Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 13-02-2012, n. 2000 Trasferimento di azienda

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 501/2005 il Giudice del lavoro del Tribunale di Grosseto dichiarava l’illegittimità del licenziamento intimato ad B.E.R. dalla Piovera s.r.l. (poi Piovera s.p.a.) e condannava la società al pagamento di Euro 4.500.00 a titolo di risarcimento del danno ed Euro 5.974,26 a titolo di differenze retributive e lavoro straordinario.

La Piovera proponeva appello avverso la detta sentenza lamentando l’errata valutazione dei fatti e la contraddittorietà della motivazione del primo giudice ed insistendo per l’ammissione delle ulteriori prove richieste, riguardanti la cessazione della gestione (per mancata conferma dell’affitto d’azienda) da parte di essa società dell’Hotel I Presidi di (OMISSIS), ove il B. aveva svolto attività di addetto al ricevimento, il conseguente invito al lavoratore a continuare la prestazione presso l’altro albergo Satellite gestito a (OMISSIS), la dichiarata impossibilità del medesimo di trasferirsi a (OMISSIS) e le conseguenti "valutate dimissioni" con cessazione del rapporto al 31-3-2000.

L’appellante contestava al Tribunale di avere ritenuto applicabile nella fattispecie l’art. 2112 c.c., anche se rilevava la correttezza del mancato accoglimento della domanda di reintegra per l’omessa chiamata in giudizio della società cessionaria dell’azienda alberghiera. Lamentava, inoltre, l’erroneità della condanna al risarcimento del danno in favore del lavoratore receduto nonchè l’eccessività della liquidazione equitativa di detto danno, in cinque mensilità, atteso che il B. aveva trovato altra occupazione dopo tre mesi.

La società, contestava, poi, che dalle risultanze istruttorie fosse emersa la maggiore qualificazione professionale e negava il conseguente diritto del B. all’inquadramento nel 3 livello del c.c.n.l. del settore turistico, negando altresì anche l’espletamento di lavoro straordinario, oltre le ore che erano state regolarmente retribuite in busta-paga, dolendosi, in ogni caso, della incomprensibilità della liquidazione di Euro 5.974.26 operata senza motivazione.

La Piovera lamentava, infine, il mancato accoglimento della domanda riconvenzionale spiegata in primo grado ed insisteva per il pagamento deirindennità di preavviso (pari ad Euro 662.30) e per la restituzione di quanto percepito dal B. (L. 3.660.000 pari ad Euro 1.890,23) per l’attività prestata dal febbraio 1998 alla formale assunzione del maggio successivo, contestando tale prestazione e sostenendo che qualcuno senza autorizzazione aveva prelevato dalle casse sociali la somma in oggetto.

Il B. si costituiva resistendo al gravame e, affermato il collegamento societario tra le diverse persone giuridiche succedutesi nella gestione dell’albergo, ribadiva la insussistenza di giusta causa o giustificato motivo nella risoluzione operata dalla Piovera, fondata sulla chiusura dell’albergo al 31-3-2000. In ogni caso denunciava l’illegittimità de licenziamento – qualora interpretato l’atto come reazione alla dichiarata impossibilità di trasferirsi a (OMISSIS) – per inosservanza della procedura sanzionatoria dell’art. 7 dello Statuto dei lavoratori, negando altresì l’esistenza delle sue dimissioni dal lavoro.

Il B. proponeva, quindi, appello incidentale, per ottenere l’applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18 con la sua reintegrazione nel posto di lavoro ed il pagamento di Euro 2.463,57 per il vantato inquadramento nel terzo livello e di Euro 2.032.80 per differenze riguardanti il periodo del rapporto non regolarizzato.

La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza depositata il 27-3-2009, in parziale accoglimento degli appelli ed in riforma della pronuncia di primo grado, condannava la Piovera s.p.a. a pagare al B. complessivi Euro 2.827,35 con rivalutazione e interessi, rigettava ogni altra domanda del lavoratore e condannava la società al pagamento di un quinto delle spese del doppio grado, compensando i residui 4/5.

In sintesi la Corte territoriale rilevava che, pur rientrando la fattispecie nella disciplina dell’art. 2112 c.c., tuttavia tale ricostruzione non consentiva l’affermazione di alcuno dei diritti vantati dal B. sul piano della continuità del rapporto di lavoro, attesa la irrimediabile carenza della vacatio in jus dell’effettiva nuova titolare della gestione dell’albergo, unico soggetto che – subentrato nell’impresa al datore di lavoro del B. – avrebbe avuto l’obbligo di garantire in concreto tale continuità. Neppure, poi, secondo la Corte, appariva in alcun modo plausibile la richiesta di reintegrazione presso l’hotel "I Presidi" attraverso l’affermazione della presunta esistenza di un collegamento di aziende in sostanza in un unico centro di interessi, in mancanza di "allegazioni e prove concrete di tale condizione di fatto".

