T.A.R. Campania Salerno Sez. II, Sent., 20-10-2011, n. 1695 Interesse a ricorrere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nell’atto introduttivo del primo dei ricorsi in epigrafe, G.M., premesso che per due volte era stato costretto, a causa dell’esecuzione di lavori pubblici, a delocalizzare la sua edicola di giornali e che in particolare, nel 2007/2008, aveva dovuto spostarla, in ragione dell’esecuzione dei lavori, che avevano riguardato Piazza San Ciro ad Avellino, lamentava che, in data 10.10.08, detto Comune, con nota prot. 53043/041, aveva avviato il procedimento, riguardante la verifica della legittimità dell’autorizzazione, rilasciatagli per lo svolgimento dell’attività commerciale di vendita di stampa quotidiana e periodica, nel chiosco sito alla Piazzetta San Ciro, procedimento rispetto al quale aveva rassegnato le proprie controdeduzioni; che, in seguito, con nota prot. 50573 del 18.11.09, il Comune aveva avviato un nuovo procedimento – ignorando del tutto il precedente – nel corso del quale gli aveva comunicato l’assenza di voltura della licenza commerciale, in suo favore, e l’assenza di una convenzione col Comune, per l’occupazione di suolo pubblico; rappresentava che anche rispetto a tale nota, aveva presentato le proprie controdeduzioni, nonché aveva fornito all’ente la documentazione richiesta; che detto secondo procedimento era stato quindi sospeso, in attesa delle determinazioni della G. C., ma che non era stato, poi, oggetto di un formale provvedimento di chiusura; segnalava che era stata, invece, adottata, dapprima, la delibera di G. M. n. 261 del 10.08.2010, e, quindi, annullata quest’ultima, la delibera impugnata, n. 300/2010, dell’8.09.10, con la quale era stata ordinata la rimozione del chiosco e lo sgombero dell’area, e ciò sempre nonostante la mancata formale conclusione del procedimento avviato (prima nell’ottobre del 2008 e quindi) nel novembre del 2009; avverso detta ultima delibera articolava, pertanto, le seguenti censure:

Violazione e falsa applicazione dei principi e dell’art. 2 l. 241/90; Eccesso di potere per carenza dei presupposti, difetto d’istruttoria e di motivazione: il primo presupposto, fondante l’impugnato provvedimento, vale a dire l’assenza di voltura dalla ditta G.M. alla "G.M. s. a. s.", non teneva conto delle controdeduzioni, dal medesimo formulate nell’ambito dei due procedimenti, avviati dall’Amministrazione e mai conclusi (nel corso dei quali lo stesso aveva dimostrato l’avvenuta voltura della licenza, dalla ditta individuale G.M. alla G.M. s. n. c. e, poi, alla G.M. s. a. s.); quanto all’altro presupposto (assenza di una convenzione con il Comune per l’occupazione di suolo pubblico) l’ente aveva ignorato la sua disponibilità ad addivenire ad un accordo con la P. A.;

Illegittimità della delibera n. 300/2010; Eccesso di potere sotto i profili dell’illogicità, del difetto di motivazione e della contraddittorietà intrinseca ed estrinseca: la delibera in questione, inoltre, in parte motiva richiamava la necessità di ottemperare a due decisioni di questo T. A. R., la prima delle quali, in particolare (sentenza n. 1387/2010), riguardava altra delibera (n. 93/08) concernente la delocalizzazione temporanea del chiosco, durante i lavori di riqualificazione di Piazza San Ciro; ma, una volta conclusi tali lavori, l’efficacia temporale della delibera in questione avrebbe dovuto ritenersi cessata e l’Amministrazione avrebbe dovuto pertanto – secondo il ricorrente – prescindere da essa e piuttosto "confermare la (de)localizzazione temporanea del chiosco oppure disporre una nuova localizzazione"; inoltre, il ricorrente osservava come, in ogni caso, la predetta sentenza n. 1387/2010, essendo gravata d’appello, non fosse definitiva;

Violazione e falsa applicazione dell’art. 64.1.2 R. U. E. C.: altro presupposto della deliberazione gravata consisteva nella necessità del rispetto, da parte dell’edicola, delle caratteristiche dimensionali e tipologiche, previste dalla citata disposizione del R. U. E. C. (con conseguente diminuzione della superficie della medesima da 24 a 18 mq.); orbene, secondo il ricorrente, tale prescrizione non era condivisibile, posto che riguardava soltanto le nuove installazioni, nonché le ristrutturazioni o le sostituzioni dei chioschi, deputati alla rivendita di giornali; ma la stessa non era applicabile alla specie, posto che la delocalizzazione del chiosco del G. era stata imposta dal Comune, a causa dell’esecuzione dei lavori pubblici nella piazza San Ciro; inoltre il ricorrente evidenziava come l’Amministrazione Comunale non gli avesse mai chiesto, formalmente, d’ottemperare alla prescrizione circa la diminuzione della superficie dell’edicola (imposta già con la deliberazione di G. M., n. 93/08), e ciò nonostante il decorso di oltre due anni e mezzo dall’adozione di detta ultima delibera.

Si costituiva in giudizio il Comune di Avellino, con memoria in cui – premessa la ricostruzione delle vicende amministrative che avevano caratterizzato la vicenda in esame – eccepiva preliminarmente la carenza di legittimazione attiva al ricorso, posto che la ditta G.M. s. a. s. non risultava titolare di alcuna autorizzazione all’esercizio dell’attività di rivendita di giornali e riviste (l’unica autorizzazione essendo stata rilasciata, nel 1987, a G.M., per l’esercizio di tale attività nel chiosco, sito in Avellino al viale Italia, angolo via Derna); nonché perché il G. aveva sempre beneficiato di autorizzazioni, rilasciate dal Comune a titolo temporaneo, con facoltà per l’Amministrazione di ordinarne la rimozione, ove la stessa fosse stata necessaria, per motivi di pubblico interesse ed a semplice richiesta, senza la previsione d’indennizzi di sorta; nel merito, concludeva per il rigetto del ricorso.

Seguiva il deposito di memoria, in cui il ricorrente faceva presente che il Consiglio di Stato aveva accolto la richiesta di sospensione cautelare degli effetti della sentenza di questo Tribunale, n. 1387/2010, con ordinanza n. 4898 del 25.10.2010; e insisteva per l’accoglimento della spiegata domanda cautelare.

Seguiva la produzione di ulteriore scritto difensivo, nell’interesse del ricorrente, di replica alle eccezioni preliminari di controparte.

