Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 31-05-2011) 28-09-2011, n. 35106

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Svolgimento del processo

1. – F.A., sottoufficiale dell’Arma dei Carabinieri, è stato giudicato colpevole – dal Tribunale di Vasto, all’esito di giudizio abbreviato, e dalla Corte di Appello di L’Aquila – del delitto previsto e punito dalla L. n. 895 del 1967, art. 2 come modificato dalla L. 14 ottobre 1074, n. 497, art. 10 allo stesso contestato per avere illegalmente detenuto presso la sua abitazione, "occultate all’interno del cassetto del comodino presente nella propria camera da letto, n. 6 cartucce calibro 9 Parabellum, tutte impiegate nelle armi da guerra e dotate di efficienza funzionale, prodotte dalla Fiocchi s.p.a. ed assegnate quale munizionamento alle Forze Armate ed a quelle dell’Ordine; munizioni diverse da quelle che egli aveva ricevuto in dotazione in virtù dell’essere appartenente all’Arma del Comando Territoriale cui era aggregato, essendo egli stato posto dapprima in convalescenza e di poi essendo stato temporaneamente sospeso dal servizio. In (OMISSIS)". 2. – Ricorre per cassazione, avverso la sentenza di condanna emessa in grado d’appello, il F. personalmente, sviluppando in ricorso cinque motivi d’impugnazione.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo, il ricorrente denunzia "mancanza e manifesta illogicità della motivazione nonchè inosservanza ed erronea applicazione della L. n. 895 del 1967 e R.D. 18 giugno 1931, n. 773, 38 (TULPS)".

Nel premettere che la Corte territoriale, ha disatteso l’assunto difensivo secondo cui la detenzione delle sei cartucce doveva ritenersi lecita a ragione dell’appartenenza di esso ricorrente all’Arma dei Carabinieri, avendo ritenuto, invece, tale detenzione "non sorretta da alcun titolo autorizzatorio", valorizzando, sul punto, la nota del Comando di Compagnia di Vasto in data 5 ottobre 2005, nella quale si attestava che il brigadiere F. era stato precauzionalmente sospeso dal servizio fin dal 7 dicembre 2004, con ordine allo stesso di restituzione di tutte le armi e munizioni in dotazione (ordine già eseguito, materialmente, a più riprese, prima del rinvenimento delle sei cartucce nel corso della perquisizione, effettuata l’8 gennaio 2005), nel ricorso viene denunziato il carattere meramente "apparente" di una siffatta motivazione. Più specificamente da parte del ricorrente si deduce, in primo luogo, che i giudici di appello, allorquando hanno affermato che al momento del ritrovamento delle cartucce (8 gennaio 2005), egli risultava già sospeso precauzionalmente dal servizio, sarebbero incorsi in un "travisamento del fatto", in quanto il provvedimento di sospensione, come si evince dal decreto del Ministero della Difesa allegato al ricorso, risulta in realtà emesso in epoca successiva, il 28 gennaio 2005, pur avendo lo stesso efficacia retroattiva, con decorrenza al 7 dicembre 2004, data di esecuzione della misura cautelare degli arresti domiciliari, per fatti diversi da quelli oggetto del presente procedimento. In ricorso, si sostiene, altresì, per un verso, l’assenza in atti di una prova che attesti l’avvenuta notifica all’imputato di un formale invito od ordine a consegnare armi e munizioni in dotazione; dall’altro, che la mancata ottemperanza allo stesso, in ogni caso, potrebbe comportare, al più, la sussistenza di un illecito disciplinare, ma mai integrare "un profilo di illiceità della detenzione di quelle munizioni".