Occorrendo, quindi, valutare in concreto la qualificazione giuridica della risoluzione intervenuta, la Corte di merito, escludeva che nella specie si fosse trattato di dimissioni, non essendo riconducibile la risoluzione stessa ad una chiara volontà del lavoratore (per la quale, peraltro, il ccnl richiedeva la forma scritta).

La Corte, inoltre, interpretata la lettera della società del 13 marzo 2000, non come trasferimento del lavoratore, bensì come preannuncio della chiusura dell’attività alberghiera in (OMISSIS) con contestuale prospettazione di un ricollocamento presso altra struttura alberghiera, affermava che l’atto successivo della Piovera (conseguente al rifiuto del B. di trasferirsi a (OMISSIS) "per gravi motivi di famiglia") costituiva licenziamento non già per mancanze del lavoratore bensì per giustificato motivo oggettivo, la cui legittimità risultava chiaramente dalle circostanze emerse (in ordine al repechage prospettato e rifiutato), di guisa che nessun risarcimento poteva essere riconosciuto al B., così accogliendosi sul punto l’appello della società.

La Corte di merito riteneva, poi, parimenti fondato il detto appello per quanto concerneva il lavoro straordinario, non essendo in sostanza emersa dalla prova testimoniale una effettiva prestazione di attività giornaliera superiore all’orario contrattuale di 6 h e 40 minuti, e confermava, invece, il rigetto delle domande riconvenzionali riguardanti la indennità di preavviso e la pretesa restituzione di quanto percepito dal lavoratore prima della assunzione formale, precisando in particolare che la somma di Euro 1890,23 era stata erroneamente calcolata come tuttora dovuta al lavoratore, nell’ambito di un totale di Euro 2.827,35. che invece andava ridotto alla somma inferiore di Euro 937,12 elaborata dal consulente contabile.

Infine, sull’appello incidentale del B., la Corte territoriale, dopo aver rilevato che la legittimità del licenziamento non lasciava spazio alla doglianza circa la mancata applicazione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, rigettava la domanda di inquadramento delle mansioni nel terzo livello e, nel contempo, riconosceva il diritto del lavoratore alle differenze retributive tra il quarto e il quinto livello, per il periodo anteriore all’aprile 1999 (allorquando il B. aveva ottenuto dalla società il passaggio al quarto livello).

Pertanto la Corte in motivazione affermava che, in base ai calcoli del c.t.u. al lavoratore spettava la minor somma complessiva di Euro 937,12 con rivalutazione e interessi, rispetto a quella definita dal Tribunale (Euro 10.474,26 oltre accessori), con conseguente condanna del B. a restituire alla società la differenza tra quanto versatogli in esecuzione della pronuncia di primo grado (Euro 16.656,65) e quanto scaturente dalla sentenza di appello.

Per la cassazione di tale sentenza il B. ha proposto ricorso con quattro motivi.

La Piovera s.p.a. ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale con due motivi.

Infine la società ha anche depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi avverso la stessa sentenza ex art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo del ricorso principale il B. denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, artt. 1 e 3 e dell’art. 2112 c.c. nonchè omessa o insufficiente motivazione con riferimento alle argomentazioni svolte dal l’appellato a sostegno della impugnativa di licenziamento per difetto di giustificato motivo o giusta causa.

Al riguardo il ricorrente deduce che "è pur vero che nella vicenda in esame viene a configurarsi anche un’ipotesi di trasferimento di ramo d’azienda, è altrettanto certo che detta ipotesi va a definire nient’altro che lo sfondo di una fattispecie la cui regolamentazione deve essere individuata, innanzitutto, nella disciplina generale in tema di licenziamenti individuali", per cui oggetto dell’accertamento in sede giudiziale, sulla domanda di declaratoria di illegittimità del licenziamento "perchè privo di giusta causa e/o giustificato motivo", con le pronunce consequenziali, non può che essere "l’effettività dello specifico motivo dedotto a fondamento del licenziamento" e la sussumibilità dello stesso nelle ipotesi riconosciute come legittime dal legislatore.

Il ricorrente principale rileva, quindi, che "pur nella irritualità delle lettere per mezzo delle quali la Piovera ebbe a formalizzare il licenziamento del B., appare indiscusso e indiscutibile che detto licenziamento venne (fraudolentemente) motivato con il fatto della "chiusura" dell’Hotel "I presidi" di (OMISSIS)", chiusura in effetti per nulla avvenuta "nè alla data del 31-3-2000 nè successivamente", come dedotto ritualmente dallo stesso B., che, "in tal senso ed entro tali limiti", ha introdotto il trasferimento di ramo d’azienda (fra "società sorelle"), "quale circostanza atta a dimostrare l’infondatezza del motivo di licenziamento pur addotto dalla Piovera".

