Cass. pen., sez. Unite 19-07-2006 (30-05-2006), n. 25084 (ord.) MISURE CAUTELARI – PERSONALI – RIPARAZIONE PER L’INGIUSTA DETENZIONE- Custodia cautelare sofferta – Durata superiore alla pena inflitta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.Ritenuto in fatto

Con ordinanza del 29.4.2004, la Corte di Appello di Reggio Calabria accoglieva parzialmente la richiesta presentata, a norma dell?articolo 314 c.p.p., da P. Antonio per ottenere la liquidazione di una somma a titolo di riparazione per l?ingiusta detenzione in carcere, subita dal 23.1.1986 al 22.6,1989, e condannava il Ministero dell?economia al pagamento, in favore del richiedente, di 80.000 euro per l?illegittima privazione della libertà limitatamente al periodo dal 26.1.1988 al 22.6.1989; la richiesta veniva, invece, rigettata relativamente al periodo di carcerazione sofferta dal 23.1.1986 al 26.1.1988.

La Corte territoriale ricostruiva, la vicenda processuale rilevando che:

il 23.1.1986 al P. era stata applicata la misura cautelare della custodia in carcere per le imputazioni di associazione per delinquere di stampo mafioso, di detenzione e porto di anni e, successivamente, di tentato omicidio;

il 22.1.1988 erano scaduti i termini massimi di custodia cautelare per i reati concernenti l?associazione mafiosa e le anni, ma la custodia in carcere e stata mantenuta in quanto l?imputato era stato condannato alla pena di quattordici anni di reclusione per i reati di tentato omicidio e di porto e detenzione di arma;

la sentenza di appello, che aveva ridotto la pena a dieci anni e sei mesi di reclusione per i predetti reati, era stata annullata dalla Corte di cassazione e, nel giudizio di rinvio, il 23.6.1989 la Corte di Assise di appello aveva assolto l?imputato dal reato di tentato omicidio per insufficienza di prove, mentre, il processo proseguiva per le imputazioni relative. al reato associativo e a quello concernente le armi;

in data 17.6.1999 il P. era stato assolto dal reato associativo e condannato a dieci mesi dì reclusione per i reati concernenti le armi;

a seguito di appello dell?imputato, la Corte territoriale il 7.5.2001 aveva pronunciato sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione in ordine al residuo reato di porto e detenzione di armi.

Tutto ciò premesso, la Corte di appello, riteneva che l?indennizzo per l?ingiusta detenzione dovesse essere. riconosciuto unicamente per il periodo compreso tra il 26.1.1988 e il 22.6.1989, riguardante la custodia cautelare riferita all ?imputazione di tentato omicidio, e che, per contro, relativamente al periodo dal 23.1.1986 al 22.1.1988 la richiesta dovesse essere respinta per la duplice ragione che la custodia cautelare risultava legittimata dalla pluralità di imputazioni e che la declaratoria di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, pronunciata dalla Corte territoriale per i reati relativi alle armi, precludeva il riconoscimento del diritto alla riparazione, essendo questo configurabile soltanto in caso di proscioglimento nel merito, secondo la previsione del primo comma dell?articolo 314 del codice di rito.

Avverso l?ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore del P., deducendo, con riferimento al mancato riconoscimento del diritto all?equa riparazione per il periodo di custodia cautelare subita dal 23.1.1996 al 26.1.1988, violazione dell?articolo 606, comma 1, lett.c) ed e) Cpp, in relazione all?articolo 314 dello stesso codice e agli articolo 157 e ss. Cp, sull?assunto che il provvedimento gravato era stato emesso seguendo erroneamente la tesi favorevole ad escludere la possibilità di distinguere tra ì diversi titoli detentivi allorché la custodia cautelare – sia stata applicata per una pluralità dì imputazioni e una di esse sia stata definita con sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione. Il ricorrente argomentava che nel caso di specie la dichiarazione di estinzione per prescrizione del delitto inerente alle armi era intervenuta in grado di appello dopo che l?imputato era stato condannato alla pena di dieci mesi di reclusione: di talchè, poiché la sentenza di condanna non era stata impugnata dal pubblico ministero, per effetto del divieto di reformatio in pejus la pena riferibile al delitto inerente alle armi non avrebbe mai potuto superare la soglia dei dieci mesi di reclusione, onde il residuo periodo dì custodia cautelare avrebbe dovuto imputarsi al delitto per il quale il P. aveva riportato pronunzia definitiva di assoluzione già in primo grado.