La concisa motivazione sarebbe altresì incongrua, secondo il ricorrente, laddove valorizza, ai fini dell’affermazione di penale responsabilità, l’assenza di uno specifico atto autorizzatorio per la detenzione ed il porto di armi e munizioni, che il ricorrente considera invece superfluo, argomentando ex art. 38 cit. TULPS, facendo rilevare, sul punto, che la facoltà per esso imputato di detenere armi e munizioni derivava dalla sua qualità di appartenente all’Arma dei Carabinieri, sulla quale nessuna influenza poteva esplicare il provvedimento di sospensione, esso incidendo "sulla prestazione e non già sulla qualifica". 1.1. – Il motivo è infondato. Nessun decisivo travisamento delle risultanze processuali è infatti ravvisabile nella motivazione della sentenza impugnata. Se è pur vero, infatti, che dalla documentazione allegata al ricorso, si ricava che il F. è stato sospeso precauzionalmente dal servizio – da ultimo – con decreto del Ministero della Difesa emesso solo il 28 gennaio 2005, è però inesatto l’assunto del ricorrente in merito all’assenza di una prova in atti dell’avvenuta notifica all’imputato di un formale invito od ordine a consegnare le armi e munizioni in dotazione, prima del ritrovamento delle munizioni oggetto di imputazione.

Ed invero, dalla documentazione allegata al ricorso – e segnatamente dalla nota in data 5 ottobre 2005 dei Carabinieri di Vasto valorizzata dai giudici di merito per ritenere illegale la detenzione da parte del F. delle munizioni di cui è processo (allegato 7) – il cui contenuto non ha formato oggetto di specifica contestazione da parte del ricorrente – si ricava: non solo che nei confronti del brigadiere F. fu adottato dal Comando Regione Carabinieri Abruzzo un primo provvedimento di sospensione precauzionale dal servizio, con foglio n. (OMISSIS) "notificato in pari data all’interessato", ma che tale provvedimento "disponeva – qualora non già fatto – il ritiro delle armi, munizioni, buffetterie …" in dotazione al militare.

Quanto poi all’assunto secondo cui, non incidendo il provvedimento di sospensione precauzionale sulla "qualità" dell’imputato di appartenente ad un corpo armato dello Stato, lo stesso era comunque esente, ex art. 38, cit. TULPS, dall’obbligo di denuncia delle munizioni, ritiene il collegio che nessun profilo di illegittimità sia fondatamente ravvisabile nella decisione impugnata, laddove ha escluso che la "permanente" qualità dell’imputato di appartenente all’Arma dei Carabinieri rendesse di per sè legittima la detenzione delle munizioni rinvenute nella sua abitazione, in un momento successivo alla sua sospensione precauzionale dal servizio.

Ed invero, a prescindere dal rilievo che l’invocato art. 38 cit.

TULPS, riguarda espressamente l’esenzione di alcune categorie di persone dall’obbligo di denuncia di armi, munizioni o materiale esplodente di qualsiasi genere ed in qualsiasi quantità, occorre in ogni caso rilevare: a) che tale esenzione, in base al comma 2, lett. c) della citata norma, opera "limitatamente però al numero ed alla specie delle armi loro consentite": b) che nel caso in esame al brigadiere F., per effetto del primo provvedimento di sospensione dal servizio intervenuto sin dall'(OMISSIS), non era invece più consentito detenere armi e munizioni in dotazione; c) che l’imputato nel presente giudizio ha sempre negato non solo che le munizioni oggetto di imputazione facessero parte della sua dotazione, ma finanche che le stesse erano state da lui acquistate legittimamente aliunde, e che pertanto erano comunque da ricomprendere nell’armamento in sua dotazione, da restituire.

2. – Con il secondo motivo d’impugnazione, il ricorrente denunzia mancanza della motivazione ed inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (L. n. 895 del 1967, art. 2) con riferimento alla dedotta configurabilità nel caso in esame di un’ipotesi di reato impossibile, in difetto di qualsiasi accertamento in merito all’efficienza delle munizioni ritrovate nella sua abitazione.

Nel premettere che la Corte territoriale ha disatteso tale deduzione difensiva (sviluppata nel capo C dell’atto di appello) in base al rilievo che l’efficienza delle munizioni era invece "incontroversa per il consulente del PM", da parte del ricorrente si censura tale concisa motivazione, in quanto ritenuta viziata da un evidente travisamento del fatto o della prova, evidenziando al riguardo, per un verso, che la vecchissima data di fabbricazione dei proiettili (risalente, al 1980, al 1984 ed al 1990), rendeva ragionevole il dubbio sull’effettiva capacità offensiva od esplodente degli stessi;

dall’altro, che il consulente del PM non ha mai espresso una "incontroversa valutazione di efficienza dei proiettili";

accertamento questo, per altro, che non figurava neppure tra i quesiti allo stesso rivolti, così come comprovato dalla documentazione prodotta col ricorso (allegati n. 3 e 4).