Pertanto, secondo il B.. contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito (che erroneamente ha affermato che il licenziamento non era certo giustificato dal trasferimento d’azienda bensì dalla "pacifica" "chiusura della gestione dell’Hotel"), poichè il motivo di licenziamento dedotto dalla Pioverà ("..l’albergo "I Presidi" chiuderà il 31 marzo 2000… ") dissimulava in realtà un motivo palesemente illegittimo, ovvero il trasferimento di quel ramo di azienda presso cui era impiegato il lavoratore, il licenziamento stesso doveva essere dichiarato illegittimo per violazione dell’art. 2112 c.c., comma 4, con le pronunce consequenziali.

Con il secondo motivo il ricorrente principale lamenta che la impugnata sentenza non ha svolto "alcuna adeguata argomentazione" in merito all’ipotesi di qualificazione del recesso alla stregua di un licenziamento disciplinare (per non aver il lavoratore dato seguito all’ordine di trasferimento), come prospettato "in ogni caso", "in subordine", nella memoria di costituzione in appello, "peraltro in coerenza con l’interpretazione fornita dalla stessa parte datoriale", appellante principale.

Con il terzo motivo, denunciando ulteriore vizio di motivazione, il B. in sostanza deduce la inconciliabilità della "ipotesi di una cessazione di attività del ramo aziendale con l’intervenuto accertamento del trasferimento di quello stesso ramo aziendale" nonchè la insufficienza e illogicità della motivazione circa l’interpretazione della comunicazione del 13-3-2000, come offerta di una "ragionevole prospettiva di repechage".

Il primo e il terzo motivo, strettamente connessi, risultano in parte fondati, come di seguito, restando così assorbito il secondo motivo (riguardante una prospettazione subordinata).

Premesso che, in base alla giurisprudenza consolidata di legittimità. L’art. 2112 c.c., che regola la sorte dei rapporti di lavoro in caso di trasferimento di azienda, trova applicazione – ove rimanga immutata l’organizzazione dei beni aziendali, con lo svolgimento della medesima attività – in tutte le ipotesi in cui il cedente sostituisca a sè il cessionario senza soluzione di continuità, anche nel caso di restituzione all’originario cedente dell’azienda da parte del cessionario per cessazione del rapporto di affitto" (v. Cass. 21-5-2002 n. 7458, Cass. 4-9-2003 n. 12909, Cass. 26-7-2011 n. 16255, e per l’ipotesi di restituzione dei beni aziendali dall’affittuario al proprietario e cessione in affitto da questo ad altro imprenditore v. Cass. 6-3-1998 n. 2521), come è stato precisato da questa Corte e va qui ribadito, in tema di trasferimento di azienda, l’art. 2112 c.c., comma 4, (così come già la L. n. 428 del 1990, art. 47, comma 4 nel testo applicabile nella fattispecie ratione temporis) nel disporre che il trasferimento non può essere di per sè ragione giustificativa di licenziamento, aggiunge che il cedente conserva il potere di recesso attribuitogli dalla normativa generale ("ferma restando la facoltà di esercitare il recesso… "), con la conseguenza che "il trasferimento di azienda non può impedire il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, sempre che questo abbia fondamento nella struttura aziendale, e non nella connessione con il trasferimento o nella finalità di agevolarlo" (v. Cass. 11-6-2008 n. 15495, cfr. Cass. 9-9-1991 n. 9462).

Ne consegue la necessità della sussistenza nel concreto di un giustificato motivo "oggettivamente ulteriore" rispetto al mero trasferimento d’azienda.

Nella fattispecie la sentenza impugnata, dopo aver escluso nella fattispecie, la configurabilità delle dimissioni, pur premettendo che il trasferimento d’azienda non può costituire di per se motivo di licenziamento, ha rilevato che Piovera non ha certo giustificato il recesso per tale motivo bensì in ragione della chiusura della sua attività di gestione dell’Hotel i Presidi (dato assolutamente pacifico) ed ha ritenuto legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo che sarebbe consistito appunto nella cessazione di attività del ramo aziendale cui era stato fin ad allora adibito il B..

In tal modo la Corte di merito nella sostanza ha disatteso il principio sopra richiamato, fornendo altresì sulla sussistenza in concreto del giustificato motivo oggettivo una motivazione insufficiente e contraddittoria, da un lato per nulla evincendosi se e in cosa possa essere consistito un dato oggettivo "ulteriore" rispetto al mero trasferimento d’azienda, dall’altro confondendosi la cessazione della attività dell’azienda con la cessazione della gestione della stessa da parte della cedente.

