Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 13-02-2012, n. 1995 Licenziamento disciplinare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 16.5.2007 la Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A. proponeva appello contro la sentenza del Tribunale di Pisa del 17 ottobre/11 dicembre 2006, che, con pronunzia parziale, aveva dichiarato la illegittimità del licenziamento intimato il 4/7/2003 al ricorrente, B.P., proprio dipendente, con condanna alla reintegrazione del B. nel posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno commisurato alla retribuzione globale di fatto dal licenziamento alla reintegra, detratto l’aliunde perceptum, ed oltre al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali, con rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla data del licenziamento.

In particolare, l’appellante censurava la sentenza impugnata che , a suo dire, aveva errato nel ritenere mancante il requisito della immediatezza del recesso aziendale ed aveva trascurato la obiettiva gravità delle condotte addebitate al lavoratore nella sua posizione di titolare di filiale.

Chiedeva quindi che, in riforma della sentenza impugnata, venisse respinta ogni domanda avanzata in primo grado da B.P..

Quest’ultimo si costituiva, chiedendo il rigetto del gravame, sul rilievo che il Tribunale di Pisa aveva correttamente ricostruito i termini della vicenda ed accertato la tardività del licenziamento intimatogli per giustificato motivo. Con sentenza del 13-27 giugno 2008, l’adita Corte d’appello di Firenze rigettava il gravame.

A fondamento della decisione osservava che il datore di lavoro, in violazione dei criteri di correttezza e buona fede, aveva procrastinato il licenziamento per finalità differenti da quelle disciplinari, allo scopo di consentire al B. di rendersi utile per il rientro o recupero della posizione del V. a cui favore il B. aveva autorizzato ed anche direttamente realizzato operazioni non conformi alle disposizioni aziendali.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A. con due motivi, depositando anche memoria ex art. 378 c.p.c. Resiste B.P. con controricorso.

Motivi della decisione

Va preliminarmente rilevato, in ordine alla eccezione di inammissibilità dei motivi di gravame dedotta dal B. con il controricorso, come i due motivi, strettamente connessi tra di loro, nei quali si articola il proposto ricorso, oltre a contenere specifiche censure alle argomentazioni poste a base del decisum della impugnata sentenza, si concludano con separati quesiti che consentono, in maniera sufficientemente chiara, di far comprendere l’errore di diritto in cui sarebbe incorso il Giudice di merito.

L’eccepita inammissibilità del ricorso non può, pertanto, essere condivisa. Va ancora in via preliminare osservato che la sentenza impugnata ha opportunamente esordito, nella parte motivazionale della decisione, evidenziando che era in atti la contestazione disciplinare del 7/4/2003, con la quale la Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A. addebitava a B.P., titolare della filiale capogruppo di San Miniato Basso, "di avere autorizzato e in parte direttamente realizzato a favore del sig. V.A., presso l’agenzia di (OMISSIS) operazioni non conformi alle vigenti disposizioni aziendali (in tema di rischio assegni e limiti di autonomia nella concessione di credito assegnati ai responsabili delle dipendenze ) nonchè in contrasto con le disposizioni impartite l’11.3.2003 dall’ufficio qualità del credito e a lei ribadite verbalmente (….)". Più in particolare, nella citata lettera 7.4.2003 – puntualizza il Giudice a quo -, si contestavano al B. una lunga serie di operazioni – tutte concentrate nel breve arco temporale 28.2.2003 al 20.3.2003 – nelle quali facevano spicco, fra l’altro, irregolari "operazioni di negoziazione per cassa" di assegni da 3.000.000,00 Euro o da 5.580.000,00 Euro o da 10.200.000,00 Euro o non consentite "operazioni di giro" di Euro 1.100.000,00.

In proposito – aggiunge detto Giudice la stessa società appellante, oltre a ricordare che i titolari di filiale avevano autonomia fino al limite di 75.000,00 Euro per la negoziazione per cassa di assegni bancari tratti su altre banche, deduceva che "le gravi inadempienze commesse da B. (integravano) ipotesi di reato".

