Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 13-02-2012, n. 2006 Assicurazioni sociali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale del lavoro di Parma accoglieva la domanda di G. D., volta ad ottenere l’indennità di disoccupazione con requisiti ridotti (di cui al D.L. n. 86 del 1988, art. 7, comma 3, convertito nella L. n. 160 del 1988), ritenendola compatibile con l’erogazione, per lo stesso anno (1998), dell’indennità con requisiti ordinari. L’INPS proponeva appello sostenendo che l’indennità era stata richiesta con riferimento al periodo di cosiddetta "carenza", seguito alle dimissioni volontarie del G. dal lavoro, onde ne andava esclusa la indennizzabilità, ai sensi del R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 76. L’impugnazione dell’Istituto previdenziale è stata rigettata dalla Corte d’appello di Bologna, con la sentenza qui impugnata, essenzialmente sul rilievo che l’indennità con requisiti ridotti non è alternativa ma concorre con quella a requisiti ordinari, come dimostrerebbe il convertito D.L. n. 86 del 1988, art. 7, comma 3, dal quale risulta che il trattamento (ordinario) di disoccupazione, lungi dall’incidere sul diritto alla indennità di disoccupazione con requisiti ridotti, concorre soltanto a delimitarne la misura.

Di questa sentenza l’INPS chiede la cassazione con ricorso fondato su un unico motivo, illustrato con successiva memoria.

L’intimato ha depositato la sola procura speciale al proprio difensore.

Motivi della decisione

1. Nell’unico motivo, corredato da idoneo quesito di diritto, l’INPS deduce violazione e falsa applicazione del R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 76, comma 3, e art. 73, comma 2, convcrtito, con modificazioni, nella L. n. 1155 del 1936, in riferimento al D.L. n. 86 del 1988, art. 7, comma 3 convertito nella L. n. 160 del 1988 (art. 360 c.p.c., n. 3), e contesta l’interpretazione delle norme indicate fornita dalla Corte di merito, assumendo che presupposto dell’attribuzione dell’indennità -sia essa acquisita con i requisiti ordinari, ovvero ridotti – è, comunque, la involontarietà della disoccupazione, requisito, quest’ultimo, per legge non configurabile nel c.d. periodo di carenza (8 giorni dalla cessazione dal lavoro, cui si aggiungono ulteriori 30 giorni, quando la cessazione del rapporto sia dovuta, come nel caso di specie, a dimissioni volontarie del lavoratore).

2. Il ricorso è fondato.

3. Premette la Corte che deve ritenersi pacifica in causa, non essendo stata contestata dall’odierno intimato, la circostanza, riferita dall’INPS nel ricorso per cassazione e peraltro, risultante dal ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e dalla memoria di costituzione in appello (atti correttamente trascritti, per la parte che interessa, nel ricorso per cassazione, in ossequio al principio di autosufficienza) – che la domanda del G. era volta ad ottenere l’indennità di disoccupazione con requisiti ridotti per il periodo dal 10 ottobre al 16 novembre 1998, ossia per il periodo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro a seguito delle sue dimissioni volontarie, avendo, poi, beneficiato, dal 17 novembre al 31 dicembre 1998, dell’indennità di disoccupazione con requisiti normali.

4. Chiariti, così, i termini della controversia, deve, altresì, precisarsi che, nella specie, tornano applicabili, ratione temporis, le disposizioni normative vigenti anteriormente all’entrata in vigore della L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 34, commi 5 e 6, norma, quest’ultima, che (comma 5) esclude le cessazioni del rapporto di lavoro per dimissioni volontarie intervenute con decorrenza successiva al 31 dicembre 1998 dalle ipotesi che danno titolo alla concessione dell’indennità di disoccupazione ordinaria, agricola e non agricola, sia essa acquisita con i requisiti normali di cui al R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, ovvero con i requisiti ridotti di cui al D.L. 21 marzo 1988, n. 86 e, al tempo stesso (comma 6), abroga l’art. 76, comma 3, del R.D.L. n. 1827 del 1935 nella parte come sopra modificata.

5. Orbene, secondo le ricordate disposizioni normative, l’indennità ordinaria di disoccupazione a requisiti normali "è corrisposta dall’ottavo giorno successivo a quello della cessazione dal lavoro" (R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 73, comma 1, convertito nella l. n. 1155 del 1936). Se poi la disoccupazione deriva da dimissioni "il periodo indennizzabile è ridotto di trenta giorni dalla data di cessazione dal lavoro, fermo restando il disposto dell’art. 73, penultimo comma" (art. 76, comma 3, stesso R.D.L.). Si tratta del c.d. periodo di "carenza", del periodo cioè in cui, convenzionalmente, la disoccupazione non si considera involontaria e, dunque, non è suscettibile di tutela previdenziale, giusta la previsione dell’art. 45, comma 3, del ripetuto R.D.L., a mente del quale "l’assicurazione per la disoccupazione involontaria ha per scopo l’assegnazione agli assicurati di indennità nei casi di disoccupazione involontaria per mancanza di lavoro". 6. In sostanza, le disposizioni di legge appena citate consentono l’accesso alla prestazione previdenziale all’avveramento del presupposto costituito dalle scadenze ivi indicate, conseguendone che queste scadenze segnano non la mera decorrenza del trattamento di disoccupazione, bensì l’insorgenza del diritto al trattamento medesimo, che è riconoscibile, quindi, solamente dall’ottavo giorno successivo alla data di cessazione dal lavoro, ovvero, nel caso di disoccupazione derivante da dimissioni volontarie del lavoratore (e nelle altre ipotesi prefigurate dall’art. 76), dal trentottesimo giorno (trenta giorni + otto giorni) successivo alla data in questione.

