Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 13-02-2012, n. 1999 Retribuzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ricorso del 6.11.1996 S.A. conveniva avanti il Pretore di Fermo la Compagnia Aurora assicurazioni spa e chiedeva che venisse riconosciuta la continuità del rapporto agenziale con la detta Compagnia sin dal 15.2.1968, che gli fosse riconosciuta una differenza provvisionale di 600 milioni per differenze maturate dal 1.1.1972; esponeva che il precedente mandato di coagenzia intercorso tra la Compagnia, lui stesso e il sig. A. quali cogenti, si era trasformato in mandato agenziale individuale nel 1972 e si era convenuto che lo S. avrebbe proseguito di fatto il precedente rapporto, provvedendo a pagare le relative prestazioni, salvo poi rivalersi con la Compagnia, che però non aveva corrisposto le dovute differenze. Esponeva il ricorrente che nel 1987 gli erano state imposte aliquote provvigionali inferiori non accettate, che nel 1990 era stato fittiziamente interrotto e rinnovato il rapporto di agenzia con pagamento del trattamento di fine rapporto, che poi l’agente aveva dovuto illegittimamente restituire, ed – infine – che non erano stati corrisposti i previsti rimborsi per arredi e bollette.

Pendente tale giudizio la Aurora assicurazioni con separato ricorso chiedeva al Giudice del lavoro di Fermo l’accertamento della legittimità del recesso per giusta causa intimato dalla società allo S. il 9.6.1997 per avere svolto attività per conto di società concorrente e non aver comunicato che la figlia B. aveva svolto attività lavorativa di natura concorrenziale. Proponeva domanda riconvenzionale lo S. che allegava l’illegittimità della drastica riduzione del portafoglio subita su iniziativa unilaterale della società nel 90/91. Con autonomo ricorso lo S. chiedeva l’accertamento della nullità o dell’illegittimità del citato recesso. Le cause venivano riassunte avanti il Tribunale del lavoro di Ascoli Piceno che le riuniva. Il Tribunale con sentenza parziale del 1.6.2004 dichiarava legittimo il recesso per giusta causa intimato dalla Aurora nei confronti dello S.; rigettava tutte le domande dello S., eccetto quella relativa alla continuità del rapporto di lavoro ed al pagamento dell’indennità di fine rapporto. Con sentenza definitiva del 25.10.2005 l’Aurora s.p.a. veniva condannata al pagamento della somma di Euro 83.063,00 per indennità di fine rapporto e lo S. veniva condannato a restituire l’indennità di fine rapporto ricevuta nel 1990, salvo quanto già restituito, nonchè la somma indicata in sentenza già pagata dalla società a titolo di cauzione nel corso del processo.

Sull’appello dello S. e sull’appello incidentale della società Aurora la Corte di appello di Ancona con sentenza non definitiva del 13.6.2008, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiarava il diritto dello S. al pagamento delle differenze percentuali di incasso e di acquisto previste dal mandato di coagenzia del 15.2.1968 e quelle previste nel mandato di agenzia del 16.12.1971, secondo le previsioni di cui alla scrittura privata del 3.1.1973 limitatamente al periodo di due anni, oltre accessori e confermava il rigetto della domanda di differenze provvigionali dal 1.1.1998 in poi (rimettendo all’ulteriore corso per la quantificazione); in accoglimento dell’appello incidentale dichiarava che il rapporto non era stato continuativo dal 1968 al 1997, ma si era interrotto ex novo nel maggio del 1990. Pertanto spettavano allo S. le indennità di scioglimento del rapporto previste dall’Accordo nazionale agenti 1981, previste per il caso di recesso del proponente per giusta causa con esclusione dell’art. 12 ANA, oltre accessori dalla cessazione del rapporto al saldo, dichiarava che la somma erogata nel 1990 aveva natura di indennità di scioglimento e conseguentemente che lo S. era tenuto a restituire le rate di rivalsa sino all’Ottobre del 1996 (restituzione da completare sino al settembre del 1997, con accessori), confermava la sentenza impugnata nella parte di cui aveva ritenuto la legittimità del recesso per giusta causa e condannava lo S. a restituire la somma percepita a titolo di cauzione imposta dal Pretore di Fermo (prima che il detto Giudice si dichiarasse incompetente); confermava ancora la statuizione di rigetto della domanda di rimborso per spese per impianti e rimetteva alla prosecuzione del giudizio per la determinazione del quantum.