Sulla base di tale situazione di fatto, la Corte territoriale, muovendo dal principio secondo il quale la differenza tra licenziamento per giusta causa e licenziamento per giustificato motivo soggettivo attiene alla gravità dell’inadempimento del lavoratore e non alla diversa consistenza temporale del requisito delL’immediatezza, il quale connota in misura analoga le due ipotesi di licenziamento disciplinare ha tenuto a rimarcare "la singolarità di un licenziamento intimato per "giustificato motivo sogqettivo", a fronte di addebiti disciplinari di gravità clamorosa, ritenuta tale dalla stessa Cassa, tant’è che la Cassa di Risparmio di San Miniato mantenne in servizio il B. per oltre due mesi ritenendo che egli potesse rendersi utile per il " rientro" o "recupero" della posizione V., ma poi (74 giorni dopo) lo licenziò esonerandolo inopinatamente dal preavviso.

Tale condotta datoriale – ad avviso del Giudice d’appello – sarebbe espressione della violazione dei criteri di correttezza e buona fede ex art. 2106 c.c., che si ripercuoterebbe in qualche modo sulla valutazione del rispetto o meno, in concreto, del requisito della "immediatezza", contemplato dalla L. n. 300 del 1970, art. 7.

Tanto chiarito, va osservato che con il primo motivo di ricorso la Cassa di Risparmio di San Miniato, denunciando violazione dell’art. 2697 c.c. e degli art. 414 e 416 c.p.c. in relazione all’art. 116 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti decisivi per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5), sostiene che la Corte d’Appello di Firenze sarebbe incorsa nella violazione delle norme sopra indicate e nei vizi di motivazione in quanto dall’esame del ragionamento dalla stessa svolto emergerebbe la totale omissione e/o obliterazione di elementi di fatto dedotti e non contrastati, che avrebbero potuto condurre ad una diversa decisione ove esaminati.

Più in dettaglio, la Corte fiorentina non si sarebbe sufficientemente calata nella realtà della vicenda che aveva visto coinvolto il B. e non avrebbe considerato la rilevanza economica connessa agli inadempimenti del dipendente licenziato;

rilevanza che metteva a rischio la sopravvivenza stessa dell’Istituto per la documentata ingente esposizione insorta nel marzo 2003 per circa Euro 18.000.000,00 e ridotta successivamente ad Euro 3.000.000,00. Inoltre – sempre secondo la ricorrente – si presenterebbe fuorviante il ragionamento seguito nella sentenza impugnata, laddove si è riconosciuta la carenza di immediatezza nel licenziamento 4/7/2003 a fronte del mancato rispetto – a dire della Corte fiorentina – "dei criteri di correttezza e di buona fede" nell’esercizio del potere disciplinare di cui all’art. 2106 c.c..

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione dell’art. 41 Cost., art. 2106 c.c. e L. n. 300 del 1970, art. 7 in relazione all’art. 2119 c.c. e L. n. 604 del 1966, art. 3 (art. 360 c.p.c., n. 3), censura la Corte fiorentina per avere affermato, in contrasto con le indicate disposizioni, che "il discrimine tra giusta causa e giustificato motivo soggettivo è fissato dalla gravità della condotta addebitata al dipendente e non può essere rimesso all’arbitraria scelta o alle tecniche dilatorie del datore". Infatti – soggiunge la ricorrente -, la graduazione della sanzione in relazione alla gravità dell’illecito commesso dal dipendente è espressione del potere organizzativo dell’imprenditore – datore, quale aspetto del diritto di iniziativa economica privata di cui all’art. 41 Cost., e può essere sindacato giudiziariamente per irragionevolezza, illegittimità, sproporzione.

Tale sindacato giudiziale non può mai giungere a ritenere "la singolarità di un licenziamento intimato per giustificato motivo soggettivo a fronte di addebiti disciplinari che appaiono di gravità clamorosa", in quanto l’imprenditore-datore può liberamente decidere di irrogare, a fronte dei gravissimi inadempimenti commessi dal dipendente ed integranti una ipotesi di giusta causa ex art. 2119 c.c., la sanzione disciplinare di minore entità rappresentata dal licenziamento per giustificato motivo soggettivo con preavviso L. n. 604 del 1966, ex art. 6. Il ricorso, valutato nella sua duplice articolazione, appare fondato nei termini e nei limiti di seguito puntualizzati.