2. 1 – Anche tale motivo d’impugnazione è privo di fondamento. Tutte le considerazioni difensive relative all’effettivo contenuto dell’indagine svolta dal consulente del PM, non tengono conto, infatti, del preliminare ed assorbente rilievo che questa Corte, ha già da tempo spiegato che per la configurazione del reato di detenzione di munizioni da guerra non è necessario che esse siano atte all’impiego, dovendosi prescindere dalla loro efficienza e considerare sufficiente la loro originaria destinazione (v. Cass., Sez. I, sentenza n. 449 del 11/10/1993 dep. il 19-01-1994, Rv.

195924, imp. Grippo; Sez. 1, Sentenza n. 1837 del 13/03/2000, dep. il 17/04/2000, Rv. 215822, imp. Galler).

3. – Con il terzo motivo d’impugnazione da parte del ricorrente si denunzia mancanza e manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.

Nel premettere che la Corte territoriale ha disatteso tale argomento difensivo (sviluppato nel capo D dell’atto di appello), in base al rilievo che la consapevolezza dell’imputato della detenzione delle munizioni non poteva escludersi, in quanto le stesse vennero rinvenute "all’interno di un cassetto del comodino presente nella camera da letto dell’abitazione, frequentata quotidianamente dall’imputato", da parte del ricorrente si censura tale concisa motivazione, ritenuta oltre che illogica, non potendo farsi discendere dalla "quotidiana frequentazione della camera da letto" anche la "sicura quotidiana esplorazione, da parte dell’imputato, del contenuto dei relativi comodini", anche incompleta rispetto alle deduzioni svolte nell’atto di appello, in cui si evidenziava, in fatto, che l’imputato era stato posto agli arresti domiciliari sin dal 7 dicembre 2004; che nell’occasione fu perquisita la sua abitazione e la sua auto, con esito negativo; che la pistola d’ordinanza ed il suo munizionamento, in base a quanto riferito dal comandante della Compagnia Carabinieri di Vasto, erano già custoditi presso l’armeria della caserma e non già presso l’abitazione dell’imputato, sicchè, configurandosi il reato contestato come delitto, era legittimo dubitare dell’effettiva consapevolezza da parte sua della detenzione di tali munizioni.

3.1. – Anche tale articolata censura è priva di fondamento. Al riguardo occorre precisare, anzitutto, che la giurisprudenza di questa Corte (in termini Sez. 1, Sentenza n. 9691 del 17/06/1992, dep. Il 8/10/1992, Rv. 191874, Toia) è costante nel ritenere che la coscienza dell’antigiuridicità o dell’antisocialità della condotta non è una componente del dolo, per la cui sussistenza è necessario soltanto che l’agente abbia la coscienza e volontà di commettere una determinata azione. D’altra parte, essendo la conoscenza della legge penale presunta dall’art. 5 cod. pen., quando l’agente abbia posto in essere coscientemente e con volontà libera il fatto vietato dalla legge penale, il dolo deve essere ritenuto sussistente, senza che sia necessaria la consapevolezza dell’agente di compiere un’azione illegittima o antisociale sia nel senso di consapevolezza della contrarietà alla legge penale sia nel senso di contrarietà con i fini della comunità organizzata. Per altro, anche in materia di armi e munizioni, per quanto concerne l’elemento soggettivo del reato, valgono i principi generali posti dagli artt. 42 e 43 cod. pen., per cui – ad eccezione di ipotesi specifiche – è richiesto il dolo generico, e cioè la coscienza e la volontà del comportamento e la previsione dell’evento da parte dell’agente quale conseguenza della sua azione od omissione, e non si richiede la coscienza dell’antigiuridicità o dell’antisocialità della condotta e tanto meno la volontà di violare una determinata norma di legge, giacchè altrimenti rimarrebbe svuotato di contenuto e di efficacia il precetto della inescusabilità dell’ignoranza della legge penale contenuto nel citato art. 5 cod. pen., (in senso conforme, relativamente a fattispecie di detenzione illegale di munizioni da guerra, Sez. 1, Sentenza n. 12911 del 19/12/2000 dep. il 2/04/2001, Rv. 218441, imp. Bortoluzzi). Alla stregua di tali principi, nessun profilo di illegittimità è quindi fondatamente ravvisabile nella decisione impugnata in riferimento alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato, avendo i giudici di appello ricollegato la consapevolezza e volontarietà della detenzione al luogo stesso in cui le munizioni stesse erano state rinvenute (all’interno di un comodino, ubicato nella camera da letto); valutazione questa che si rivela del tutto plausibile e per ciò non censurabile in questa sede,, ove si consideri che i giudici di merito hanno escluso espressamente, perchè inverosimile, la tesi, pure inizialmente adombrata dall’imputato ma dallo stesso non più riproposta nel corso del giudizio, di una congiura ordita ai suoi danni da militari infedeli ostili alla sua persona e che proprio la qualità soggettiva dell’imputato di appartenente ad un corpo armato dello Stato porta in effetti ad escludere che costui non avesse contezza di quanto riposto in un luogo di sua pertinenza così accessibile.