Con memoria depositata il 14.11.2005, il ricorrente produceva copia di due sentenze di questa Corte con le quali, in situazioni identiche a quella dedotta nel presente procedimento, era stato riconosciuto il diritto alla riparazione per l?ingiusta detenzione a favore di persone che erano state coimputate nel medesimo processo svoltosi nei confronti del P..

La quarta Sezione penale di questa Corte, cui il ricorso era stato assegnato, con ordinanza n. 1920 resa nella camera di consiglio del 14.11.2005, rimetteva il ricorso alle Sezioni Unite al fine di evitare contrasti di giurisprudenza e di definire i limiti dell?istituto previsto dall?articolo 314 del codice di rito, anche alla luce delle decisioni della Corte costituzionale e della Corte europea dei diritti dell?uomo.

Il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite fissando l?udienza del 30 maggio 2006 per la trattazione a norma dell?articolo 611 Cpp.

Con requisitoria scritta del 17 marzo 2006, il Pg presso questa Corte chiedeva l?accoglimento del ricorso, osservando che la pronuncia di annullamento con rinvio dell?ordinanza impugnata era giustificata dall?interpretazione adeguatrice della normativa di cui all?articolo 314 del codice di rito alla luce delle precise indicazioni ricavabili dai numerosi interventi della Corte costituzionale.

Considerato in diritto

1. In relazione al contenuto della decisione impugnata e ai limiti segnati dal ricorso per cassazione, che circoscrivono la questione devoluta alla cognizione di questa Corte, occorre preliminarmente chiarire che la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione deve essere esaminata limitatamente al periodo di. custodia in carcere dì due anni, subita dal P. dal 23.1.1986 al 22.1.1988, data, quest?ultima, coincidente con la scadenza dei termini massimi della misura cautelare relativamente ai delitti di associazione di stampo mafioso e di detenzione illegali di armi. Va precisato, inoltre, che, a distanza di oltre undici anni, con sentenza del 17 giugno 1999 del tribunale di Locri il P. è stato assolto dal reato associativo ed è stato, invece, condannato alla pena di dieci mesi di reclusione per i reati relativi alle armi: infine, con sentenza del 7 maggio 2001, la Corte di appello di Reggio Calabria ha riformato la condanna dichiarando non doversi procedere per questi ultimi reati perché estinti per intervenuta prescrizione.

Alla stregua di siffatti incontestati dati processuali e tenuto conto che per tutte le imputazioni coincidono i limiti massimi della custodia in carcere stabiliti dall?articolo 303 Cpp, il tema di indagine e di decisione sul quale le Sezioni Unite sono state chiamate a pronunciare consiste nello stabilire se sia o non configurabile il diritto alla riparazione nel caso in cui l?imputato, sottoposto a detenzione per più titoli cautelari di pari durata massima, venga assolto da un reato con una delle formule indicate nel primo comma dell?articolo 314 Cpp e venga, invece, prosciolto dall?altro reato perché estinto per prescrizione.

2. Riguardo all?ipotesi di processo con più imputazioni definite con esito diverso, sin dall?entrata in vigore del codice di rito la giurisprudenza di legittimità è schierata su posizioni contenute nei commi 1 e 4 dell?articolo 314, individuano il presupposto genetico del diritto all?attribuzione di una somma di danaro a titolo di equa riparazione nel fatto che l?interessato sia stato prosciolto con una formula liberatoria di merito in relazione all?addebito o agli addebiti formulati con il provvedimento di cautela: con la conseguenza che, quando il provvedimento coercitivo si fondi su piú contestazioni, il proscioglimento con formula non di merito anche da una sola tra queste, sempreché autonomamente idonea a legittimare, la compressione della libertà personale, impedisce. il sorgere di detto diritto, irrilevante risultando il pieno proscioglimento dalle altre imputazioni (Cassazione, Sezione quarta, 17 dicembre 1992, Ronco, rv. 193229). Lungo le stesse. coordinate all?ipotesi di interpretative e sempre in riferimento all?ipotesi di processo cumulativo, non solo è stato chiarito che, per escludere il diritto all?indennità, basta la condanna per una delle imputazioni astrattamente idonea, autonomamente., a legittimare la compressione della libertà personale (Cassazione, Sezione quarta, 7 ottobre 2003, Campanelli, rv. 226730), ma è stato anche stabilito che, qualora la custodia cautelare risulti disposta per una pluralità di contestazioni in ordine alle quali tutte sia intervenuto il proscioglimento, correttamente viene esclusa la sussistenza del diritto alla riparazione se, anche per uno soltanto degli addebiti, la formula della sentenza assolutoria non riguarda il merito dell?imputazione e non ricorre il caso di indebito mantenimento della custodia stessa (Cassazione, Sezione quarta, 13 dicembre 2002, Iuliani, rv 226152; 9 febbraio 1996, Zaccaria, rv. 204426; 1824/94, Piovani).