In data 24.11.2010, G.M. depositava un primo atto di motivi aggiunti, diretto all’impugnativa del provvedimento, specificato in epigrafe, avverso il quale erano dedotte le seguenti censure:

Violazione e falsa applicazione dei principi in materia di procedimento amministrativo ( l. 241/90 e ss. mm. ii.); Eccesso di potere sotto i profili della illogicità, della manifesta ingiustizia, della perplessità, dello sviamento e della contraddittorietà: era sostanzialmente ribadita la doglianza, esposta sub 1) dell’atto introduttivo del giudizio; seguivano ulteriori considerazioni, riguardanti l’estensione del procedimento, avviato con nota prot. n. 52889, finalizzato allo sgombero del suolo pubblico, all’istanza di voltura presentata dal G. (con eventuale rilascio di autorizzazione… laddove il G. avesse trovato un immobile dove allocare l’attività di rivendita di giornali e riviste); al riguardo il ricorrente evidenziava "l’illegittimità di una presunta riapertura dei termini di un procedimento per il quale sussiste già il provvedimento finale, la delibera n. 300/2010";

Violazione e falsa applicazione del Regolamento del Piano di Localizzazione delle edicole di cui alla delibera di C. C., n. 91/05: era contestato l’ulteriore presupposto del provvedimento gravato, rappresentato dalla mancata osservanza, da parte del G., degli artt. 13 e 20 del citato Regolamento, secondo i quali il trasferimento di gestione dell’edicola andava comunicato all’Amministrazione, pena la decadenza dell’autorizzazione; in merito, il ricorrente osservava come, da anni, il Comune di Avellino "dialogasse con la G.M. s. a. s.", senza sollevare eccezioni; nonché poneva in risalto come, in data 25.12.08, avesse anche trasmesso all’Amministrazione la documentazione, circa l’avvenuta voltura;

Eccesso di potere sotto il profilo del difetto assoluto di presupposto e di motivazione: il provvedimento gravato non aveva tenuto conto della circostanza per cui la sentenza di questo Tribunale, n. 1387/2010, era stata sospesa dal Consiglio di Stato; né, del resto, ad attenuare il pregiudizio, subito dal ricorrente, era sufficiente la fissazione del termine del 12.01.2011, per lo sgombero dell’area occupata, nonché per la possibile individuazione di altro locale, ove allocare l’attività economica esercitata dal ricorrente (trasloco estremamente oneroso e che avrebbe determinato, secondo il medesimo, la definitiva chiusura della sua attività).

In data 2.12.2010 interveniva in giudizio, "ad opponendum", la Parrocchia San Ciro Martire di Avellino, con memoria in cui, premessa la ricostruzione delle vicende che avevano caratterizzato la delocalizzazione dell’edicola del ricorrente in piazza San Ciro ed i connessi provvedimenti giurisdizionali, eccepiva l’inammissibilità e/o irricevibilità del ricorso, perché non notificato alla stessa Parrocchia, controinteressata, sebbene detta sua qualificazione discendesse in maniera inequivocabile sia dalla sua allocazione, nella suddetta piazza, sia dalla pregressa proposizione, da parte della medesima, del ricorso n. 1050/2008, diretto all’annullamento della delibera n. 93/2008, solo successivamente impugnata dalla società ricorrente, con il ricorso n. 1143/2008; inoltre eccepiva l’inammissibilità del ricorso, sotto il diverso profilo della carenza d’interesse, da parte della società ricorrente, a contestare la disposta rimozione dell’edicola da piazza San Ciro, avendo la stessa prestato acquiescenza alla delibera consiliare n. 380 del 17.07.06, d’approvazione del progetto preliminare dell’intervento di riqualificazione in piazza San Ciro Martire, non contemplante la ricollocazione dell’edicola nella stessa piazza; nel merito, la difesa della Parrocchia concludeva, in ogni caso, per il rigetto della spiegata impugnativa.

Seguiva, in data 6.12.2010, la produzione di scritto difensivo, in cui la difesa del G. eccepiva l’inammissibilità dell’atto d’intervento di cui sopra, non rivestendo la Parrocchia, a suo parere, la qualità di controinteressata, e neppure essendo, la stessa, titolare di una posizione soggettiva che la legittimasse all’intervento "ad opponendum"; e, in pari data, di una memoria dell’Amministrazione circa i motivi aggiunti.

Con ordinanza, resa all’esito dell’udienza in camera di consiglio del 9.12.2010, la Sezione respingeva la domanda cautelare proposta dal ricorrente, con la seguente motivazione: "Rilevato: a) che con la delibera n. 300/10 della G. M. di Avellino, il Settore Attività Produttive è stato "incaricato di adottare i provvedimenti, finalizzati alla rimozione del chiosco installato su piazza San Ciro" e "allo sgombero dell’area dallo stesso occupata"; b) che la nota n. 52889/10 del Settore Attività Produttive dello stesso Comune è testualmente intitolata: "Avvio del procedimento finalizzato allo sgombero suolo pubblico di proprietà comunale, alla rimozione del chiosco e sgombero area Piazza Don Michele Grella (ex Piazza San Ciro)"; c) che la nota prot. 58615/ANN del Settore Attività Produttive fissa il termine finale del 12.01.2011 per l’individuazione di un immobile, ove allocare l’attività di rivendita di giornali e riviste, esercitata dalla ricorrente, preavvertendo che "in mancanza si procederà allo sgombero dell’area in ottemperanza alla delibera di G. C. n. 300 dell’8.09.10 e alla revoca dell’autorizzazione amministrativa n. 6 del 12.01.1987";

ritenuto, pertanto, che nessuno degli atti, impugnati con il ricorso introduttivo e con i motivi aggiunti, pare dotato del carattere dell’immediata e diretta lesività, onde manca l’indefettibile presupposto per l’accoglimento della domanda cautelare, rappresentato dall’esistenza di un concreto ed attuale "periculum in mora", apparendo chiaro, dal tenore testuale dei provvedimenti di cui sopra, che sino al 12.01.2011 resta inibito all’Amministrazione Comunale di disporre il citato sgombero dell’area di piazza San Ciro e la preannunziata revoca dell’autorizzazione amministrativa di cui sopra; rilevato, in particolare, che sempre dal tenore testuale dei provvedimenti impugnati pare emergere la necessità dell’adozione di ulteriori provvedimenti formali, onde realizzare le suddette finalità, ove entro il prefato termine finale non sia stato raggiunto l’accordo tra le parti, circa una nuova localizzazione dell’edicola, di titolarità della ricorrente".

