Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 13-02-2012, n. 2017 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 9.1.2007, la Corte di Appello di Torino, in parziale accoglimento dell’appello della società, dichiarava la legittimità del termine apposto al contratto stipulato con T.D. A. il 12.7.2002 per esigenze tecniche organizzative e produttive anche di carattere straordinario, conseguenti a processi di riorganizzazione congiuntamente alla necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie contrattualmente dovute a tutto il personale nel periodo estivo, ritenendo dimostrata tale seconda esigenza sostitutiva nel periodo luglio-settembre 2002, sulla base del cospicuo numero di giorni di ferie del personale a tempo indeterminato rispetto al numero dei dipendenti assunti a termine. Quanto al secondo contratto, concluso tra le stesse parti il 13.6.2002, per ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale inquadrato nell’Area Operativa e addetto al servizio recapito, smistamento e trasporto presso il Polo Corrispondenza Piemonte – Valle d’Aosta, assente con diritto alla conservazione del posto, nel periodo 15.6.-15.9.2003, rilevava la Corte territoriale che la generica esigenza sostitutiva in un ambito territoriale di notevole estensione era inidonea a giustificare l’apposizione del termine al contratto, con conseguente nullità del termine apposto ed accertamento della natura a tempo indeterminato del rapporto. La società veniva condannata al pagamento, a titolo risarcitorio, delle retribuzioni dalla data di notifica del ricorso introduttivo.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre la Società, con due motivi di impugnazione.

Resiste il T., con controricorso, ed entrambe le parti hanno illustrato i rispettivi motivi con memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con il primo motivo, la società deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., e segg., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, assumendo che le esigenze sostitutive dedotte nel secondo contratto devono intendersi riferite allo specifico ambito territoriale dell’UDR Reiss ed al comune indicato in contratto, ove era sufficientemente specificato anche il tipo di mansioni di adibizione del lavoratore assunto a termine, con conseguente legittimità dell’apposizione di quest’ultimo.

Con specifico quesito, chiede affermarsi che l’ambito territoriale e di attività era specificato in contratto in relazione alle dedotte ad esigenze sostitutive e che, quindi, non vi era stata violazione alcuna del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, laddove da parte del giudice del merito era stata realizzata una violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c..

Con il secondo motivo, in via subordinata, denunzia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 12 disp. gen., dell’art. 1419 c.c., del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, sostenendo che non possa realizzarsi la conversione del rapporto a tempo indeterminato, atteso che il D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 4 e 5, che disciplinano l’ipotesi di nullità della proroga e dell’apposizione del termine al secondo contratto, costituiscono deroghe al principio generale, poichè escludono in toto che la nullità della singola clausola possa comportare la nullità dell’intero contratto.

Con riguardo al primo motivo di ricorso, deve premettersi che il D.Lgs. n. 368 del 2001, recante l’attuazione della Direttiva 1999/70 CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEP e dal CES, costituisce la nuova ed esclusiva fonte regolatrice del contratto di lavoro a tempo determinato, in sostituzione della L. n. 230 del 1962 e della successiva legislazione integrativa. Il preambolo della citata Direttiva 1999/70, premesso che con la risoluzione del 9 febbraio 1999 il Consiglio dell’Unione Europea ha invitato le parti sociali a tutti i livelli a negoziare accordi per modernizzare l’organizzazione del lavoro, comprese forme flessibili di lavoro, al fine di rendere le imprese produttive e competitive e di realizzare il necessario equilibrio tra la flessibilità e la sicurezza, evidenzia che l’accordo quadro in questione stabilisce principi generali e requisiti minimi con l’obiettivo di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo l’applicazione del principio di non discriminazione, nonchè di creare un quadro per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato. Per tale ragione, accogliendo la richiesta delle parti sociali stipulanti e su proposta della Commissione Europea, il Consiglio a norma dell’art. 4 dell’accordo sulla politica sociale – ora inserito nel trattato istitutivo della Comunità Europea – ha emanato la direttiva in questione, imponendo agli Stati membri di conformarsi ad essa, adottando tutte le prescrizioni necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati prescritti (art. 2).

Il legislatore nazionale, nell’adempiere al suo obbligo comunitario, ha emanato il D.Lgs. n. 368 del 2001, che, nel testo originario, vigente all’epoca del contratto ora in questione, all’art. 1 prevede, al comma 1, che è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo e, al comma 2, che l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1. E’ stata altresì prevista, contestualmente all’entrata in vigore del citato D.Lgs. (24 ottobre 2001), l’abrogazione della L. n. 230 del 1962, della L. n. 79 del 1983, art. 8 bis, della L. n. 56 del 1987, art. 23 e di tutte le disposizioni di legge incompatibili (art. 11, comma 1).