Simile orientamento non è contraddetto da quelle decisioni con le quali – in relazione ad una pluralità di imputazioni di diversa gravità con termini di custodia cautelare di differente durata – è stato precisato che, ai fini dell?equa riparazione, il proscioglimento da un addebito meno grave, ma pur idoneo a legittimare il titolo di custodia cautelare, con formula non di merito e, comunque, diversa da una di quelle evocate dall?articolo 314, 1 comma, Cpp (quale l?estinzione del reato per amnistia), comporta la detrazione dalla durata complessiva della detenzione cautelare del tempo, nel massimo consentito dalla legge, riferibile al meno grave addebito, sicché il diritto all?indennizzo resta limitato al periodo residuo (Cassazione, Sezione quarta, 17 dicembre. 1992, Malentacchi, rv. 194081, 17 dicembre. 1992, Calia, rv. 1940,93; 17 dicembre 1992 Truppi, rv. 193231).

Queste ultime sentenze non si discostano, a ben vedere, dalle linee interpretative seguite dall?indirizzo affermatosi in tema di processo cumulativo, dato che la differente gravità delle imputazioni si riflette sulla diversa ampiezza dei limiti di durata previsti per i distinti titoli cautelari, sicchè l?assenza della condizione del proscioglimento nel merito preclude la liquidazione del ristoro indennitario per l?intero periodo corrispondente alla durata massima della custodia stabilita per il titolo meno grave, restringendo al residuo periodo la riparazione dipendente dal proscioglimento nel merito per I?imputazione più grave.

3. Risultano, invece, divergenti dall?impianto e dallo sviluppo argomentativo dell?indirizzo sin qui illustrato due recenti decisioni pronunciate dalla quarta Sezione Penale, la cui peculiarità è costituita dal fatto che è stata riconosciuta la riparazione a favore di coimputati nello stesso processo del P., i quali, al pari di quest?ultimo, erano stati assolti dal reato associativo e – dopo essere stati condannati nel giudizio di primo grado per i reati relativi alle armi – erano stati prosciolti anche da tale. Imputazione per intervenuta prescrizione.

Con la prima decisione, dopo avere preliminarmente riconosciuto la correttezza del principio per cui il proscioglimento con formula non di merito anche da uno solo degli addebiti contestati, autonomamente idoneo a legittimare la custodia, impedisce il sorgere del diritto alla riparazione, la Quarta Sezione ha annullato la decisione di rigetto della domanda di riparazione sul rilievo che il periodo di custodia cautelare riferibile, ai reati concernenti le armi non poteva in nessun caso superare il limite di dieci mesi corrispondente all?entità della reclusione inflitta con la condanna pronunciata nel giudizio di primo grado: di talchè, poiché contro tale decisione il Pm non aveva proposto appello, al reato successivamente dichiarato prescritto era attribuibile un periodo di detenzione cautelare non superiore a dieci mesi e la maggiore durata della custodia in carcere doveva essere riferita all?imputazione per la quale era intervenuta assoluzione nel merito (sentenza 1451/05, Cinanni).

Nella seconda pronunzia la soluzione favorevole alla configurabilità del diritto alla riparazione rappresenta la conclusione di un itinerario motivazionale nel quale risulta precisato che «qualora risulti per il particolare svolgersi del processo, che il periodo, il tempo, delle limitazioni della libertà non coincide per tutti i titoli reati, nel senso che possono distinguersi, con estrema precisione, il periodo di limitazione della libertà sofferta per il titolo-reato per il quale si è avuto il proscioglimento per prescrizione e il periodo di limitazione della libertà – oltre e, nel caso di specie, ben oltre, quella soglia – sofferta soltanto per il titolo-reato per il quale v?è stato il proscioglimento nel merito, non v?è nessuna ragione per negare l?equa riparazione per questo secondo periodo di limitazione della libertà» (sentenza cc 1467/05, Femia).