In data 28.01.2011 G.M., nell’epigrafata qualità, depositava un secondo atto di motivi aggiunti, diretto avverso gli ulteriori provvedimenti, sopra indicati, censurati sotto i seguenti profili:

Violazione e falsa applicazione degli artt. 9 e 20 del Piano di Localizzazione dei punti vendita della stampa quotidiana e periodica, adottato con delibera C. C: n. 91/2005; Eccesso di potere sotto il profilo della erroneità dei presupposti e del travisamento dei fatti: le disposizioni di cui sopra, contrariamente a quanto sosteneva il Comune, non erano state violate, poiché le medesime si riferivano unicamente alle varie ipotesi di trasferimento volontario e non al diverso caso dello spostamento dell’edicola, disposto dall’Amministrazione per motivi di pubblico interesse; in ogni caso, pur limitandosi a considerare la sola delocalizzazione del 2008 (successiva alla delibera di C. C. n. 91/2005), il Comune aveva comunque sempre autorizzato i trasferimenti di sede dell’edicola (con la delibera n. 93/08 e con il provvedimento n. 8750/bis del 10.06.98);

Illegittimità degli artt. 9 e 20 del Piano di Localizzazione dei punti vendita della stampa quotidiana e periodica, adottato con delibera di C. C., n. 91/2005, per contrasto con la disciplina di cui al d. l.vo n. 170/2001 e con l’art. 22 del d. l.vo 114/98: qualora le predette norme fossero state ritenute applicabili alla specie, se ne contestava la legittimità, perché in contrasto con la normativa nazionale, prevedente nella specie – anziché la decadenza dell’autorizzazione – una mera sanzione pecuniaria;

Violazione e falsa applicazione degli artt. 13 e 20 del Piano di localizzazione Comunale: la voltura della licenza da G.M. s. n. c. alla G.M. s. a. s., in ogni caso, era avvenuta con atto del 29.12.2004, anteriore all’adozione della citata deliberazione di C. C. n. 91/2005; ancora, si ribadiva che l’Amministrazione Comunale aveva comunque sempre intrattenuto rapporti, senza muovere eccezioni di sorta, con la nuova denominazione sociale della ditta;

Violazione e falsa applicazione dei principi della l. 241/90 e ss. mm. ii; Eccesso di potere per carenza dei presupposti, difetto d’istruttoria e di motivazione: era contestato che i provvedimenti impugnati – di sgombero dell’area e di revoca dell’autorizzazione amministrativa – poggiavano su motivazioni diverse da quelle, per cui i relativi procedimenti erano stati avviati (con le note del Comune sopra citate, e con la deliberazione di G. M. n. 300/2010).

All’esito, il ricorrente formulava istanza di risarcimento dei danni subiti, "a causa del comportamento persecutorio del Comune di Avellino" nei suoi confronti, danno che si riservava di documentare e di quantificare.

In data 10.02.2011, il Comune di Avellino replicava al secondo atto di motivi aggiunti, ribadendo le eccezioni preliminari già sollevate nell’atto di costituzione in giudizio e concludendo, nel merito, per il rigetto del gravame e della pedissequa domanda risarcitoria.

Seguiva la produzione di scritto difensivo nell’interesse del G..

In data 24.02.2011 il Comune depositava copia della sentenza n. 283/2011, pronunziata da questa Sezione nel ricorso n. 1050/2008 R. G. (promosso dalla Parrocchia San Ciro Martire, avverso la delibera di G. M. n. 93/08).

Con ordinanza, emessa all’esito dell’udienza in camera di consiglio del 24.02.2011, la Sezione accoglieva, con la seguente motivazione, la domanda cautelare articolata da pare ricorrente nei secondi motivi aggiunti: "Ritenuto – in disparte ogni altra questione, in rito e in merito – di dover confermare le motivazioni a fondamento del decreto cautelare monocratico, emesso "inaudita altera parte", in data 28.01.11, nel proc. n. 127/2011 R. G., nel quale si ravvisava la sussistenza, nello "immediato sgombero dell’area su cui insiste il chiosco", di un pregiudizio irreparabile, rappresentato dalla chiusura dell’edicola, con conseguente fermo dell’attività lavorativa, di natura commerciale, svolta dal ricorrente con l’ausilio di due dipendenti, danno grave ed irreparabile che ha fondato anche la decisione cautelare resa dal Consiglio di Stato, in data 22 – 25.10.2010, in sede di appello avverso la sentenza della Sezione, n. 1387/2010; Ritenuto, in particolare, che l’emergenza di tale irreparabile pregiudizio rende opportuno che alla decisione di merito, per la quale si fissa sin d’ora l’udienza pubblica del 16 giugno 2011, si pervenga "re adhuc integra".

Le parti depositavano, infine, scritti difensivi riepilogativi.

Per ciò che concerne il secondo dei due ricorsi in epigrafe, esso rappresenta, in realtà, null’altro che la proposizione, in forma di gravame autonomo, da parte di G.M., del secondo atto di motivi aggiunti, di cui s’è detto sopra, motivata, in via tuzioristica, dalla eventualità che nel primo ricorso fosse accolta l’eccezione di difetto di legittimazione attiva, sollevata dalla difesa del Comune di Avellino.

È sufficiente, quindi, richiamare al riguardo l’esposizione del suddetto atto di motivi aggiunti.

Lo stesso dicasi quanto al controricorso del Comune di Avellino ed agli ulteriori scritti defensionali, in esso prodotti.

All’udienza pubblica del 16.06.2011, entrambi i gravami erano trattenuti in decisione.

Motivi della decisione

Preliminarmente va disposta la riunione dei due ricorsi in epigrafe, attesa l’identità esistente tra il secondo atto di motivi aggiunti del primo ricorso e l’atto introduttivo del secondo ricorso.

Le considerazioni che si svolgeranno, quanto al secondo atto di motivi aggiunti, saranno quindi valide anche per il secondo ricorso.

Quanto all’atto introduttivo del giudizio ed al primo atto di motivi aggiunti, in disparte le eccezioni preliminari svolte dalla difese delle controparti (nonché in disparte l’eccezione del ricorrente, circa la ritualità dell’atto d’intervento "ad opponendum"), il Collegio ribadisce la sua convinzione, già espressa in sede di disamina della domanda cautelare in essi articolata, che gli stessi siano inammissibili, perché entrambi rivolti all’impugnativa di atti, non direttamente lesivi della sfera giuridica di G.M..

E valga il vero: con la delibera di G. M., n. 300/2010, si disponeva l’annullamento, in autotutela, della precedente deliberazione giuntale, n. 261/2010 (a cagione della mancata notifica, al ricorrente, del "provvedimento finale di chiusura" del procedimento, del 16.03.2010), e, di conseguenza, s’incaricava il Settore Attività Produttive ad "adottare i provvedimenti finalizzati alla rimozione del chiosco installato su piazza San Ciro, per motivi connessi a pubblico interesse, senza indennizzo di sorta, e allo sgombero dell’area dallo stesso occupata, entro un congruo termine, massimo 120 giorni".

Ben si comprende come nessuna lesione immediata e concreta della sfera giuridica del ricorrente possa farsi derivare dalla suddetta deliberazione, dovendo l’effetto lesivo (collegato evidentemente alla rimozione del chiosco ed allo sgombero dell’area di pertinenza) ritenersi procrastinato alla scadenza del termine di giorni 120, nella stessa delibera indicato.

Vige infatti il principio, pacificamente affermato in giurisprudenza, secondo cui: "Nel processo amministrativo, l’interesse al ricorso consiste in un vantaggio pratico e concreto anche soltanto eventuale o morale, che può derivare al ricorrente dall’accoglimento dell’impugnativa, il quale sorge in conseguenza della lesione attuale di un interesse sostanziale. Tale requisito, pertanto, non sussiste – con conseguente inammissibilità del ricorso – quando l’atto, ancorché avente natura provvedimentale, sia privo di immediata ed autonoma lesività" (T. A. R. Campania Napoli, sez. III, 2 luglio 2010, n. 16547).