Il quadro normativo che emerge è, dunque, caratterizzato dall’abbandono del sistema rigido previsto dalla L. n. 230 del 1962 – che prevedeva la tipizzazione delle fattispecie legittimanti, sistema peraltro già oggetto di ripensamento come si evince dalle disposizioni di cui alla L. n. 79 del 1983 e alla L. n. 56 del 1987, art. 23 – e dall’introduzione di un sistema articolato per clausole generali, in cui l’apposizione del termine è consentita a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. Tale sistema, al fine di non cadere nella genericità, impone al suo interno un fondamentale criterio di razionalizzazione costituito dal già rilevato obbligo per il datore di lavoro di adottare l’atto scritto e di specificare in esso le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo adottate.

Nel caso di specie i motivi di ricorso impongono di stabilire come debba essere configurato sul piano giuridico il concetto di specificazione con riferimento all’ipotesi in cui i datore di lavoro abbia determinato la causale dell’apposizione del termine riferendosi a ragioni di carattere sostitutivo. Come già rilevato, l’onere di specificazione della causale nell’atto scritto costituisce una perimetrazione della facoltà riconosciuta al datore di lavoro di far ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato per soddisfare una vasta gamma di esigenze aziendali (di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o aziendale), a prescindere da fattispecie predeterminate. Tale onere ha l’evidente scopo di evitare l’uso indiscriminato dell’istituto per fini solo nominalmente riconducibili alle esigenze riconosciute dalla legge, imponendo la riconoscibilità e la verificabilità della motivazione addotta già nel momento della stipula del contratto. D’altro canto, tuttavia, proprio il venir meno del sistema delle fattispecie legittimanti impone che il concetto di specificità sia collegato a situazioni aziendali non più standardizzate ma obiettive, con riferimento alle realtà specifiche in cui il contratto viene ad essere calato. Il concetto di specificità in questione risente, dunque, di un certo grado di elasticità che, in sede di controllo giudiziale, deve essere valutato dal giudice secondo criteri di congruità e ragionevolezza.

Con riferimento specifico alle ragioni di carattere sostitutivo, pertanto, il contratto a termine, se in una situazione aziendale elementare è configurabile come strumento idoneo a consentire la sostituzione di un singolo lavoratore addetto a specifica e ben determinata mansione, allo stesso modo in una situazione aziendale complessa è configurabile come strumento di inserimento del lavoratore assunto in un processo in cui la sostituzione sia riferita non ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica che sia occasionalmente scoperta. In quest’ultimo caso, il requisito della specificità può ritenersi soddisfatto non tanto con l’indicazione nominativa del lavoratore o dei lavoratori sostituiti, quanto con la verifica della corrispondenza quantitativa tra il numero dei lavoratori assunti con contratto a termine per lo svolgimento di una data funzione aziendale e le scoperture che per quella stessa funzione si sono realizzate per il periodo dell’assunzione. Questa Corte non ignora la sentenza della Corte costituzionale n. 214 del 2009, la quale, nel dichiarare non fondata la questione di costituzionalità del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 1, e D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11, afferma che l’onere di specificazione previsto dallo stesso art. 1, comma 2 impone che, tutte le volte in cui l’assunzione a tempo determinato avvenga per soddisfare ragioni di carattere sostitutivo, risulti per iscritto anche in nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione. Sul problema degli effetti delle sentenze interpretative di rigetto della Corte costituzionale sull’interpretazione delle leggi da parte del giudice ordinario, questa Corte (cfr., in particolare, Cass. 9 gennaio 2004 n. 166) ha affermato che, ove il giudice delle leggi, nel ritenere non infondato il denunciato vizio di incostituzionalità di una certa disposizione nella interpretazione non implausibile fornitane dal giudice del merito, indichi una possibile, diversa interpretazione della stessa disposizione conforme a Costituzione, tale interpretazione adeguatrice non interferisce con il controllo di legittimità rimesso alla Corte di cassazione ed il suo effetto vincolante per i giudici ordinari e speciali, non esclusa la Corte di Cassazione, riguarda soltanto il divieto di accogliere quella interpretazione che la Corte costituzionale ha ritenuto, sia pure con una pronuncia di infondatezza della questione di legittimità costituzionale sottoposta al suo esame, viziata. Nel caso di specie il passo della sentenza della Corte costituzionale sopra citato deve essere letto nel contesto argomentativo in cui esso è stato formulato. La sentenza, subito dopo il passo estrapolato, prosegue precisando che considerato che per ragioni sostitutive si debbono intendere motivi connessi con l’esigenza di sostituire uno o più lavoratori, la specificazione di tali motivi implica necessariamente anche l’indicazione del lavoratore o dei lavoratori da sostituire e delle cause della loro sostituzione; solamente in questa maniera, infatti, l’onere che il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2, impone alle parti che intendano stipulare un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato può realizzare la propria finalità, che è quella di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa dell’apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa nel corso del rapporto. Tale precisazione sta a indicare che, nella illimitata casistica che offre la realtà concreta delle fattispecie aziendali, accanto a fattispecie elementari in cui è possibile individuare fisicamente il lavoratore o i lavoratori da sostituire, esistono fattispecie complesse in cui la stessa indicazione non è possibile e "l’indicazione del lavoratore o dei lavoratori" deve passare necessariamente attraverso la "specificazione dei motivi", mediante l’indicazione di criteri che, prescindendo dall’individuazione delle persone, siano tali da non vanificare il criterio selettivo che richiede la norma.