Il baricentro dell?iter argomentativo delle due sentenze è, dunque, identificabile nell?opinione che al titolo cautelare venuto meno a seguito del proscioglimento per prescrizione non può essere riferito un periodo corrispondente alla durata massima prevista dalla legge processuale, ma esclusivamente il periodo di detenzione cautelare pari all?entità della pena che sarebbe stata inflitta in caso di condanna.

4. – Le Sezioni Unite ritengono che le due decisioni sopra riportate non possano essere condivise, per la ragione che, pur essendo evidente la presenza, nelle rispettive motivazioni, di esigenze. di giustizia sostanziale e dell?intento di limitare l?operatività della riparazione alla peculiarità del caso di specie senza porre in discussione i principi generali recepiti dall?elaborazione giurisprudenziale, esse conducono a risultati assimmetrici rispetto all?ambito dell?istituto configurato dall?articolo 314 Cpp, con conseguenze che finiscono per esorbitare dalla effettiva sfera precettiva delle previsioni normative del codice di rito.

Il disegno tracciato dal legislatore delegato, in attuazione della disposizione di cui all?articolo 2 n. 100 della legge di delega, risulta ben definito nei suoi reali termini.

I primi tre commi dell?articolo 314 indicano le condizioni e i presupposti che integrano il fatto costitutivo del diritto all?equa riparazione, la cui nascita è collegata ad una pronuncia assolutoria nel merito, sempre che non sussista una situazione dì dolo o di colpa grave (comma 1), o all?accertamento, con decisione irrevocabile, della mancanza delle condizioni previste dagli articoli 273 e 280 per l?applicazione della custodia in carcere (comma 2), ovvero – alle medesime condizioni di cui ai commi 1 e 2 – alla pronuncia di un provvedimento di archiviazione o di una sentenza di non luogo a procedere (comma 3). Il quarto comma stabilisce, poi, che il diritto alla riparazione è escluso per quella parte della custodia cautelare che sia computata ai fini della determinazione della misura di una pena, secondo la regola della fungibilità ex articolo 657 Cpp, ovvero per il periodo in cui le limitazioni conseguenti all?applicazione della custodia siano state sofferte anche in forza di altro titolo.

In riferimento alla previsione della seconda parte del quarto comma, il diritto vivente, nell?ipotesi di concorrenza di una pluralità di titoli cautelari, ammette il diritto alla riparazione alla tassativa condizione che tutte le imputazioni siano state definito con un proscioglimento nel mento o che sia stata accertata l?illegalità della custodia cautelare a norma del secondo comma dell?articolo 314, qualora per ciascuno di detti titoli l?articolo 303 Cpp preveda pari durata massima. E la ragione giustificativa della disciplina risulta del tutto comprensibile quando si considera che, in una siffatta situazione, il periodo di detenzione cautelare è unico ed inscindibilmente imputabile ad ognuno e a tutti i titoli custodiali (Cassazione, Sezione quarta, 9 maggio 2000, Comisso, rv. 217721), di guisa che, se questi hanno un identico limite massimo di durata, è sufficiente la mancanza di proscioglimento nel merito per uno solo di essi perché l?intera detenzione cautelare debba essere ad esso riferita, indipendentemente dalla misura della pena che sarebbe stata in concreto inflitta se fosse intervenuta una pronuncia di condanna.

Inoltre, va sottolineato che la portata della disposizione di cui al quarto comma dell?articolo 314 può essere compiutamente definita soltanto coordinandola con quella contenuta nel primo comma, in quanto da quest?ultima traspare inequivocamente l?intenzione del legislatore di escludere, integralmente la riparazione per ingiusta detenzione in tutti i casi di proscioglimento non di merito e, a maggior ragione, di condanna, prescindendo totalmente dall?effettiva misura della pena applicabile o in concreto applicata, quand?anche questa risulti largamente inferiore al periodo di custodia cautelare effettivamente subita. Ritenere il contrario -come hanno fatto le citate sentenze Cinanni e Femia – significa, in buona sostanza, riconoscere che il diritto all?indennizzo deve essere determinato non in riferimento alla durata massima della misura custodiale, ma all?entità della pena che sarebbe stata inflitta in caso di condanna, aprendo, così, un varco che dilata a dismisura l?area della riparabilità e la estende oltre i precisi termini tassativamente fissati dalla normativa vigente.