Va anzitutto osservato che nel licenziamento per motivi disciplinari, il principio dell’immediatezza della contestazione dell’addebito e della tempestività del recesso datoriale, che si configura quale elemento costitutivo del diritto al recesso del datore di lavoro, deve essere inteso in senso relativo, potendo in concreto essere compatibile con un intervallo di tempo più o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessità della struttura organizzativa dell’impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso; in ogni caso, la valutazione relativa alla tempestività costituisce giudizio di merito, non sindacabile in cassazione ove adeguatamente motivato (ex plurimis, Cass. n. 29480/2008). Va poi rammentato, in relazione alla fattispecie in esame, che quello della correttezza e della buona fede è principio che va valutato in funzione della immediatezza L. n. 300 del 1970, ex art. 7 ossia dell’arco di tempo che trascorre tra la contestazione ed il licenziamento. Più in dettaglio, la violazione del suddetto principio, per acquisire rilevanza in punto di immediatezza del licenziamento, deve incidere sul diritto di difesa, nel senso che artatamente si sia procrastinata la scansione temporale del momento del recesso rendendo più difficoltosa la difesa del lavoratore od anche, secondo altra prospettiva, anch’essa inclusa nella ratio del principio di immediatezza, deve configurare un esercizio del potere datoriale diretto a servirsi ad libitum dell’arma del recesso, tenendo "in pugno" il lavoratore a tempo indeterminato.

Nel caso in esame, il Giudice a quo, al contrario, ha testualmente affermato che la problematica della immediatezza del licenziamento non attiene tanto al mero e aritmetico conteggio dei giorni trascorsi tra la contestazione della mancanza disciplinare e il recesso aziendale, ma riguarda sopratutto il rispetto dei criteri di correttezza e di buona fede con la quale il datore esercita il potere di cui all’art. 2106 cod. civ., scindendo in tal modo il collegamento della durata temporale contestazione-licenziamento dal diritto di difesa del lavoratore e dalla potestà datoriale.

Appare, quindi, erroneo il ragionamento della impugnata decisione laddove riconosce la carenza di immediatezza nel licenziamento 4/7/2003 a fronte del mancato rispetto -a dire della Corte fiorentina- "dei criteri di correttezza e buona fede" nell’esercizio del potere disciplinare di cui all’art. 2106 c.c..

La Corte fiorentina non ha valutato in alcun modo la circostanza – da ritenersi pacifica – della richiesta del B. qualificata dall’intervento del legale di differire le giustificazioni per sanare la sofferenza e limitare le proprie responsabilità.

In altri termini, secondo la Corte territoriale, di fronte alla richiesta del lavoratore di limitare i danni derivanti dalle sue inadempienze, il datore di lavori avrebbe dovuto procedere immediatamente al licenziamento. L’avere assecondato la richiesta, ancorchè per un proprio eventuale vantaggio, integrerebbe la violazione del principio di correttezza e buona fede perchè avrebbe allungato i tempi per il licenziamento, nonostante l’iniziativa sia venuta dal lavoratore, che, grazie all’accoglimento della richiesta, fa ora valere la violazione del principio.

Nella specie, l’illogicità del ragionamento è evidente, sicchè l’impugnata sentenza va annullata e la causa rimessa dinanzi ad altra Corte d’appello che, dovrà valutare il rispetto del principio di immediatezza, seppure alla luce della correttezza e buona fede, ma in una prospettiva che tenga conto dei fatti pacifici ed ammessi dal B. di avere richiesto il differimento della procedura disciplinare per limitare le proprie responsabilità, per sanare la sofferenza e per risolvere la posizione debitoria di V.. Il ricorso, in conclusione, deve essere accolto.

Ne consegue l’annullamento della impugnata decisione, con rinvio, per il riesame, ad altra Corte d’appello, come indicata in dispositivo, che provvederà anche alla regolametazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Bologna.

Così deciso in Roma, il 29 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2012

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