tale suo significato viene definita una condizione della decisione di merito, mentre ogni eccezione del convenuto circa l’effettiva titolarità attiva o passiva del diritto azionato – ed è quel che ha formato oggetto di eccezione nel caso di specie da parte degli originari convenuti – comporta solo una disamina attinente al merito della controversia, senza alcuna necessità di integrare il contraddicono.

Al più, a fronte dell’eccezione sollevata dai convenuti – qualificabile come mera nominatio o laudatio auctoris – il Tribunale avrebbe potuto (ma non necessariamente dovuto) disporre una chiamata in giudizio ex art. 107 c.p.c., dell’Unione Sindacale Territoriale di Catania della CISL; il non averlo fatto non incide sull’integrità del contraddittorio agli effetti dell’art. 354 c.p.c., erroneamente invocato dall’odierno ricorrente.

3.1. In conclusione, il ricorso è da dichiararsi inammissibile ex art. 360 bis c.p.c., n. 1.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Non è dovuta, invece, pronuncia sulle spese riguardo all’INPS, che non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 40,00 per esborsi e in Euro 2.500,00 per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A.. Nulla spese riguardo all’INPS. Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2012.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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