7. Si tratta, ora, di stabilire se queste stesse regole valgono per l’indennità di disoccupazione a requisiti ridotti disciplinata dal D.L. n. 86 del 1988, art. 7, comma 3 convertito nella L. n. 160 del 1988. 8. La sentenza impugnata ha dato una risposta negativa, ritenendo indennizzabile l’intero periodo di disoccupazione successivo alle dimissioni del lavoratore, ma, in realtà, la giurisprudenza di legittimità da essa citata come "regola" del caso concreto (Cass. n. 13049 del 2005) si limita ad affermare il principio che l’erogazione dell’indennità in questione è compatibile con l’erogazione, per lo stesso anno, dell’indennità di disoccupazione di cui al R.D.L. n. 1827 del 1935 e, quindi, compete anche per giornate ulteriori rispetto a quelle – al massimo 90 e 120 – previste per la prestazione a requisiti normali, senza, peraltro, nulla stabilire in ordine alla spettanza della tutela previdenziale nel periodo di "carenza" previsto dallo stesso R.D.L. n. 1827 del 1935, artt. 73 e 76. 9. Ad avviso di questa Corte l’art. 7, comma 3, citato – nella parte in cui stabilisce che hanno diritto all’indennità ordinaria di disoccupazione, per un numero di giornate pari a quelle lavorate nell’anno precedente, anche i lavoratori che, in assenza dell’anno di contribuzione nel biennio (ossia del "normale" requisito di contribuzione richiesto dal R.D.L. n. 1827 del 1935), abbiano prestato almeno settantotto giorni di attività lavorativa per la quale siano stati versati o siano dovuti contributi per l’assicurazione obbligatoria – mostra che la prestazione previdenziale da attribuire alle su esposte condizioni non è una indennità "speciale", soggetta, quindi, a una disciplina sua propria. Tanto si deduce dal tenore letterale della norma in esame, facendo essa esplicito riferimento all’indennità "ordinaria" di disoccupazione, nonchè dalla sua collocazione nello stesso articolo che disciplina la misura dell’indennità di disoccupazione prevista dal R.D.L. n. 1827 del 1935 e successive leggi di riordino, dimostrando così che il legislatore ha solo voluto estendere ai lavoratori precari quella stessa indennità, nella stessa misura giornaliera: la "riduzione" riguarda esclusivamente il requisito contributivo necessario per percepirla e, correlativamente, il numero di giornate "coperte" dalla tutela previdenziale.

10. Ma, una volta stabilito che l’indennità di disoccupazione di cui al D.L. n. 86 del 1988, art. 7 ha la stessa natura dell’indennità di disoccupazione disciplinata dal R.D.L. n. 1827 del 1935 e richiede, per la sua attribuzione, i medesimi requisiti (salvo, come già detto, il diverso requisito contributivo), non vi è ragione di ritenerla sottratta alle regole base vigenti per quest’ultima, ivi compresa, pertanto, quella della non indennizzabilità (per il previsto numero di giorni) di una parte del periodo di disoccupazione conseguente alla scelta del lavoratore di porre termine, attraverso le dimissioni, al proprio stato di occupato, così da doversi escludere, per i giorni in questione, il diritto alla sua percezione.

11. In conclusione, deve affermarsi il seguente principio di diritto:

"il D.L. n. 86 del 1988, art. 7, comma 3 (convertito nella L. n. 160 del 1988), nel l’estendere agli assicurati in possesso degli ivi previsti requisiti contributivi (ridotti rispetto a quelli normalmente richiesti per la sua attribuzione) il diritto all’indennità ordinaria di disoccupazione, non ha introdotto deroghe alla regola dettata dal R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 76, comma 3 (in combinato disposto con l’art. 73 dello stesso R.D.L.) – secondo cui non sono indennizzabili i giorni successivi alla cessazione dal lavoro derivante da dimissioni volontarie, così come complessivamente individuati (8 giorni + 30 giorni) dallo stesso art. 76; conseguendone, per i giorni in questione, l’esclusione del diritto dell’assicurato all’attribuzione di ogni prestazione di disoccupazione, si tratti di quella concessa ai sensi del R.D.L. n. 1827 del 1935 ovvero di quella spettante ai sensi del D.L. n. 86 del 1988, art. 7". 12. Alla stregua del suddetto principio, la sentenza impugnata – che, erroneamente, ha affermato il diritto del G. – dimessosi dal lavoro il 9 ottobre 1998 per sua libera scelta (non risulta che le dimissioni siano state indotte) – alla percezione dell’indennità con requisiti contributivi ridotti per il periodo di trentasette giorni (dal 10 ottobre al 16 novembre 1998) immediatamente successivo alla cessazione del rapporto di lavoro – deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa è decisa da questa Corte nel merito (art. 384 c.p.c., comma 2) nel senso del rigetto della domanda proposta dall’odierno intimato.

17. Nulla deve disporsi per le spese dell’intero processo, in applicazione dell’art. 152 disp att. c.p.c, nel testo anteriore alle modifiche apportatevi dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42 (convertito nella L. n. 326 del 2003), nella specie inapplicabile ratione temporis (il ricorso di primo grado risulta depositato in data 31 marzo 2000).

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di G.D.; nulla per le spese dell’intero processo.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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