La riprova di ciò si ottiene, conformemente all’insegnamento del Consiglio di Stato (cfr. Sez. VI, 26 giugno 2003, n. 3840: "L’interesse a ricorrere va escluso quando l’accoglimento del ricorso comporterebbe effetti conformativi incompatibili con qualsiasi possibilità di realizzazione, anche solo strumentale, dell’interesse fatto valere nel ricorso"), dalla constatazione che, quand’anche il ricorso avverso la prefata deliberazione di Giunta fosse stato, in ipotesi, accolto, non si vede quale utilità concreta avrebbe potuto riceverne il ricorrente e quali obblighi conformativi sarebbero potuti sorgere, in capo alla P. A.

Le stesse considerazioni valgono ovviamente anche per quanto concerne l’altro atto impugnato nel ricorso introduttivo, vale a dire la nota, prot. 52889 del 14.09.2010, a firma del dirigente del Settore Attività Produttive del Comune resistente, costituente mera comunicazione d’avvio del procedimento, finalizzato allo sgombero di suolo pubblico ed alla rimozione del chiosco in oggetto.

La giurisprudenza, circa l’assenza d’autonoma lesività di una comunicazione siffatta, è pacifica: cfr., "ex multis", T. A. R. Piemonte Torino, sez. I, 25 ottobre 2008, n. 2684: "È inammissibile il ricorso proposto contro la comunicazione di avvio del procedimento amministrativo, trattandosi di atto endoprocedimentale non dotato in quanto tale di autonoma capacità lesiva".

Discorso analogo può farsi, relativamente all’atto, impugnato con i primi motivi aggiunti (nota prot. 56815 dell’11.10.2010, sempre a firma del dirigente del Settore Attività Produttive del Comune); stavolta era il provvedimento del 16.03.2010, prot. 11778 (di chiusura del procedimento prot. 50573), ad essere annullato in via di aututotela (sempre per la mancata notifica dello stesso al destinatario, dovuta, per l’ente, ad un mero errore materiale); per il resto, anche tale nota aveva il valore di mera comunicazione (il ricorrente era avvertito che il procedimento avviato con nota prot. n. 52889 del 14.09.2009, finalizzato allo sgombero del suolo pubblico di proprietà comunale ed alla rimozione del chiosco, sarebbe stato esteso alla istanza di voltura presentata dal medesimo in data 7.12.2009, con eventuale rilascio di regolare autorizzazione, con la precisazione tuttavia che la stessa era subordinata alla circostanza che il G. avesse "trovato" un immobile dove allocare l’attività di rivendita di giornali e riviste, nel rispetto del vigente piano di localizzazione dei punti di vendita di stampa quotidiana e periodica, in assenza del quale presupposto si sarebbe proceduto allo sgombero dell’area occupata, in esecuzione della delibera n. 300/2010, ed alla revoca dell’originaria autorizzazione (n. 6 del 12.01.1987) rilasciata al ricorrente per l’attività di vendita di giornali in viale Italia – angolo via Derna).

Ben si vede come anche tale atto difetti di attuale e concreta capacità d’incidere, negativamente, sulla sfera giuridica del ricorrente, e tale convinzione è corroborata dall’ampliamento del termine finale, già fissato con la comunicazione d’avvio di procedimento, prot. 52889 del 14.09.2010, fino al 12.01.2011; detto termine rappresentava, in particolare, nell’intendimento dell’ente, il limite temporale invalicabile, entro il quale il G. avrebbe dovuto individuare altro immobile, ove allocare la sua attività commerciale, pena altrimenti l’adozione degli, ormai più volte prefigurati, provvedimenti di sgombero dell’area occupata e di revoca dell’autorizzazione amministrativa, risalente al 1987, concessa al medesimo per lo svolgimento di detta attività.

Dalla disamina che precede, ben si comprende perché la domanda cautelare, articolata nelle riferite impugnative, sia stata respinta dalla Sezione, con la motivazione seguente: "Rilevato: a) che con la delibera n. 300/10 della G. M. di Avellino, il Settore Attività Produttive è stato "incaricato di adottare i provvedimenti, finalizzati alla rimozione del chiosco installato su piazza San Ciro" e "allo sgombero dell’area dallo stesso occupata"; b) che la nota n. 52889/10 del Settore Attività Produttive dello stesso Comune è testualmente intitolata: "Avvio del procedimento finalizzato allo sgombero suolo pubblico di proprietà comunale, alla rimozione del chiosco e sgombero area Piazza Don Michele Grella (ex Piazza San Ciro)"; c) che la nota prot. 58615/ANN del Settore Attività Produttive fissa il termine finale del 12.01.2011 per l’individuazione di un immobile, ove allocare l’attività di rivendita di giornali e riviste, esercitata dalla ricorrente, preavvertendo che "in mancanza si procederà allo sgombero dell’area in ottemperanza alla delibera di G. C. n. 300 dell’8.09.10 e alla revoca dell’autorizzazione amministrativa n. 6 del 12.01.1987";

ritenuto, pertanto, che nessuno degli atti, impugnati con il ricorso introduttivo e con i motivi aggiunti, pare dotato del carattere dell’immediata e diretta lesività, onde manca l’indefettibile presupposto per l’accoglimento della domanda cautelare, rappresentato dall’esistenza di un concreto ed attuale "periculum in mora", apparendo chiaro, dal tenore testuale dei provvedimenti di cui sopra, che sino al 12.01.2011 resta inibito all’Amministrazione Comunale di disporre il citato sgombero dell’area di piazza San Ciro e la preannunziata revoca dell’autorizzazione amministrativa di cui sopra; rilevato, in particolare, che sempre dal tenore testuale dei provvedimenti impugnati pare emergere la necessità dell’adozione di ulteriori provvedimenti formali, onde realizzare le suddette finalità, ove entro il prefato termine finale non sia stato raggiunto l’accordo tra le parti, circa una nuova localizzazione dell’edicola, di titolarità della ricorrente".

Ne risulta confermata la conclusione, sopra esposta, circa l’inammissibilità dei prefati gravami, dovendosi piuttosto concentrare l’attenzione del Tribunale sul secondo atto di motivi aggiunti (ovvero, il che è lo stesso, sul secondo dei ricorsi in epigrafe, avendo, essi, il medesimo oggetto), con il quale sono stati impugnati i provvedimenti (ordinanza n. 52 del 20.01.2011, di sgombero immediato dell’area su cui insisteva il chiosco di piazza San Ciro e provvedimento prot. n. 1909 del 20.01.2011, di revoca dell’autorizzazione amministrativa, rilasciata al ricorrente il 12.01.1987, per l’esercizio dell’attività di rivendita di giornali e riviste), nei quali s’è realizzata la lesione dell’interesse del ricorrente a proseguire la propria attività commerciale nell’edicola, posta in piazza San Ciro.

È rispetto a tali gravami che vanno esaminate, anzitutto, le eccezioni preliminari svolte dalla difesa del Comune di Avellino, d’inammissibilità per carenza di legittimazione attiva al ricorso, non essendo stata rilasciata alcuna autorizzazione in favore della G.M. s. a. s. e trattandosi, comunque, di autorizzazioni a titolo temporaneo, revocabili per ragioni di superiore interesse pubblico.