Provvedendo in ordine alla quantificazione del dovuto in ordine ai capi statuiti nella precedente sentenza ed in ordine alla residue domande, la Corte di appello di Ancona con sentenza definitiva del 20.3.2009 condannava la Aurora al pagamento della somma di Euro 60.177,29 per differenze provvigionali dovute in relazione all’accoglimento della domanda indicata al capo n. 1 della sentenza non definitiva, determinava l’indennità di scioglimento del rapporto in favore dello S. nella misura di Euro 31.443,20, con accessori in luogo della misura stabilita in prime cure; condannava lo S. al pagamento in favore di controparte della somma di Euro 11.745,09 a titolo di rivalsa; confermava la statuizione di rigetto della domanda di risarcimento danni per riduzione del portafoglio.

La Corte di appello di Ancona con la prima sentenza non definitiva in ordine alla domanda relativa alle richieste differenze provvigionali a seguito della stipula del mandato individuale nel 1971 osservava che il patto stipulato obbligava l’Aurora in quanto sottoscritto da un suo Ispettore; tale patto comportava il rimborso all’agente S. di un compenso specifico destinato al suo collaboratore occulto e cioè all’ A.; rilevava la Corte che, dalla prova espletata, era emerso che il patto nei fatti aveva avuto esecuzione limitatamente a due anni, ricostruzione operata in sentenza dell’accettazione (con riferimento ad un documento prodotto ed alla prova orale) da parte del ricorrente delle nuove provvigioni.

Con il terzo motivo si allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 1230, 1414 c.c., dell’art. 37 Ana e dell’art. 362 c.c. in ordine al carattere fittizio del frazionamento del rapporto alla data del 30.4.1990. Il rapporto era continuato e non era intervenuta alcuna variazione sostanziale.

Premesso che anche in questo caso il quesito non soddisfa i requisiti richiesti dalla giurisprudenza della Corte di cassazione in quanto non vi è alcun raccordo tra questione di diritto e fattispecie concreta, emerge dalla sentenza impugnata, con richiamo a specifici documenti di supporto della tesi, che fu lo stesso ricorrente a richiedere lo scioglimento del rapporto richiesta poi accettata da controparte, onde ottenere l’indennità di fine rapporto.

L’operazione ha favorito lo S.; le osservazioni svolte a pag. 17 del ricorso (punti n. 1 e 3) non sono corredate da precisi riferimenti a dati processuali, nè il ricorrente indica quando ed in che termini siano state fatte valere in appello. Posto che non è in discussione che lo S. abbia ricevuto come da lui richiesto l’indennità di fine rapporto al 30.4.1990 non emerge quale siano le norme che impediscano il frazionamento del rapporto, laddove – come ha accertato la Corte territoriale – l’iniziativa sia venuta dallo stesso lavoratore onde ottenere la detta anticipazione.

Il motivo pertanto, a ben guardare, muove censure di fatto miranti a riqualificare il fatto, inquadrato dalla Corte territoriale, come cessazione del rapporto a richiesta del lavoratore, e prospettato nel motivo come mera operazione di finanziamento, il che è inammissibile in questa sede.

Con il quarto motivo violazione si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. per tardività del recesso per giusta causa. Le (pretese) mancanze non erano state tempestivamente contestate.

