Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 31-05-2011) 28-09-2011, n. 35109

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 17/6/10 la Corte di Appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza 15/7/08 del Tribunale di Venezia, sez. dist. di Dolo, che con le attenuanti generiche condannava B.B. e R.G. alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione ciascuno per i reati in concorso (in (OMISSIS)) di incendio e fraudolento danneggiamento dei beni assicurati (capo 1) e di morte (del concorrente M.P.) come conseguenza di altro delitto (capo 2), dichiarava non doversi procedere nei confronti degli imputati in ordine al reato ex art. 642 c.p. per mancata, tempestiva presentazione di querela e in ordine al reato ex art. 586 c.p. per intervenuta prescrizione. Rideterminava la pena per entrambi, per il residuo reato ex art. 423 c.p., in anni due e mesi quattro di reclusione. Con conferma nel resto, anche in riferimento alle statuizioni in favore delle parti civili e alla dichiarata inammissibilità della domanda risarcitoria della parte civile SAM srl.

Secondo l’accusa i due imputati, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, in concorso tra loro e con M.P., al fine di conseguire l’indennizzo stipulato con le compagnie di assicurazione SASA e Reale Mutua in ordine al fabbricato e alle attrezzature e merci in esso contenute, provocavano l’incendio della sede della ditta SAM srl di (OMISSIS), incendio nel quale trovava la morte il M. che ne era stato l’autore materiale su mandato degli altri due (il B. gli forniva l’autovettura per trasportare sul posto le taniche di benzina e le chiavi del lucchetto che chiudeva l’accesso alla sede della ditta).

Il tutto avveniva la notte tra il (OMISSIS), alle ore 0,45, quando, nell’abitato di (OMISSIS), si verificava un’esplosione seguita da un violento incendio che interessava il fabbricato in cui operava la SAM srl, azienda che produceva e commercializzava capi di vestiario in pelle.

Soci della SAM srl (già SAM Consulting srl, facente capo alla moglie e alle figlie del M.) i due imputati B. e R. (presidente del CdA della SAM C.F., cognata del B.), che ne avevano acquistato le quote al 50% il 2/4 di quell’anno. Lo stesso giorno del cambio di denominazione, il 10/7/02, il 100% delle quote erano state trasferite ad una fiduciaria austriaca. Le due precedenti società degli imputati, la Rod & Company Srl (che produceva e commercializzava capi in pelle) e la B & B srl (proprietaria del capannone produttivo di (OMISSIS), locato alla prima), erano state entrambe messe in liquidazione nel mese di luglio e secondo le intenzioni l’immobile avrebbe dovuto essere venduto (fissato per il 4/9/02 il rogito notarile) alla Terranova srl, costituita ad hoc il 7/8/02 (socia al 50% la sorella della compagna del R.).

Questa la situazione societaria, che oltre alla costante presenza del M. in tutte le vicende sopra riferite, vedeva il forte indebitamento sia della manifatturiera Rod & Company sia della B & B, anche se questa operava solo come proprietaria locatrice dell’immobile produttivo.

Tornando alla notte del 31/8/02, parcheggiata davanti alla fabbrica esplosa la VW Sharan del B., all’interno dell’auto dieci taniche di benzina da 10-15 litri ed un lucchetto aperto marca Yale con una catena metallica ricoperta di plastica, destinata alla chiusura di uno dei cancelli di accesso all’immobile. All’interno del cortile altre quattro taniche da 10 litri e a fianco del muro perimetrale nei pressi dell’ingresso, con un frammento di guanto ad una mano e parte di uno stivale ad un piede, il cadavere semicarbonizzato di un uomo (parzialmente ricoperto da detriti e in particolare da una lamiera di metallo), successivamente identificato in M.P.. In una tasca dei pantaloni una chiave marca Yale originale e numerosi fiammiferi.

Evidentemente imprevista l’esplosione, causata dalla pressione dei gas sprigionati dall’incendio sulle strutture dell’edificio.

Due persone abitanti nei pressi riferivano di avere visto l’auto lì parcheggiata dalle 23,30 e le luci accese all’interno dello stabile.

Si accertava che nei giorni precedenti il B. e il M. si erano scambiati le rispettive autovetture, il B. essendo interessato all’acquisto della Volvo TDI in uso al M..

Accertate la mattina del (OMISSIS) due chiamate telefoniche al cellulare del M. in partenza da cabine pubbliche: la prima da una cabina a metà strada tra l’abitazione del B. e la sede della SAM, la seconda da una cabina di (OMISSIS), subito dopo le quali si registrava una chiamata al R. dal cellulare del B., agganciato in entrambi i casi a celle vicine alle cabine telefoniche da cui erano partite le telefonate.