Dette eccezioni sono state, infatti, riproposte dalla difesa dell’ente nel controricorso di costituzione, rispetto ai secondi motivi aggiunti (mentre l’eccezione d’inammissibilità del ricorso originario e dei primi motivi aggiunti, per omessa notifica di tali atti alla Parrocchia controinteressata, non ha più ragione d’essere esaminata, per esserle stata regolarmente notificato il secondo gravame aggiuntivo).

Le predette eccezioni, in quanto volte a paralizzare l’avverso ricorso, non possono essere favorevolmente scrutinate, impingendo le stesse, piuttosto, nel merito delle questioni sottoposte all’attenzione del Collegio: le relative questioni andranno quindi esaminate, allorché si tratterà del contenuto dei gravami "de quibus", e tanto in disparte l’osservazione, comunque dirimente, della proposizione del ricorso n. 127/2001 R. G., oltre che da parte del ricorrente quale legale rappresentante della G.M. s. a. s. (secondo atto di motivi aggiunti), direttamente da parte di G.M., proprio al tuzioristico fine di superare ogni eventuale profilo d’inammissibilità, per carenza d’interesse ad agire.

Lo stesso dicasi per l’eccezione d’inammissibilità del ricorso, sollevata dalla difesa della Parrocchia controinteressata, sempre sotto il profilo della carenza d’interesse, da parte della società ricorrente, a contestare la disposta rimozione dell’edicola da piazza San Ciro, stavolta perché la stessa avrebbe prestato acquiescenza alla delibera consiliare n. 380 del 17.07.06, d’approvazione del progetto preliminare dell’intervento di riqualificazione in piazza San Ciro Martire, che non contemplava la ricollocazione dell’edicola nella stessa piazza.

Anche tale eccezione, piuttosto che rivestire un’efficacia, inibente l’esame del ricorso per motivi aggiunti in argomento, merita d’essere analizzata nel contesto del merito, non apparendo possibile desumere la dedotta acquiescenza, nell’accettazione degli effetti della suddetta delibera consiliare, mancando detto comportamento del necessario carattere dell’univocità (cfr. la massima seguente: "Sussiste acquiescenza ad un provvedimento amministrativo solo nel caso in cui ci si trovi in presenza di atti, comportamenti e dichiarazioni univoci, posti liberamente in essere dal destinatario dell’atto, che dimostrino la chiara ed incondizionata (cioè non rimessa ad eventi futuri ed incerti) volontà dello stesso di accettarne gli effetti e l’operatività; con la conseguenza di escludere la possibilità di affermare la sussistenza dell’acquiescenza per mera presunzione, non potendosi in tal caso trovare univoco riscontro della volontà dell’interessato di accettare tutte le conseguenze derivanti dall’atto amministrativo" – T. A. R. Calabria Catanzaro, sez. II, 7 febbraio 2011, n. 166).

Del pari destituita di fondamento si presenta – d’altro canto – la dedotta inammissibilità dell’intervento "ad opponendum" della Parrocchia controinteressata, alla quale, viceversa, contrariamente all’opinione di parte ricorrente, detta qualifica non può assolutamente essere negata, attesa la sua ubicazione nella piazza ove è allocata l’edicola in questione, nonché in considerazione della proposizione, da parte della medesima, di precedente ricorso (definito con la sentenza di questa Sezione, n. 283/2011) diretto proprio a contestare la collocazione, tendenzialmente "stabile" (anziché temporanea) del chiosco, di pertinenza del G., nella suddetta piazza.

Ciò posto, ritiene il Collegio che proprio il riferimento alla predetta decisione (pure avverso la quale pende appello) serva ad introdurre il discorso, relativo alla eventuale fondatezza, o meno, del secondo atto di motivi aggiunti in esame.

Si ritiene, in particolare, che la decisione da assumere non possa prescindere dalla considerazione delle conclusioni, cui questa Sezione è giunta, nell’affrontare le problematiche, poste dal relativo ricorso (n. 1050/2008 R. G.), nonché quelle poste dall’altro gravame (prot. n. 1143/2008 R. G.), proposto dallo stesso odierno ricorrente (G.M.) e definito con la sentenza n. 1387/2010, avverso la quale è stato interposto appello innanzi al Consiglio di Stato (che ha anche sospeso l’efficacia di detta decisione, tuttavia per i soli profili, attinenti al "periculum in mora", vale a dire per le stesse ragioni che hanno determinato la decisione cautelare, resa nell’ambito del presente giudizio, dopo la proposizione dei secondi motivi aggiunti).

Orbene, nella citata sentenza n. 238/2011, la Sezione, nell’accogliere il ricorso, proposto dalla Parrocchia controinteressata avverso la deliberazione della Giunta Comunale di Avellino, n. 93 dell’8.02.08, evidenziava "la necessaria interdipendenza, espressa in forma inequivocabile nel testo della stessa deliberazione gravata, tra la permanenza dell’edicola in piazza San Ciro e il completamento dei lavori di riqualificazione urbana, che hanno interessato la stessa piazza", con conseguente annullamento della deliberazione impugnata, "se, e nella parte in cui, l’autorizzazione alla collocazione della, più volte citata, edicola nella piazza San Ciro di Avellino dovesse intendersi, anche "per facta concludentia", come tendenzialmente stabile, anziché necessariamente provvisoria".

Ne derivava, altresì, che l’Amministrazione Comunale, onde rispettare nello spirito – e non solo nella lettera – il descritto nesso d’interdipendenza, emergente dalla stessa deliberazione gravata, non avrebbe potuto consentire il permanere della predetta edicola, sullo stesso sagrato, una volta che i lavori di rifacimento della piazza in questione fossero – come, in effetti, erano – terminati.

Per quanto riguarda la decisione n. 1387/2010, in essa la Sezione respingeva il gravame interposto da G.M., contro la stessa deliberazione giuntale, e poneva in risalto (per quanto rileva in questa sede) quanto segue: "La gravata deliberazione della G. C. di Avellino, n. 93 dell’8.02.08, di "annullamento in autotutela" della precedente delibera di Giunta, n. 66/2008, ne lasciava, tuttavia, salvo il contenuto dispositivo essenziale, vale a dire l’autorizzazione della delocalizzazione dell’edicola per la vendita di giornali, di pertinenza del ricorrente, secondo i termini dell’accordo, sottoscritto tra il medesimo e il Dirigente del competente Settore dell’ente, del 25.10.07, con la precisazione, peraltro, che si trattava di un’autorizzazione a titolo temporaneo, limitatamente cioè al periodo necessario, all’Amministrazione Comunale, per il completamento della Piazza; l’altra modifica, rispetto alla precedente deliberazione giuntale, concerneva, poi, la necessità del rispetto delle "caratteristiche dimensionali e tipologiche stabilite dal RUEC all’art. 64.1.2" per le edicole, situate su suolo pubblico, laddove la previsione dell’onerosità dell’occupazione, in tal modo concessa, era già presente nell’atto deliberativo, oggetto d’annullamento in autotutela.