Il motivo è infondato. Si deduce la tardività del recesso, ma il ricorrente non riporta i motivi sviluppati in appello sul punto e quindi i termini con cui si sarebbe sollevata la questione avanti il giudice di secondo grado. La Corte non è in grado di verificare se tale profilo sia stato tempestivamente ed idoneamente sottoposto al vaglio della Corte territoriale, posto che la stessa non menziona alcun motivo in tal senso nè si sofferma sulla pretesa tardività della contestazione e quindi del recesso nella parte motiva della decisione. In ogni caso il motivo è anche generico perchè il momento in relazione al quale è, per pacifica giurisprudenza di questa Corte, necessario riferirsi per valutare la eventuale tardività della contestazione e conseguentemente del recesso ex art. 2119 c.c. per tardività della contestazione è quello in cui il datore di lavoro ha avuto conoscenza dei fatti e sul punto non vi è alcun accenno nel motivo, nel quale si insiste, invece, sul dato meramente temporale della distanza tra la commissione dei fatti addebitati e la contestazione, come tale di scarso significato giuridico.

Con il quinto motivo si allega l’erronea e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c.: non era stata commessa alcun attività di concorrenza sleale ai danni del datore di lavoro: la liquidazione di sinistri non aveva nulla a che fare con l’esclusiva nella promozione dei contratti di cui godeva il ricorrente, non c’era alcun obbligo di comunicare che lavoro svolgesse la figlia a carico dello S..

La sentenza impugnata ricostruisce analiticamente a pag. 19-21 l’intreccio di interessi realizzatosi tra lo S. agente assicurativo esperto ed inserito nel mercato e la giovane figlia studentessa, con la collaborazione intrapresa da quest’ultima come subagente (e finanziata dal padre con alcuni conferimenti in denaro) con un Agente della compagnia di assicurazioni Company LTD, nella zona di San Benedetto. Lo S., ha accertato la Corte territoriale, svolse attività di liquidatore di sinistri per la sub- agenzia della figlia ed ottenne anche da questa una procura che gli consentiva di curare i rapporti con la Commerciai Union. Inoltre è emerso che la figlia sub-agente della detta società aveva la possibilità di consultare le polizze gestite dal padre (in particolare le disdette) per la Aurora, in quanto collocate nel medesimo ufficio e che l’Aurora è rimasta sempre all’oscuro di tale situazione. Pertanto le conclusioni raggiunte dalla Corte di appello per cui sarebbero effettivamente emersi a carico del ricorrente fatti idonei a favorire direttamente o indirettamente gli interessi di altra società assicuratrice appare esaurientemente motivata e comprovata dal riferimento a precisi elementi che nel motivo non vengono neppure specificamente contestati. E’ evidente, come già correttamente osservato nella sentenza impugnata del 13.6.2008, che non sussiste per un collaboratore di una Agenzia di assicurazioni l’obbligo di tenere informata la detta Agenzia delle vicissitudini lavorative dei figli, ma certamente tale obbligo sussiste se l’attività di costoro si svolge proprio nel settore ove opera il padre e con il coinvolgimento dello stesso, potendo interferire con il dovere di non concorrenza del collaboratore. Le censure tendono ad una riqualificazione del fatto, inammissibile in questa sede (cfr.

Cass. n. 9233/2006) e sono privi del necessario, concreto, riferimento ai motivi di appello eventualmente proposti sul punto.

Conclusivamente si deve anche osservare che la formalistica distinzione tra attività di promozione contratti e quella di liquidazione di sinistri non toglie che la società per cui collaborava la figlia (ed anche il padre nei modi prima ricordati), operasse nello stesso settore dell’Aurora (ed anche nella stessa dimensione regionale) e quindi certamente in situazione di potenziale concorrenza e che quest’ultima società sia rimasta all’oscuro della vicenda, nonostante i rapporti che venivano stretti, anche sul piano organizzativo, tra le attività svolte dal padre e dalla figlia, con la collocazione di alcune polizze gestite dal primo nell’ufficio della sub-agenzia della figlia.