La conclusione è avvalorata dalle implicazioni insite nel ?dictum? delle predette due decisioni dal quale deriva che il diritto alla riparazione è configurabile non solo in caso di proscioglimento non di merito per uno dei reati contestati, ma anche nell?ipotesi di condanna, giacchè il periodo di privazione della libertà eccedente la misura della pena in concreto inflitta dovrebbe in ogni caso imputarsi al concorrente reato per il quale è stata pronunciata l?assoluzione nel merito.

5. – La dirompenza delle implicazioni delle sentenze Cinanni e Femia è stata chiaramente avvertita dall?ordinanza di rimessione nella quale è stato rilevato che «l?avere l?imputato scontato una custodia cautelare di durata maggiore alla pena inflitta, se pure possa considerarsi oggettivamente ingiusto, non vale – nel presente quadro normativo e allo stato della giurisprudenza – a ritenere ?ingiusta?, ai sensi e per gli effetti di cui all?articolo 314 Cpp, la detenzione cautelare eccedente il limite della pena». Tuttavia, nello stesso provvedimento è stato osservato che alle due citate decisioni «sottostanno valide ragioni sostanziali che consistono nel non ritenere conforme ad equità l?impossibilità di riparazione per ingiusta detenzione in presenza di una custodia cautelare ampiamente superiore a quella della pena che viene poi stabilita dal giudice». Nella prospettiva dischiusa da tale enunciazione, sono stati indicati molteplici profili che potrebbero far dubitare della compatibilità con i principi sanciti dalla Carta costituzionale delle scelte compiute dal legislatore attraverso la normativa racchiusa nell?articolo 314, comma 1 e 4, nella parte in cui esclude il diritto alla riparazione per la custodia cautelare che risulti superiore alla misura della pena inflitta, precludendo di riflesso – nell?ipotesi di più titoli cautelari con pari limiti di durata massima – la liquidazione dell?indennità in ordine all?imputazione per la quale è intervenuta assoluzione nel merito, anche se l?effettivo periodo di custodia cautelare risulti superiore. alla misura della pena inflitta (o che sarebbe stata inflitta) per l?altra imputazione se il reato non fosse stato dichiarato prescritto.

L?indagine relativa alla questione di legittimità costituzionale così prospettata deve essere preceduta dalla verifica della praticabilità di un?interpretazione adeguatrice della predetta disciplina che consenta di ricostruirne la portata in sintonia con i principi della Costituzione, in modo da attribuire alla normativa, tra i plurimi significati astrattamente possibili, quello che non sia in contrasto con i valori costituzionali. L?operazione ermeneutica di adeguamento è stata sollecitata anche dal Pg presso questa Corte per sorreggere la richiesta di annullamento con rinvio dell?ordinanza impugnata.

Il Giudice delle leggi ha più volte precisato che ?in linea di principio, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darne), ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali? (sentenza 356/66), specificando che i giudici non possono abdicare all?interpretazione adeguatrice (ordinanza 451/94) e che, nell?adempimento del compito di interpretare le norme di cui devono fare applicazione, ?di fronte a più possibili interpretazioni di un sistema normativo, essi sono tenuti a scegliere quella che risulti conforme a Costituzione? (ordinanza 121/94).

Le Sezioni Unite hanno chiarito, tuttavia, che l?interpretazione adeguatrice, pur corrispondendo ad un preciso ed includibile dovere del giudice, ha effettive possibilità di esplicazione soltanto quando una disposizione abbia carattere ?polisenso? e da essa sia enucleabile, senza manipolarne il contenuto, una norma compatibile con la Costituzione attraverso l?impiego dei canoni ermeneutici prescritti dagli articoli 12 e 14 delle disposizioni sulla legge in generale: di talchè, nell?impossibilità di conformare il significato della norma in termini non incostituzionali, il giudice non può disapplicarla, ma deve rimettere la questione di legittimità costituzionale al vaglio della Corte costituzionale (Cassazione, Sezioni Unite, 31 marzo 2004, Pezzella, rv. 227523).