Tal essendo il contenuto dispositivo della delibera impugnata, e in ciò sostanziandosi le ragioni dell’annullamento, operato dal Comune di Avellino, è evidente che la seconda censura, con la quale s’è denunziata carenza d’interesse pubblico all’autoannullamento d’ufficio nonché difetto di motivazione dell’atto gravato, non coglie nel segno, posto che le limitate modifiche introdotte, con la seconda determinazione giuntale, alle decisioni assunte con la prima, appaiono del tutto connaturali all’atto da assumere e coerenti con le premesse del deliberato medesimo; né le stesse, del resto, abbisognano di una motivazione diffusa, posto che non è chi non veda come l’autorizzazione in oggetto, per essere dipendente dall’esigenza d’eseguire i lavori di riqualificazione urbana della piazza, non potesse che essere di natura temporanea ed essendo, altresì, indiscutibile la necessità del rispetto delle caratteristiche dimensionali e tipologiche stabilite, in via generale ed astratta, per tutte le edicole poste su suolo pubblico, dal RUEC di Avellino (Regolamento, del resto, neppure oggetto di impugnativa in questa sede)".

Fatte queste necessarie premesse, può essere affrontato il tema del contenuto dei provvedimenti, gravati dal ricorrente nei secondi motivi aggiunti (e nell’identico ricorso, proposto in via autonoma), onde verificare se le censure, articolate dal medesimo, colgano o meno, ed eventualmente in quale misura, nel segno.

Si tratta, in particolare, della nota prot. 1909 (così numerata nei ricorsi e nelle stesse memorie difensive dell’Amministrazione, e ciò nonostante che nella copia di tale provvedimento, allegata al controricorso, sia apposto il numero d’ordine 1090) del 18.01.2011, a firma del dirigente del Settore Attività Produttive del Comune di Avellino, cui è affidata l’esposizione dettagliata dei motivi, fondanti la "revoca dell’autorizzazione n. 6 del 12.01.1987, rilasciata a G.M. per l’esercizio dell’attività di rivendita di giornali e riviste nel chiosco sito in Avellino al Viale Italia – angolo via Derna, con consequenziale interruzione immediata dell’attività svolta in difformità di legge nel chiosco sito alla Piazza Don Michele Grella" (ex Piazza San Ciro); laddove con la coeva ordinanza n. 52, a firma dello stesso dirigente del Comune di Avellino, s’ordinava – sulla base di quanto esposto nella prefata nota prot. 1909 – "l’immediato sgombero dell’area su cui insiste il chiosco sito alla Piazza Don Michele Grella e il ripristino dello stato dei luoghi preesistente all’insediamento del manufatto di che trattasi", con avviso che, in caso di mancata ottemperanza, si sarebbe proceduto all’esecuzione d’ufficio, in danno del ricorrente.

Il provvedimento n. 1909 del 18.01.2011 rappresenta un articolato lungo e complesso, del quale si esporranno in sintesi i punti salienti, in modo da enucleare le ragioni che hanno condotto l’Amministrazione resistente a revocare l’autorizzazione amministrativa concessa a suo tempo (nel 1987) al ricorrente.

Tralasciando la cronistoria, in detta nota contenuta, dei vari provvedimenti amministrativi, caratterizzanti la vicenda in esame, del resto, in massima parte, già ricavabili dalla narrativa che precede, e limitando l’attenzione del Collegio – per ovvie ragioni di brevità e semplicità espositiva – alla sola parte motiva del provvedimento "de quo", l’assunto da cui è partito il Comune è consistito nell’osservazione che la ditta G.M. s. a. s. non risultava titolare di alcuna autorizzazione di tal genere, l’unica rilasciata – a G.M., quale persona fisica – essendo la n. 6 del 12.01.1987, relativa all’edicola di Corso Italia – angolo via Derna; lo stesso ricorrente, quale titolare della relativa ditta individuale, aveva pertanto beneficiato (non di concessioni pluriennali del suolo, bensì) "di sole autorizzazioni provvisorie rilasciate dal’ente a titolo temporaneo, con facoltà per l’Amministrazione di ordinarne la rimozione, laddove necessaria per motivi connessi al pubblico interesse e mediante semplice richiesta, senza indennizzi di sorta".

Rilevava, quindi, il dirigente del S. A. P. comunale, come il Piano di Localizzazione dei punti di vendita della stampa quotidiana e periodica, adottato – in ottemperanza al d. l.vo 170/2001 – con deliberazione di C. C., n. 91 del 10.10.2005, all’art. 9 prevedesse che il trasferimento di sede di un punto vendita di tal genere, sia esclusivo che non esclusivo, era soggetto alla preventiva autorizzazione amministrativa, rilasciata dal Comune, e potesse essere effettuato, decorsi trenta giorni dal ricevimento della relativa comunicazione, da parte dell’ente; nonché come l’art. 20 dello stesso Piano, intitolato "Revoca dell’autorizzazione", stabilisse, appunto, la revoca dell’autorizzazione già rilasciata, ove (lett. d) il punto vendita fosse stato trasferito in altra sede, senza la suddetta, preventiva, autorizzazione.

Tanto premesso, il funzionario dell’ente poneva in risalto che G.M., "nonostante abbia avuto l’autorizzazione alla delocalizzazione provvisoria del chiosco da Viale Italia a Piazza San Ciro in data 10.06.1998 prot. n. 8570/bis/4075, solo in data 07.12.09 (oltre 11 anni dopo) ha richiesto la "volturazione della licenza in capo alla G.M. s. a. s. sita in Piazza San Ciro", e l’autorizzazione al trasferimento di sede (avvenuto di fatto dal 25.10.2007, come autocertificato dallo stesso G., che ha anche precisato "che non risulta essere mai stata sottoscritta alcuna convenzione per l’occupazione di suolo pubblico").

Seguiva l’osservazione che G.M., in data 25.01.2010, aveva trasmesso (facendo seguito all’avvio di procedimento, prot. 50573 del 20.12.2009) parte della documentazione richiesta, e in particolare l’atto costituivo della "G.M. s. n. s." del 18.01.2005 e l’atto di trasformazione della società in nome collettivo in accomandita semplice, del 24.01.2005 (nonché istanza per la sottoscrizione della convenzione per l’uso del suolo pubblico, del 12.01.2010, indirizzata al sindaco); ma che da tali atti non emergeva "il conferimento, nelle suddette società, dell’azienda individuale svolta in forza dell’autorizzazione amministrativa n. 6 del 12.01.1987".