Grande cautela nelle comunicazioni telefoniche tra i due nei quarantacinque giorni di intercettazione disposta dopo i fatti.

Da dire infine dei rapporti assicurativi, che nel marzo 2002 – per il tramite del broker di assicurazioni prof.ssa P.S., moglie del M. (a sua volta agente assicurativo plurimandatario, come tale incompatibile con l’attività di brokeraggio) – vedevano l’attivismo del B. (provvedendosi attraverso il M. anche ad una aggiornata stima dei valori aziendali affidata ad una società specializzata, la Stima srl) per aumentare il capitale già assicurato presso l’Agenzia SASA di (OMISSIS), da essa ottenendo infine il 10/7/02 solo due coperture provvisorie valide fino al 6/9/02.

Nel frattempo (con effetto dal 27/6/02) la Polignano Broker stipulava, ad insaputa della SASA, anche due polizze con la Reale Mutua Assicurazioni.

Dal complesso indiziario la ritenuta colpevolezza dei due imputati, sopravvissuti al complice rimasto ucciso nello scoppio. Così le sentenze di primo e secondo grado, la seconda escludendo peraltro (come si è detto) la procedibilità dell’azione penale per la frode assicurativa (per difetto di querela) e per l’omicidio colposo (per intervenuta prescrizione).

Ricorrevano per cassazione, a mezzo della comune difesa, i due imputati B. e R., R. anche personalmente e la parte civile SAM srl (in persona del legale rappresentante C. F., cognata di B.).

La comune difesa degli imputati deduceva: 1) vizio di motivazione e violazione di legge per l’ordinanza 14/6/10 della Corte di Appello che disponeva l’audizione a chiarimenti del consulente tecnico del Pm ing. G. "con particolare riferimento al funzionamento dell’impianto di allarme subito dopo l’esplosione" (circostanza ignorata e mai esaminata prima dal detto consulente, cui si chiedeva in sostanza un parere tecnico), così come descritto nel dibattimento di primo grado dal consulente della difesa ing. D., e per la conseguente sentenza, basata anche sui detti chiarimenti; 2) vizio di motivazione e violazione di legge in ordine alla valutazione della prova (la Corte di Appello aveva affastellato una serie di ipotesi ricostruttive l’una alternativa all’altra, pervenendo ad una decisione su base indiziaria senza che gli indizi fossero gravi, precisi e concordanti: citava una serie di passaggi dove la sentenza usava termini dubitativi, possibilistici o probabilistici; tra le varie congetture e supposizioni si segnalava in particolare un ribaltamento logico, laddove la sentenza sembrava assumere che dovesse essere la SASA a segnalare la nuova polizza alla Reale Mutua e non il contrario, con il conseguente, decisivo rilievo che in assenza di una polizza operativa – tanto che le due società non erano o non erano più parti civili – veniva meno il movente, per esperti operatori nel settore quali erano gli imputati; in particolare la posizione del R. era sfornita di prova, tanto che lo stesso PG ne aveva chiesto l’assoluzione; irrilevante il possesso della chiave, che peraltro non necessariamente era un originale, posto che l’accesso al cortile era libero; in contrasto con la tesi della volontà di favorire il complice la circostanza che il M. avesse usato l’autovettura del B. per recarsi ad appiccare l’incendio; non conducenti i dati sulle telefonate; non conducenti quelli sugli aumenti dei massimali delle polizze, una volta accertato che queste erano inoperanti; illogico il movente delle cattive condizioni economiche, una volta che i problemi finanziari erano in via di soluzione con le avviate procedure concorsuali e i progetti che coinvolgevano la società di nuova costituzione e la cessione dell’immobile); 3) vizio di motivazione e violazione di legge sulla legittimazione delle parti civili e sulle erronee statuizioni in loro favore (ciò, quanto ai vicini, perchè già risarciti dalle rispettive compagnie assicuratrici e in assenza, nel nostro ordinamento, di un reato di danneggiamento colposo; ciò, quanto alla moglie e alle figlie del M., perchè eredi non di una vittima del reato ma di chi ne era stato l’esecutore materiale in concorso con i complici superstiti. Chiedeva l’annullamento della sentenza impugnata.

Con ricorso in pari data R.G. (giudicato in contumacia) deduceva la nullità della sentenza, segnalando di non avere mai ricevuto l’avviso di fissazione dell’udienza davanti alla Corte di Appello di Venezia.