Nel caso sottoposto all?esame delle Sezioni Unite va riconosciuta l?impossibilità di impiegare il metodo dell?interpretazione secundum constitutionem, per la ragione che gli strumenti ermeneutici dei quali è munito il giudice non consentono di superare il limite rappresentato dall?univoco senso letterale delle disposizioni del primo e del quarto comma dell?articolo 314, dal cui coordinamento risulta inequivocamente che, nell?ipotesi di pluralità di titoli cautelari, resta senz?altro preclusa la configurabilità del diritto alla riparazione attraverso l?attribuzione della durata della custodia cautelare, per la parte eccedente l?entità della pena in concreto inflitta, all?imputazione per la quale è stato pronunciato il proscioglimento con una delle formule indicate nel primo comma dello stesso articolo 314.

Con l?argomento di ordine letterale risultano convergenti le ragioni logiche che sorreggono la specifica strutturazione della normativa, chiaro essendo che l?esclusione della riparazione ?per il periodo in cui le limitazioni conseguenti all?applicazione della custodia siano state sofferte anche in forza di altro titolo?(comma 4) costituisce una diretta conseguenza delle scelte di politica legislativa compiute con la disciplina posta dal primo comma, che postula il proscioglimento nel merito per tutte le imputazioni e preclude l?indennizzabilità delle differenze tra la durata della custodia cautelare e la minore misura della pena inflitta.

Al riguardo mette conto sottolineare che non sembra pertinente il riferimento al criterio più volte applicato dalla Corte costituzionale secondo cui il diritto alla riparazione sì ricollega alla presenza di una oggettiva lesione della libertà personale, comunque ingiusta alla stregua di una valutazione ?ex post? (cfr. sentenza 231/04, 284/03, 109/99), atteso che in tutte le decisioni simile giudizio è costantemente riferito al carattere dell?ingiustizia derivante dall?esito assolutorio dei processo e non alla durata della detenzione cautelate che abbia superato l?entità della pena.

6. – Sul tema dell?equa riparazione riferita alla detenzione cautelare relativa a più imputazioni questa Corte ha già ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell?articolo 314, 4 comma, Cpp che esclude il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione sofferta per più titoli almeno -uno dei quali non ingiustamente applicato, rilevando che la tutela prevista dall?articolo 24, ultimo comma, Costituzione per la riparazione degli errori giudiziari, pur estensibile alla ingiusta detenzione, non è assoluta, ma soggetta a limiti domandati al legislatore ordinario secondo criteri di ragionevolezza, rispettati dalla anzidetta disciplina: con la precisazione che né l?articolo 5, 5 comma, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell?uomo e delle libertà fondamentali né l?articolo 9, 5 comma, del patto internazionale per i diritti civili e politici si riferiscono alla ipotesi della riparazione per la carcerazione legittimamente subita da chi sia stato successivamente assolto (Cassazione, Sezione quarta, 24 ottobre 2000, Merati, rv. 217910).

Il riesame della questione – nell?ottica, particolare della maggiore durata della custodia in carcere rispetto all?entità della pena applicata (o applicabile, come nel caso di specie) per una delle imputazioni – permette di formulare seri e argomentati dubbi sulla compatibilità con le norme costituzionali della disciplina risultante dal combinato disposto del primo e del quarto comma dell?articolo 314.

Un primo profilo di possibile incostituzionalità va individuato nella violazione degli articoli 76 e 77 della Costituzione in relazione alla non fedele attuazione della direttiva contenuta nell?articolo 2, comma 1, n. 100 della legge di delega 81/1987.

La Corte costituzionale ha più volte precisato che la delega legislativa enuncia la direttiva della riparazione dell?ingiusta detenzione senza alcuna distinzione o limitazione circa il titolo della detenzione stessa o le ragioni dell?ingiustizia (sentenza 413/04, 231/04, 310/96). L?ampiezza del principio dettato al legislatore delegato non trova riscontro, però, nella disciplina dei presupposti e delle condizioni previsti dal codice di rito per la nascita del diritto all?indennità per ingiusta detenzione, risultando questo regolato in ambiti notevolmente limitativi e dovendo, in particolare, riconoscersi l?esistenza di un grave deficit di tutela nelle disposizioni dei commi 1 e 4 dell?articolo 314, che indiscriminatamente escludono la riparazione nell?ipotesi in cui la pena effettivamente inflitta per uno di essi risulti inferiore alla durata della detenzione cautelare subita, pur apparendo quest?ultima, per una parte, ?ex post? oggettivamente ingiusta.