Con il sesto motivo si allega la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 2119 c.c. Non vi era stata in alcun modo la commistione di interessi di cui si parla in sentenza. La concorrenza sleale non era stata dimostrata.

Il motivo è una reiterazione del precedente. Si allegano solo alcuni elementi di ordine meramente fattuale, senza però alcun riferimento a documenti o altri atti processuali e senza l’indicazione precisa su come tali elementi siano stati, eventualmente, fatti valere nei motivi di appello. La Corte non può giudicare della fondatezza di tali rilievi in quanto non è stato precisato come siano stati introdotti nel giudizio di primo grado, quale sia la fonte di tali affermazioni, e se siano stati idoneamente sottoposti al vaglio del giudice di appello. Il quesito di diritto è, poi, formulato sul piano meramente astratto senza alcuna correlazione con la fattispecie concreta. Per il resto si deve richiamare quanto affermato supra.

Con il settimo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1749 c.c., dell’art. 1375 c.c. e degli artt. 8 e 9 ANA in ordine alla illegittimità delle disdette o storno di circa 800 polizze del portafoglio ad opera della Direzione dell’Aurora. Si trattava di una riduzione di portafoglio vietato dall’art. 8 Ana e contraria al principio di correttezza e buona fede e che riguardava circa un terzo del portafoglio nella sua interezza.

Va preliminarmente osservato che gli articoli dell’ANA non sono stati riprodotti nel corpo del ricorso e che il detto Accordo non è stato prodotto in giudizio; la fonte contrattuale non è stata neppure descritta per grandi linee nel ricorso. La Corte territoriale nella sentenza definitiva e dopo l’espletamento di un’istruttoria ad hoc sul punto ha accertato che la politica di riduzione delle polizze era di carattere nazionale per le perdite della gestione complessiva della Compagnia e che a tutte le agenzie era stato inviato uno schema analogo a quella fatto pervenire al ricorrente per operare tale riduzione, cui si era riposto dall’agenzia di (OMISSIS) in modo assai carente. La Corte territoriale ha pertanto, sulla base della prova testimoniale e dei documenti acquisiti, accertato che non vi è stata alcuna violazione del dovere di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto di agenzia con lo S. e che, dal punto di vista sostanziale, la politica di disdette prima ricordate non ha provocato alcun pregiudizio al ricorrente che " ha proseguito la sua attività con un trend di crescita costante dei premi di competenza". La sentenza appare quindi esaurientemente motivata in modo logicamente coerente, con richiamo puntuale a quanto è emerso nell’istruttoria svoltasi in grado di appello; le censure tendono ad una riqualifazione del fatto, inammissibile in questa sede e fanno riferimento a fatti ed elementi, come le dichiarazioni rese da alcuni testi, il cui contenuto non è riportato nel ricorso, nè le deposizioni allegate allo stesso. La tesi per cui alcune polizze non potevano essere disdettate rimane priva di riscontri precisi con atti o documenti processuali (che non sono ricostruiti analiticamente in ricorso), nè gli stessi sono stati prodotti unitamente allo stesso, nè – infine – si evidenzia come sia stata proposta la questione in appello. Si invoca peraltro l’art. 8 ANA, comma 4 non allegato al ricorso, ne riprodotto testualmente nel suo corpo. Non appare peraltro neppure contestata la circostanza per cui l’attività dello S. sia proseguita seguendo lo stesso trend di sempre, sicchè la politica aziendale e le disdette di cui si è parlato non avrebbero arrecato alcun sostanziale pregiudizio al ricorrente.

Pertanto va rigettato il ricorso. Le spese del giudizio di legittimità a carico della parte ricorrente seguono la soccombenza e vanno liquidate come al dispositivo.

P.Q.M.

La Corte:

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del grado di legittimità che si liquidano in Euro 70,00 per esborsi, nonchè in Euro 3800,00 (tremilaottocento/00) per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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