Indi il dirigente del S. A. P. rilevava come l’Amministrazione avesse sempre concesso, al G., autorizzazioni temporanee, piuttosto che concessioni pluriennali, e come il medesimo si fosse "avvantaggiato" di dette autorizzazioni, non implicanti il pagamento di alcun canone al Comune; e come lo stesso ricorrente, sino a quel momento, non avesse inviato, nei termini concessi (120 giorni) "alcuna comunicazione in merito all’individuazione di un immobile dove allocare l’attività di rivendita di giornali e riviste nel rispetto del vigente Piano di Localizzazione dei punti vendita di stampa quotidiana e periodica e compatibile all’uso, secondo la vigente normativa, per il rilascio della conseguente autorizzazione amministrativa", e che quanto sopra manifestava "una carenza d’interesse del sig. G.M. alla soluzione della vicenda".

In base alle suddette premesse, il dirigente del Comune di Avellino, nel chiudere il procedimento relativo, revocava, come detto sopra, l’autorizzazione, a suo tempo rilasciata in favore del ricorrente e ordinava – come da separata ordinanza, n. 52 del 18.01.2011 – l’immediato sgombero dell’area sulla quale insisteva il chiosco e il ripristino dello stato dei luoghi.

Tali essendo le ragioni che hanno determinato l’emanazione dei provvedimenti impugnati, rileva il Tribunale che se, da un lato, appare indubitabile che la pretesa del ricorrente, di continuare ad esercitare la propria attività di rivendita di giornali e riviste proprio nell’edicola, sita nella piazza San Ciro di Avellino, non appare meritevole di tutela, dall’altro la misura sanzionatoria adottata, nei suoi confronti, dall’Amministrazione Comunale, della revoca dell’autorizzazione concessa al medesimo per lo svolgimento della prefata attività di natura commerciale, appare senz’altro eccessiva, oltre che anzitutto illegittima, per le ragioni che si diranno in seguito.

Ciò posto in linea generale, s’osserva, quanto al primo degli evidenziati termini della questione, che non è revocabile in dubbio che il ricorrente non ha il diritto di continuare a svolgere la sua attività di rivenditore di giornali proprio nel chiosco, a suo tempo provvisoriamente installato nella suddetta piazza.

Ciò, anzitutto, perché la relativa autorizzazione, rilasciata dal Comune, prot. 8750/bis del 10.06.98, chiaramente specificava che la stessa era "a titolo temporaneo", riservandosi l’Amministrazione la facoltà di ordinarne la rimozione, per motivi di pubblico interesse, "ad nutum" e senza indennizzi di sorta.

Appare quasi superfluo porre in risalto che, con l’accettare senza riserve tale genere di autorizzazione temporanea, il ricorrente ha prestato acquiescenza a tutte le clausole, nella stessa contenute, ivi compresa, evidentemente, quelle della temporaneità e della revocabilità per ragioni di superiore interesse pubblico ed a semplice richiesta.

Se ciò non bastasse, a confortare il Collegio della correttezza di tale soluzione soccorrerebbero i sopra riferiti esiti dei giudizi di primo grado, instaurati presso questo Tribunale sia dal ricorrente, sia dalla Parrocchia controinteressata, avverso la delibera di G. M., n. 93 dell’8.02.08, con la quale era autorizzata la delocalizzazione della citata edicola "a titolo temporaneo, limitatamente al periodo necessario all’Amministrazione Comunale per il completamento dei lavori della piazza".

Se è vero, infatti, che delle due riferite sentenze la prima (n. 1387/2010) è stata sospesa in sede cautelare dal Consiglio di Stato ed è quindi priva, allo stato, di efficacia esecutiva, è altrettanto vero che la seconda sentenza (n. 238/2011), per quanto anch’essa gravata d’appello, non è stata sospesa, onde rimane fermo che l’Amministrazione Comunale è tenuta a rispettare "la necessaria interdipendenza, espressa in forma inequivocabile nel testo della stessa deliberazione gravata, tra la permanenza dell’edicola in piazza San Ciro e il completamento dei lavori di riqualificazione urbana, che hanno interessato la stessa piazza", con conseguente venir meno della ragione stessa della permanenza del chiosco, nell’attuale posizione, "una volta che i lavori di rifacimento della piazza in questione fossero – come, in effetti, erano – terminati".

Lo sgombero del medesimo chiosco dall’attuale posizione rappresenterebbe quindi, ragionando per ora in termini astratti, un provvedimento conforme ai dettami della prefata decisione; né, del resto, il ricorrente può vantare un interesse, meritevole di tutela, alla conservazione della stessa posizione, e ciò per i motivi dianzi esposti, apparendo le contrarie ragioni prospettate dal medesimo (integranti mere difficoltà di natura economica, insite nel trasferimento dell’azienda in altra sede) chiaramente recessive rispetto all’interesse pubblico, alla cui tutela primariamente deve essere rivolta l’attività della P. A. (ragioni di pubblico interesse, del resto, efficacemente compendiate, nella presente vicenda, dalle azioni giurisdizionali intraprese dalla controinteressata Parrocchia, ivi compreso l’intervento "ad opponendum" spiegato, dalla stessa Parrocchia, nell’odierno giudizio).

Ciò posto, e passando all’ulteriore profilo sopra evidenziato, ritiene tuttavia il Tribunale che lo strumento giuridico adoperato dall’Amministrazione Comunale per ordinare lo spostamento (si ripete, doveroso) dell’edicola del ricorrente dalla sua attuale posizione, sostanziatosi nella revoca dell’autorizzazione amministrativa, a suo tempo concessa al medesimo per lo svolgimento dell’attività di rivendita di giornali e riviste in Corso Italia – angolo via Derna, sia illegittimo.

Carattere dirimente, con assorbimento delle altre doglianze sollevate nel secondo atto di motivi aggiunti, riveste la censura rubricata sub 1), con cui è stata denunziata la violazione degli artt. 9 e 20 del Piano di Localizzazione dei punti di vendita della stampa quotidiana e periodica, adottato con delibera di C. C. n. 91 dl 2005.

In particolare, a parere del Collegio, illegittimamente il dirigente del S. A. P. comunale ha applicato le norme, che prevedono la soggezione del trasferimento di sede di un punto vendita alla preventiva autorizzazione del Comune e che comminano, altrimenti, la revoca della preesistente autorizzazione, al caso di spostamenti di sede non volontari, ma piuttosto, come nella specie, determinati dalla necessità, per la stessa Amministrazione, di svolgere lavori pubblici, la quale necessità ha comportato, dapprima, nel 1998, la decollocazione del chiosco dalla sede originaria di Corso Italia – angolo via Derna in piazza San Ciro, e quindi, nel 2008, per effetto dei lavori di riqualificazione della piazza in questione, dalla nuova sede ad altra, ancora più centrale, sempre nell’ambito della stessa piazza.

In disparte l’evidente mancata applicabilità, al primo di detti trasferimenti, del Piano di Localizzazione della stampa quotidiana e periodica, approvato nel 2005, in ogni caso s’osserva che esso, comunque, veniva effettuato con la copertura amministrativa rappresentata dalla nota, prot. 8750/bis del 10.06.98, a firma del Capo Ripartizione dell’Ufficio Tecnico – Urbanistica del Comune, di autorizzazione a delocalizzare l’edicola in oggetto; per ciò che concerne poi il secondo, e più controverso, spostamento di sede, avvenuto nel 2008, non si può omettere di considerare che lo stesso è avvenuto per effetto, anzitutto, della prefata delibera di G. M., n. 93/08, la cui parte dispositiva pure testualmente "autorizzava" (sia pur, ovviamente, a titolo temporaneo) la delocalizzazione dell’edicola in questione; quindi, grazie al provvedimento del Dirigente Settore LL. PP. del Comune, prot. 242 del 6.05.08, che addirittura "ordinava" al G. di effettuare detto spostamento di sede, nel termine perentorio di giorni tre dalla notifica della stessa ordinanza.

