Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 06-07-2011) 28-09-2011, n. 35192

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il (OMISSIS) B.C. era ucciso a colpi di arma da fuoco, delitto inquadrato nell’ambito della faida tra la famiglia G., cui la vittima apparteneva, e il clan Cava, cui apparteneva F.G., fratello dell’odierno indagato F. S., ucciso nel 1983 da un commando di cui faceva probabilmente parte il B., peraltro assolto da tale reato.

C.A. e F.S. erano destinatari di sentenza, in data 7-11-1989, di non luogo a procedere del Gip del Tribunale di Avellino, in ordine all’omicidio del B. e ai connessi reati in materia di armi, in quanto l’unico indizio a carico del primo, rappresentato dalla corrispondenza alle sue di un’impronta trovata sull’autovettura Alfa 90 usata dal commando, e abbandonata in loco per un guasto, era ritenuto non decisivo (dal momento che il frammento di impronta sull’autovettura aveva caratteristiche tali da farlo ritenere "inutile"), mentre i proiettili esplosi contro la vittima, benchè ritenuti dal perito balistico provenienti, con elevatissima probabilità, dall’arma sequestrata al C. all’atto del suo arresto, presentavano in realtà, secondo il Gip, caratteristiche, evidenziate dallo stesso perito, incompatibili con tale provenienza.

Quanto a F.S., il Gip riteneva che a suo carico vi fosse soltanto un labile sospetto, avendo comunque la perizia balistica escluso la provenienza dei colpi esplosi contro la vittima dall’arma sequestrata a lui e a tale M., in occasione di un controllo nei loro confronti.

Revocata tale sentenza sulla base di nuove emergenze investigative, il PM otteneva dal Gip del Tribunale di Napoli, ordinanza di custodia cautelare nei confronti di C. e F. in data 16-12-2010, poi annullata con provvedimento in data 7-1-2011 del Tribunale di Napoli, su richiesta di riesame del F..

Il tribunale riteneva infatti che le dichiarazioni dei pentiti G.F., già capo clan dell’omonimo sodalizio, e S. A., esponente del clan Cava, cugino di C.A. e amico di F.S., non fossero idonee a costituire gravi indizi di colpevolezza in quanto non convergenti sul punto del ruolo avuto da F. nell’omicidio, e quindi, in assenza di altri elementi, inidonee al reciproco riscontro.

G. aveva riferito di aver visto, la sera del fatto, C., F. e una terza persona, dirigersi, a bordo dell’Alfa 90, verso l’abitazione del B., con passamontagna parzialmente calzati, e aveva attribuito al C. l’esecuzione materiale dell’omicidio, al F. il ruolo di autista del veicolo (rimasto nei giorni precedenti, dopo essere stato rubato, nel cortile della casa di C. M., madre di S.: circostanza non chiaro se appresa, o constatata direttamente).

S., le cui asserzioni sono de relato da C.A. e da C.D. (terzo partecipante al commando), aveva a sua volta confermato il ruolo di autore materiale dell’omicidio di C., appreso da questi, ma non aveva indicato l’identità dell’autista (di cui non ricordava il nome, ma che sarebbe stato in grado di riconoscere in fotografia), sostanzialmente rimuovendo dalla scena del delitto il F., con il quale aveva mostrato di essere in stretti rapporti per avere 1) da lui stesso appreso di propositi di vendetta nei confronti del B. per l’omicidio del fratello, 2) effettuato con lui sopralluoghi per studiare movimenti ed abitudini del B., 3) accompagnato personalmente accompagnato il F. a prelevare l’autovettura Alfa 90 -che sarebbe stata usata per commettere il delitto – a casa di G.F. (legato al clan Cava) in (OMISSIS), per portarla nel garage dell’abitazione della suocera del F., di cui solo quest’ultimo aveva le chiavi, apprendendo solo in un secondo tempo da F. e C. che sarebbe stata utilizzata per l’omicidio di un esponente del clan G. (non chiaro se proprio per quello di B.).