Nella stessa prospettiva dell?articolo 2, comma 1, della legge delega, va rilevato che la disciplina contenuta all?articolo 314 ha disatteso la direttiva che impone dì ?adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall?Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale?: e, poiché tra le fonti convenzionali internazionali spiccano l?articolo 5, paragrafo 5, della Convenzione europea e l?articolo 9, paragrafo 5, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, che prevedono il diritto ad un indennizzo in caso di detenzione illegale senza alcuna limitazione (Corte costituzionale, 413/04 cit. e 231/04 cit), deve riconoscersi che la disciplina del codice di procedura penale si discosta dall?enunciato principio direttivo nella parte in cui nega la riparazione del pregiudizio derivato dalla privazione della libertà personale per un periodo superiore alla misura della pena inflitta.

Nella medesima ottica dischiusa dalle norme convenzionali internazionali, nell?ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite è stato argomentatamente sollevato il quesito se possa ritenersi in linea con le previsioni della Convenzione europea la situazione, cui in sostanza è riconducibile il caso dei P., di un soggetto che si trova a subire una detenzione preventiva di lunga durata, superiore alla stessa pena poi stabilita nel suoi confronti, in quanto giudicato a notevole distanza dal fatto commesso. Al riguardo mette conto segnalare che l?articolo 5 comma 3 della Convenzione attribuisce ad ogni persona arrestata o detenuta «il diritto di essere giudicata in tempo congruo», sicchè la questione della legittima durata della detenzione cautelare è strettamente connessa a quella dei ragionevoli tempi di definizione del processo (cfr. Corte europea diritti uomo, 17 maggio 2005, Sardinas Albo c. Italia; 9 giugno 2005, Picaro c. Italia).

7. – La questione di legittimità costituzionale dell?articolo 314 risulta non manifestamente infondata anche quando venga esaminata assumendo quali parametri di riferimento gli articoli 2, 3 e 24, comma 4, della Carta costituzionale.

Dottrina e giurisprudenza concordano nel riconoscere che dallo stretto collegamento dell?articolo 24, comma 2, con gli articoli 2 e 13 della Costituzione traspare che l?ordinamento ha recepito come valori primari ed essenziali la tutela del principio di solidarietà e della libertà personale, alla cui stregua nella nozione di errore giudiziario devono ricomprendersi tutte le ipotesi di custodia cautelare che, essendo risultate ?ex post? obiettivamente ingiuste, rivelano l?erroneità della misura restrittiva adottata in quanto lesiva del bene della libertà personale. Di talchè non possono non esprimersi seri e motivati dubbi circa la rispondenza ai valori tutelati dalla Carta costituzionale della disciplina posta dall?articolo 314, che subordina il diritto alla riparazione alla condizione del proscioglimento nel merito, escludendolo, invece, qualora il sacrificio della libertà personale abbia avuto una durata che supera la misura della pena inflitta: e le perplessità appaiono ancora più giustificate in riferimento a quelle situazioni nelle quali – come nel caso di specie – il divario, in eccesso, della detenzione cautelare rispetto all?entità della pena dipende dai tempi non ragionevoli impiegati per la definizione del processo.

Nel quadro dei valori costituzionali e, soprattutto, del fondamento squisitamente solidaristico dell?istituto (Corte costituzionale, 446/97), le limitazioni del diritto all?indennizzo poste dall?articolo 314 appaiono, quindi, in contrasto anche con il principio di ragionevolezza di cui all?articolo 3 Costituzione, che, segnando i confini all?interno dei quali devono esplicarsi le scelte discrezionali del legislatore ordinario, rende censurabili dal Giudice delle leggi le norme viziate da non coerenza e da non adeguatezza rispetto all?obiettivo avuto di mira di assicurare un?equa riparazione a restrizioni della libertà personale obiettivamente ingiuste.

Alla stregua di tutte le argomentazioni sin qui svolte, deve conclusivamente dichiararsi rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli articoli 2, 3, 24 e 77 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell?articolo 314 Cpp, nella parte in cui non prevede il diritto alla riparazione per la durata della custodia cautelare che risulti superiore alla misura della pena inflitta.

A norma dell?articolo 23 della legge 87/1953, deve dichiararsi la sospensione del procedimento e deve disporsi l?immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Inoltre, la cancelleria provvederà alla notifica di copia della presente ordinanza alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri e alla comunicazione della stessa ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, a Sezioni Unite, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell?articolo 314 Cpp, in relazione agli articoli 2, 3, 24 e 77 della Costituzione, nella parte in cui non è previsto il diritto alla riparazione per la custodia cautelare che risulti superiore alla misura della pena inflitta. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di rito.

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