In presenza di siffatti indici testuali, davvero non si comprende come il Comune di Avellino possa imputare al ricorrente di aver trasferito la sede della sua azienda "senza autorizzazione", tanto da comminargli la revoca della licenza, a suo tempo rilasciata, in favore del medesimo, per la vendita di giornali e riviste.

Né, del resto, una così grave conseguenza per il ricorrente può discendere dalla circostanza, invece valorizzata, dal Comune, nel provvedimento oggetto d’impugnazione, secondo cui, pur avendo il medesimo trasmesso, all’ente, l’atto costitutivo della "G.M. s. n. c." e l’atto di trasformazione della stessa società in accomandita semplice, pur tuttavia la revoca dell’autorizzazione discenderebbe dall’assenza di un atto, da cui emerga "il conferimento, nelle suddette società, dell’azienda individuale svolta in forza dell’autorizzazione amministrativa n. 6 del 12.01.1987".

Tale motivo evidentemente dovrebbe comportare, per l’Amministrazione, l’impossibilità di verificare la continuità delle forme giuridiche, assunte nel tempo dalla ditta G., ponendosi quindi (come sembra doversi desumere dal, non sempre lineare, impianto argomentativo dello stesso provvedimento) come ostativo alla voltura della licenza, a suo tempo concessa al ricorrente, persona fisica, in favore della società "G.M." in accomandita semplice.

Ma si tratta di argomento che non convince, posto che davvero non si capisce quale interesse avrebbe potuto muovere il ricorrente a chiedere la voltura della licenza, a suo tempo rilasciatagli dal Comune, in favore della nuova società in accomandita, se non quello di proseguire la medesima attività, già esercitata in forma individuale.

Vanno quindi accolte le osservazioni, al riguardo rassegnate dal ricorrente nell’ambito della terza censura del secondo atto di motivi aggiunti.

Se l’argomento logico non bastasse, soccorrerebbe del resto il dato testuale, per cui nell’istanza del 7.12.2009 il medesimo ricorrente inequivocabilmente rappresentava al Comune che era sua intenzione "ricondurre tutto in capo ad un unico soggetto", ragione per la quale richiedeva la voltura in favore della società.

L’Amministrazione, onde revocare la licenza, originariamente concessa al G., s’è appigliata, in definitiva, ad un argomento di natura meramente formale, francamente inconsistente.

Da quanto sinora esposto deriva che il provvedimento, prot. 1909 del 18.01.2011, è illegittimo, e va di conseguenza annullato.

Detto annullamento, del resto, non può non riverberarsi sull’ordinanza di sgombero, prot. n. 52 del 18.01.2011, che unicamente nelle ragioni, poste a base del provvedimento di revoca dell’autorizzazione amministrativa, già rilasciata al G., trova il suo fondamento.

È evidente infatti che, fondandosi l’ingiunzione di sgombero unicamente sulla revoca della licenza commerciale, già in possesso del ricorrente, una volta caducata tale revoca, anche lo sgombero rimane privo d’ogni presupposto giustificativo.

Quanto alla domanda di risarcimento del danno, proposta dal ricorrente nei confronti del Comune di Avellino, la stessa è rimasta orfana di qualsivoglia specificazione, onde va respinta, proprio in considerazione della sua estrema genericità.

Se queste sono le conseguenze, che inevitabilmente si ricavano dal nesso d’interdipendenza, creato dal Comune tra i due provvedimenti gravati, non può tuttavia pretermettersi la considerazione secondo la quale l’effetto conformativo, derivante a carico dell’Amministrazione dalla presente decisione, dovrà necessariamente tenere conto dell’intero "iter" motivazionale sopra esposto, con la conseguenza che – ferma restando la validità della licenza commerciale a suo tempo rilasciata al G. e la necessità di volturarla in favore della nuova società in accomandita semplice – l’Amministrazione Comunale di Avellino dovrà, in esecuzione della presente sentenza, disporre ugualmente lo sgombero del chiosco dall’attuale posizione al centro del sagrato della Chiesa (alla cui conservazione, lo si ribadisce, il ricorrente non ha alcun diritto); tanto, tuttavia, in vista (non già dell’annichilimento dell’attività commerciale esercitata dal medesimo, con la collaborazione anche di dipendenti, bensì) del trasferimento dello stesso chiosco in altra sede, posta ove possibile od opportuno nelle vicinanze della originaria collocazione, e che garantisca al ricorrente un’adeguata remunerazione della sua attività d’impresa, nel contempo preservando il decoro della piazza San Ciro, come legittimamente preteso dalla controinteressata Parrocchia.

Al riguardo, il Collegio prende atto che – come si ricava dall’ultima memoria difensiva del G. – lo stesso "non può più ritornare nella originaria collocazione (come da autorizzazione n. 6/87), in quanto non sarebbero rispettate le distanze rispetto ad altro rivenditore autorizzato (società G. F. Press s. r. l.) dal Comune di Avellino successivamente alla delocalizzazione" nella piazzetta San Ciro Martire.

Ciò, ove risulti confermato, rappresenta senz’altro un ostacolo che si frappone alla soluzione logicamente più consona dell’intera vicenda, vale a dire il rientro del chiosco di vendita di giornali nella sua sede originaria; al riguardo, peraltro, la Sezione deve rilevare che, a maggior ragione, non potrà che spettare allo stesso Comune di Avellino attivarsi perché venga – ci si auspica, con la collaborazione del ricorrente – individuato un altro sito idoneo, tale da consentire, al medesimo ricorrente, la proficua prosecuzione della sua attività imprenditoriale.

In base alla regola della soccombenza, il Comune di Avellino dovrà rifondere al ricorrente le spese processuali, liquidate come da dispositivo, laddove sussistono giustificate ragioni per compensare interamente le stesse, quanto alla Parrocchia controinteressata.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania – Sezione Staccata di Salerno (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, previa loro riunione, dichiara inammissibili l’atto introduttivo del giudizio ed il primo atto di motivi aggiunti; accoglie il secondo atto di motivi aggiunti e, per l’effetto, annulla i provvedimenti, in esso impugnati.

Respinge la domanda di risarcimento del danno, avanzata dal ricorrente nei confronti del Comune di Avellino.

Condanna il Comune di Avellino al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese, delle competenze e degli onorari del presente giudizio, che liquida complessivamente in Euro 2.000,00 (duemila/00), oltre I. V. A. e C. N. A. P., come per legge.

Compensa le spese di giudizio, quanto alla Parrocchia controinteressata.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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