Intesa in questi termini la sentenza della Corte costituzionale, l’opzione interpretativa offerta da questo Collegio è pienamente coerente con quella offerta dalla sentenza stessa che, per l’autorevolezza della fonte da cui proviene, costituisce un contributo ermeneutico della massima importanza. Dunque, per concludere sul punto, l’apposizione del termine per "ragioni sostitutive" è legittima se l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti – da sola insufficiente ad assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse – risulti integrata dall’indicazione di elementi ulteriori (quali, l’ambito territoriale i riferimenti, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente, ferma restando in ogni caso la verificabilità circa la sussistenza effettiva del presupposto di legittimità prospettato (cfr. Cass 26 gennaio 2010 n. 1576 e, in senso conforme Cass. 26 gennaio 2010 n. 1577) Nel caso in esame appare congrua e supportata da adeguata motivazione, in relazione ai principi sopra enunciati, la valutazione fatta dalla Corte di merito circa l’assenza di specificità della causale apposta al contratto di lavoro a termine in discussione, in relazione all’ambito territoriale di notevole estensione (Polo Corrispondenza Piemonte Valle d’Aosta) in cui era stata individuata l’esigenza sostitutiva ed in relazione a tutto il personale inquadrato nell’aerea operativa, senza specificazione alcuna dei motivi per i quali presso l’ufficio di destinazione del T. (CMP di Torino Nizza) si sia reso necessario l’apporto lavorativo di un dipendente a tempo determinato. Gli ulteriori elementi richiamati nelle sentenze di questa Corte sopra menzionate sono stati allegati in parte dalla società solo nella memoria di cui all’art. 378 c.p.c., e, peraltro, il riferimento all’ambito territoriale dell’UDR Reiss non viene chiarito con sufficiente specificità, onde rilevarne una esigenza di copertura numerica di lavoratori assenti con carattere di decisività rispetto alle osservazioni svolte dalla Corte territoriale con riguardo alla ritenuta mancata specificazione dei motivi per i quali si era reso necessario l’apporto lavorativo temporaneo presso il CMP di Torino Nizza.

Il secondo motivo di ricorso è anch’esso palesemente infondato.

Il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, anche anteriormente alla modifica introdotta dalla L. n. 247 del 2007, art. 39, ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del termine un’ipotesi derogatoria pur nel sistema, del tutto nuovo, della previsione di una clausola generale legittimante l’apposizione del termine "per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo". Pertanto, in caso di insussistenza delle ragioni giustificative del termine, e pur in assenza di una norma che sanzioni espressamente la mancanza delle dette ragioni, in base ai principi generali in materia di nullità parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, nonchè alla stregua dell’interpretazione dello stesso art. 1 citato nel quadro delineato dalla direttiva comunitaria 1999/70/CE (recepita con il richiamato decreto), e nel sistema generale dei profili sanzionatori nel rapporto di lavoro subordinato, tracciato dalla Corte Cost. n. 210 del 1992 e n. 283 del 2005, all’illegittimità del termine ed alla nullità della clausola di apposizione dello stesso consegue l’invalidità parziale relativa alla sola clausola e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (cfr.

Cass. 21.5.2008 n. 12985).

Infine, osserva il Collegio che, con la memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., la società ricorrente, invoca, in via subordinata, l’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, in vigore dal 24 novembre 2010.

Orbene, va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070).

Tale condizione non sussiste nella fattispecie, benchè, con sentenza della Corte Costituzionale n. 303/2011 siano state dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale della L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, sollevate, con riferimento agli artt. 3, 4, 11, 24, 101, 102, 111 Cost. e art. 117 Cost., comma 1.

Alla stregua delle esposte argomentazioni il ricorso va respinto e le spese di lite del presente giudizio, per il principio della soccombenza, vanno poste a carico della società nella misura determinata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 50,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2012.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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