S. nulla sapeva, per contro, del fatto che l’autovettura in questione fosse stata ricoverata presso la casa della propria madre C.M., circostanza, come sopra ricordato, riferita dall’altro collaboratore, e confermata, nel precedente procedimento, dalla presenza in loco di impronte di pneumatici del tipo di quelli montati dall’Alfa 90.

S. ha quindi sostanzialmente attribuito a F. il ruolo dello spostamento dell’autovettura usata dal commando omicida, ma in luogo diverso da quello risultato confermato dalla presenza di impronte di pneumatici.

Di qui la ritenuta inidoneità delle sue dichiarazioni a costituire riscontro a quelle di G., a loro volta inidonee a riscontrare le sue, stante il contrasto sull’identità dell’autista dell’autovettura usata per l’omicidio.

Ricorre il PM della DDA di Napoli avverso tale ordinanza chiedendone l’annullamento.

Deduce violazione dell’art. 192 c.p.p. e vizio di motivazione sotto vari profili, ivi compreso quello del travisamento del fatto.

In ordine al richiamo testuale ed integrale operato nell’ordinanza alla sentenza di non luogo a procedere del Gip di Avellino, il ricorrente critica che tale decisione sia stata valorizzata nonostante il superamento, a seguito delle nuove indagini, di molti aspetti di essa.

Quanto alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, assume che nella specie la ed convergenza del molteplice è sufficientemente individualizzante, alla stregua del concetto di riscontro individualizzante fornita da questa corte a sezioni unite nella sentenza 36267/2006 (rie. Spennato), secondo la quale il riscontro non deve necessariamente investire la condotta illecita ascritta all’accusato, ma le dichiarazioni del propalante nella parte di riferimento.

Il PM cita quindi due aspetti in cui le dichiarazioni dei due pentiti convergono e/o sono riscontrate da altre risultanze.

1) Il movente dell’omicidio del B., in ordine al quale entrambi affermano che l’attuale indagato aveva espresso propositi di vendetta nei confronti del predetto B., ritenuto uno dei killer del fratello F.G.. S. ha anche aggiunto di aver compiuto, con l’indagato, sopralluoghi per studiare i movimenti della vittima designata e individuare il luogo migliore per l’omicidio.

2) In ordine alla dinamica dell’agguato, G. ha indicato orario, presenza dei passamontagna, precedente occultamento dell’auto presso l’abitazione, all’epoca disabitata, di C.M., modalità degli spari contro la vittima china sul bagagliaio della propria vettura, tutti riscontrati da altre risultanze. S. ha indicato l’uso di un revolver e la composizione di tre persone del commandò, confermati dagli accertamenti tecnici e dalle informazioni testimoniali; il fatto che la vittima fosse stata colpita anche alla bocca, confermato dalla CT medico-legale; l’occultamento dell’auto usata per l’agguato presso G.F., attualmente imputato di appartenenza al clan Cava (essendo possibile che S. nulla sapesse circa l’occultamento della stessa presso l’abitazione della madre, che però ha confermato essere all’epoca disabitata).

Il ricorrente sottolinea che le ulteriori indagini (nuove perizie balistica e dattiloscopica, nonchè chiarimenti del CT medico-legale) hanno aggravato il quadro accusatorio nei confronti di C., già delineato nel 1988, sotto il profilo della riferibilità a lui dell’impronta digitale, e della riferibilità alla sua arma dei colpi esplosi contro la vittima; nonchè in ordine alla possibilità che a sparare fossero state due persone, compatibilmente con la ricostruzione che i killers erano tre, uno dei quali rimasto alla guida dell’Alfa 90.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va disatteso.

Va ricordato che in tema di plurime chiamate in reità o correità, i riscontri esterni possono consistere anche nella idoneità delle stesse a riscontrarsi reciprocamente nell’ambito della cd.