In tale quadro per nulla chiaro la Corte territoriale ha altresì interpretato la prima comunicazione della società come offerta di eventuale repechage. rifiutata dal lavoratore, senza considerare in primo luogo la posizione del lavoratore nei confronti dell’imminente trasferimento d’azienda (per la retrocessione dell’azienda affittata).

In tali sensi vanno quindi accolti in parte il primo e il terzo motivo del ricorso principale, risultando assorbito il secondo.

Va invece respinto il quarto motivo dello stesso ricorso, con il quale il B., per quanto riguarda lo straordinario, denunciando violazione dell’art. 2697 c.c. e vizio di motivazione, in sostanza deduce che la Corte di merito erroneamente e con motivazione insufficiente ha ritenuto che le risultanze testimoniali non avrebbero dimostrato l’orario di lavoro allegato, avendo piuttosto e "soprattutto" fatto emergere che l’orario di otto ore al giorno era comunque comprensivo della pausa pranzo di un’ora, senza peraltro considerare che incombeva sul datore di lavoro la prova che determinate frazioni del tempo trascorso in azienda dai dipendenti non implicavano svolgimento di attività lavorativa.

Sul punto deve ribadirsi l’indirizzo consolidato in base al quale "la valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata" (v. Cass. 9-4- 2001 n. 5231, Cass. 15-4-2004 n. 7201, Cass. 7-8-2003 n. 11933, Cass. 5-10-2006 n. 21412). Del resto, come pure è stato più volte precisato."il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., n. 5, non equivale alla revisione del "ragionamento decisorio", ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità; ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Suprema Corte di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso la autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa", (v., fra le altre, da ultimo Cass. 7- 6-2005 n. 11789, Cass. 6-3-2006 n. 4766).

Nella fattispecie la Corte di merito ha rilevato che i testi escussi non hanno dimostrato l’orario di lavoro allegato dal B., in quanto in sostanza allo stesso (addetto al ricevimento secondo turnazioni periodiche). considerata la pausa pranzo di un’ora, al più potrebbe riconoscersi "qualche minuto ulteriore" oltre le sei ore e quaranta, ampiamente compensato "con l’attività giornaliera concretamente svolta in estate, pari in sostanza solo a sei ore circa", come emerso dalle dichiarazioni del teste M..

Tale motivazione risulta congrua e priva di vizi logici e resiste alla censura del ricorrente, che neppure censura specificamente l’ultima – assorbente -statuizione, mentre inconferente è il richiamo al principio affermato da Cass. 22-4-1992 n. 4824, in una controversia fra INPS e datore di lavoro in un caso di pacifica più lunga presenza dei lavoratori in azienda rispetto alla tabella oraria esposta.

Passando all’esame del ricorso incidentale della Piovera, con il primo motivo la società lamenta la mancata ammissione della prova testimoniale su tutte le capitolazioni dedotte in primo grado e reiterate in appello e la omessa pronuncia sul punto da parte della Corte d’Appello.

Il motivo risulta inammissibile sia perchè non vengono riportati i capitoli di prova non ammessi, sia perchè vengono denunciati contraddittoriamente in un unico motivo due diversi vizi di omessa pronuncia e di omessa motivazione (v. fra le altre Cass. 17-7-2007 n. 15882), sia perchè in sostanza per il primo manca il quesito di diritto e per il secondo manca il necessario momento di sintesi.

Con il secondo motivo (erroneamente indicato nell’atto con il numero 4) la società lamenta omessa o insufficiente motivazione in ordine all’avvenuto riconoscimento del diritto del lavoratore al pagamento delle differenze retributive tra il 4^ ed il 5^ livello prima del passaggio al 4^ determinato dalla azienda.

In sostanza la ricorrente deduce la mancala prova da parte del B. dello svolgimento nel 1998 di mansioni paritarie rispetto a quelle svolte nel 1999.

Il motivo è infondato in quanto la prova ha riguardato l’intero rapporto, senza che sia emersa alcuna differenza fra un primo e un secondo periodo ed altresì la sentenza impugnata ha evidenziato espressamente la assenza di "ogni allegazione circa una differenza di compiti nell’anno precedente la promozione al 4 livello".

Così accolto, come sopra, in parte il primo e il terzo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo e rigettato il quarto, e così respinto altresì il ricorso incidentale, la impugnata sentenza va cassata in relazione alle censure accolte con rinvio, anche per le spese, alla Corte di Appello di Firenze in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, accoglie in parte il primo e il terzo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo, rigetta il quarto; rigetta inoltre il ricorso incidentale; cassa la impugnata sentenza in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Firenze in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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