Ricorreva anche la SAM srl, in persona del legale rappresentante C.F., contestando la dichiarata inammissibilità della propria costituzione di parte civile nei confronti degli eredi di M. (esclusione motivata dall’inesistenza di un rapporto processuale con l’autore materiale del reato, in quanto soggetto deceduto, sia pure al tempo concorrente con gli attuali imputati, e comunque per l’incompatibilità della posizione del correo, o dei suoi eredi, con quella di responsabile civile); deduceva al proposito violazione di legge e vizio di motivazione: anche l’imputato, se prosciolto, può venire citato come responsabile civile per il fatto dei coimputati (art. 83. c.p.p., comma 1, ult. p.); ed è conforme ai principi che i condannati di uno stesso reato siano obbligati in solido al risarcimento del danno (art. 187 cpv. c.p.); il titolo di responsabilità civile per le eredi del M., autore del danno al pari dei coimputati, è nell’art. 185 c.p. e art. 2055 c.c..

Concludeva sul punto per l’annullamento.

L’udienza fissata per la discussione (5/5/11) era rinviata al 31/5/11 per un tardivo avviso alla parte civile SAM srl.

Nelle more (12/5/11) pervenivano "motivi nuovi" della difesa degli imputati, dove, deducendosi ancora vizio di motivazione e violazione di legge, si insisteva nelle già svolte censure circa i "chiarimenti" chiesti in appello al consulente del Pm (anzichè disporre la nomina di un perito).

All’udienza definitiva il PG concludeva per il rigetto del ricorso in favore di B. e R., per la dichiarazione di inammissibilità di quello personale di R. e per il rigetto del ricorso della SAM; i difensori presenti della parte civile e degli imputati concludevano per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.

Il ricorso a firma di R.G. è del tutto privo di fondamento e pertanto da dichiarare inammissibile. L’imputato lamenta di non avere mai ricevuto l’avviso di fissazione dell’udienza davanti alla Corte di Appello di Venezia. Non è così: risulta dall’esame del fascicolo che l’atto in questione è stato spedito a mezzo del servizio postale il (OMISSIS) e consegnato allo sportello il (OMISSIS).

Infondato, invece, e pertanto da rigettare, il ricorso a firma dei difensori dello stesso R. e di B.B..

Con un primo motivo i ricorrenti lamentano che, con ordinanza 14/6/10, la Corte di Appello abbia chiamato a chiarimenti il consulente tecnico del Pm, ing. G., "con particolare riferimento al funzionamento dell’impianto di allarme subito dopo l’esplosione". Si obbietta che su tale circostanza, ignorata e mai esaminata prima, il Ct non aveva nulla da chiarire, ove in realtà gli si chiedeva di esprimere un parere, tecnico, sulle osservazioni fatte in primo grado sul detto impianto dal consulente della difesa, ing. D.. E la sentenza di appello aveva illegittimamente recepito nella sua motivazione tali indebiti "chiarimenti".

Il motivo è infondato, per la manifesta ragione che la questione dell’allarme non è per nulla decisiva nell’economia del giudizio di merito. Se l’intento della difesa è quello di sostenere che il M. abbia agito dall’esterno dello stabile (all’insaputa degli imputati), versando liquido infiammabile dalle aperture a "vasistas" delle finestre del piano terra (tanto che solo dopo l’esplosione si attivò l’allarme), ebbene, sia il giudice di primo che di secondo grado hanno preso direttamente in esame l’ipotesi, arrivando ad escluderla in modo provato e logicamente irreprensibile: i testi (abitanti nei pressi) V. e F. avevano riferito della vettura ferma e delle luci accese all’interno dell’edificio; ne conseguiva o che l’allarme interno era già disattivato o che chi era entrato conosceva il codice numerico per disattivarlo; circa poi la presenza all’esterno dell’edificio del corpo del M. (il volto sotto una lastra di rivestimento esterno crollata dopo l’esplosione, ma, viste le lesioni al torace, era ben possibile che ciò fosse avvenuto dopo che l’uomo venisse scaraventato fuori dalla forza d’urto), essa non era incompatibile con l’ipotesi che quegli, dopo essere entrato, stesse tuttavia uscendo (dopo avere riattivato l’allarme, che peraltro ben avrebbe potuto comunque essere entrato in funzione per la forza dello scoppio).

Infondato anche il secondo, più articolato motivo, che sostanzialmente deduce (anche se in parte dietro lo schermo della violazione di legge) vizio di motivazione. La posizione in argomento della giurisprudenza di legittimità è nota: "Alla luce della nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), dettata dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46 il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la relativa motivazione sia: a) "effettiva", ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non "manifestamente illogica", ovvero sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non internamente "contraddittoria", ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non logicamente "incompatibile" con altri atti del processo, dotati di una autonoma forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o radicalmente inficiare sotto il profilo logico la motivazione" (così Cass., 6, sent. n. 10951 del 15/3/06, rv.

233708, Casula).