"convergenza del molteplice" (Cass. 1560/06, 13473/2008, 31695/10), essendo in altre parole sufficiente che le dichiarazioni riconducano il fatto all’imputato, confluendo sui comportamenti riferitigli dalle imputazioni, senza che se ne possa pretendere la completa sovrapponibilità, ma dovendo privilegiarsi l’aspetto sostanziale della loro concordanza sul nucleo centrale e significativo della questione fattuale da decidere.

Costituisce del pari jus receptum, come evidenziato nel ricorso, che il riscontro non deve tuttavia necessariamente investire la condotta illecita ascritta all’accusato, essendo sufficiente che attenga alle dichiarazioni del propalante nella parte di riferimento (Cass. su 36267/2006).

Sia pure alla luce di tali correttivi al principio della necessità del riscontro esterno individualizzante, appare corretto il percorso argomentativo del tribunale per giungere alla conclusione dell’inidoneità delle propalazioni di G. e di S. a costituire reciproco riscontro, e quindi ad integrare gravi indizi di colpevolezza.

Le chiamate dei predetti nei confronti del F. sono singolarmente assistite, come evidenziato nel ricorso, da riscontri esterni a ciascuna, relativi in particolare alla composizione numerica del commando e alle modalità dell’esecuzione dell’omicidio (numero degli spari, numero degli autori di essi, posizione della vittima quando fu colpita); ma esse convergono, a ben vedere, su un unico aspetto, idoneo ad attribuire al F. un plausibile movente dell’azione, e cioè sulla circostanza che egli avesse espresso propositi di vendetta nei confronti del B., ritenuto uno dei killer del fratello G. ( S. ha anche aggiunto di aver compiuto, con l’indagato, sopralluoghi per studiare i movimenti della vittima designata e individuare il luogo migliore per l’omicidio).

Per il resto G. ha attribuito a F. il ruolo di autista del commando, S. il compito di aver spostato l’autovettura, che sarebbe stata usata per l’agguato, dalla casa di G. F., detto (OMISSIS) (legato al clan Cava), in (OMISSIS), al garage dell’abitazione della suocera, di cui egli solo (il F.) aveva le chiavi Fin qui potrebbero trovare applicazione i criteri, invocati dal ricorrente, sanciti dalla sentenza Spennato, in quanto la prima chiamata risulta riscontrata dalla seconda sul punto della disponibilità in capo a F. dell’autovettura poi guidata dallo stesso in occasione dell’azione omicidiaria.

Ma – aspetto che il PM ricorrente sembra aver trascurato, non avendo fatto corretta applicazione degli orientamenti della giurisprudenza di legittimità da lui stesso evocati-, occorre considerare che, per il resto, le due chiamate non solo non convergono, ma sono incompatibili. Infatti non soltanto G. ha collocato il veicolo, nei giorni precedenti al fatto, in luogo diverso da quello indicato da S. – e cioè nel cortile della casa di C. M., madre di quest’ultimo, dove tra l’altro erano state localizzate impronte di pneumatici compatibili con tale presenza- (divergenza difficilmente superabile, essendo oltre tutto inverosimile, a differenza da quanto ritenuto nel ricorso, che S. ignorasse tale circostanza), ma, ciò che più conta, S., che ha mostrato, per le ragioni sopra ricordate, di ben conoscere F., ne ha escluso la presenza sulla scena del delitto affermando che l’autista del commando era un terzo, a lui noto, ma di cui non ricordava il nome.

E la divergenza su tale punto nodale della vicenda è allo stato insanabile, rendendo irrilevanti, sotto il profilo del raggiungimento della gravita indiziaria degli elementi a carico dell’indagato, i riscontri, enumerati dal PM ricorrente, sulle obiettive modalità dell’azione, estranei alla persona dello stesso.

Segue il rigetto del ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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