La sentenza impugnata risponde a tutti i detti requisiti. In particolare essa dimostra all’evidenza il dato principale del processo e cioè la riferibilità a R. e B. della condotta criminale di M.. Si è detto che costui ebbe ad entrare nell’edificio che intendeva incendiare e che ciò potè fare solo colla complicità dei correi. I giudici di merito riferiscono a sufficienza dello scambio di auto col B. e dell’originale della chiave, conservata – da sola – in una tasca dei calzoni del M., del lucchetto della catena usata dai titolari per la chiusura di uno dei cancelli. Riferiscono inoltre delle significative telefonate intercorse tra i tre la mattina del 30/8/02: quella ricevuta alle 9,34 al cellulare del M. (a (OMISSIS)), proveniente da una cabina telefonica di (OMISSIS) sita a metà strada tra la sede della SAM e l’abitazione del B.; due minuti dopo, alle 9,36, il B., con il suo cellulare (agganciato a cella a poca distanza dalla cabina telefonica da cui era partita la precedente chiamata), chiamava il R.; la stessa cosa avveniva alle 12,32 da altra cabina (questa volta di (OMISSIS)), con successiva telefonata al R.. Massima, dunque, la cautela fra i tre soggetti. Massima tra loro anche la comunanza di interessi economici e comune il movente (sempre presenti sulla scena non solo il M., ma anche il B. e il R.). Puntuali le considerazioni dei giudici di merito sulle sospette modificazioni societarie ed assicurative che avevano preceduto di poco l’incendio dell’azienda. Solo ipotetica l’evenienza prospettata dalla difesa secondo cui l’indennizzo non sarebbe stato infine pagato dalle due compagnie officiate a causa della mancata informazione alla Reale Mutua della recente modifica della polizza SASA ed a questa della nuova stipula con l’altra società. Su ciò vi è un’attenta e fondata disamina dei giudici di merito, in esito alla quale si conclude per l’ipotesi opposta. Quanto basta per escludere il venir meno del movente o la tesi del reato impossibile (impossibilità dell’evento per inidoneità dell’azione). L’assenza dal processo penale delle due società di assicurazione non sta a significare la fondatezza di quelle ragioni ma solo l’assenza di un concreto interesse a parteciparvi. Apodittica, infine, l’affermazione che i problemi finanziari dei tre fossero in via di (soddisfacente) soluzione con le avviate procedure concorsuali, la progettata cessione dell’immobile e la creazione di nuovi soggetti economici. In ogni caso il lavorio posto in essere per il salvataggio (o il rilancio) economico del gruppo non necessariamente escludeva l’iniziativa delittuosa.

Per il resto il motivo propone deduzioni di mero fatto (se ne è già accennato), dove le valutazioni difensive tendono a sovrapporsi a quelle motivatamente e congruamente rese dal giudice di merito, non vincolato nelle sue conclusioni a quelle delle parti, ivi compresa la pubblica accusa).

Infondato il terzo motivo. L’eventuale ristoro fuori del processo dei proprietari delle abitazioni confinanti costituitisi parti civili quali danneggiati dall’incendio (doloso) sarà valutato, se del caso, in sede civile. I familiari (la moglie e le figlie del defunto M.) agiscono iure proprio per i danni sofferti a causa della morte del congiunto, addebitabile anche alla condotta illecita degli imputati (oltre alla giurisprudenza civile e penale richiamata nella sentenza impugnata, si veda in proposito anche Cass., sez. 4 pen., sent. n. 33809 del 19/4/05, rv. 232413, ric. Giuliano e altri).

Infondato, infine, il ricorso della SAM srl.

Decisivo il dato (formale e sostanziale), già evidenziato dai giudici di merito, per cui l’inesistenza di un rapporto processuale ai sensi dell’art. 83 c.p.p., comma 1 tra chi fa valere la pretesa risarcitoria ed il soggetto (mai imputato, perchè deceduto in coincidenza con la commissione del reato) destinatario di tale pretesa osta di per sè alla ammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti del soggetto medesimo o dei suoi eredi (quali responsabili civili per il fatto dell’imputato). Estranee alla fattispecie le ipotesi, richiamate dal ricorrente, del citato art. 83 c.p.p., comma 1. A parte, infine, la ridetta assenza di una condanna a carico del M. (art. 187 cpv. c.p.), i principi civilistici richiamati dal ricorrente potranno essere fatti valere in sede civile.

Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del processo (art. 616 c.p.p.).

P.Q.M.

rigetta il ricorso proposto nell’interesse di B.B. e R.G. nonchè il ricorso proposto nell’interesse della SAM srl e condanna tutti i predetti ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibile il ricorso proposto da R.G..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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