4. – Con il quarto motivo d’impugnazione da parte del ricorrente si denunzia mancanza della motivazione nonchè inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (art. 697 cod. pen.), con riferimento alla qualificazione del fatto contestatogli come delitto L. n. 895 del 1967, ex art. 2.

Nel premettere che la Corte territoriale ha disatteso la richiesta, già formulata con l’atto di appello (motivo sub lettera E), di derubricazione del fatto contestato nella contravvenzione di cui all’art. 697 cod. pen., e di conseguente ammissione dell’imputato all’oblazione, già richiesta, per altro, nel corso del giudizio di primo grado, sulla scorta del semplice assunto che i proiettili calibro 9 parabellum, secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità, sono da considerarsi munizioni per arma da guerra e non già per armi comuni da sparo, da parte del ricorrente si evidenzia come tale motivazione, definita "lapidaria ed apodittica", non fornisca adeguata risposta alle censure sviluppate sul punto, attraverso le quali, facendo riferimento anche alla motivazione del decreto di convalida del sequestro, rimasta isolata, si segnalava come, nel presente giudizio, difettasse il pur necessario positivo accertamento della sussistenza dei requisiti individuati dalla migliore giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, per poter qualificare un determinato munizionamento, come munizionamento per arma da guerra, e cioè: la spiccata potenzialità offensiva; la destinazione attuale o potenziale al moderno armamento delle truppe nazionali od estere; l’attitudine all’impiego pubblico.

4.1 – Anche tale censura è priva di fondamento. Ed invero, la motivazione addotta dalla Corte territoriale, seppure particolarmente concisa risolvendosi essa nel richiamo ad un precedente di questa Corte, che si riferiva, per altro, ad una fattispecie non del tutto equiparabile a quella in esame (la detenzione di un proiettile munito di incamiciatura o "blindato" (Sez. 1, Sentenza n. 42872 del 15/10/2009, dep. l’11/11/2009, Rv. 244997, imp. Gentile), ha però correttamente evidenziato, tra l’altro, come l’orientamento della giurisprudenza di legittimità – alla quale questo collegio ritiene di doversi senz’altro conformare, condividendolo – si è da tempo espresso (in termini si veda Sez. 1, Sentenza n. 4229 del 3/03/1998, dep. il 7/04/1998, Rv. 210243, imp. Izzo, relativo proprio alla detenzione di proiettili calibro 9 "parabellum") nel senso di ritenere "che in materia di reati concernenti le armi, l’introduzione attuata nel 1990, nel catalogo delle armi comuni da sparo, di pistole semiautomatiche cal. 9, concerne armi che utilizzano proiettili cal.

9 corto, e non calibro 9 lungo, quali quelle sequestrate all’imputato che, in quanto destinati ad armi da guerra, devono ritenersi munizioni per arma da guerra", laddove il precedente citato dal ricorrente oltre a riferirsi a proiettili 9×19, attiene ad una pronuncia nella quale questa Corte risultava investita soltanto della questione concernente la legittimità di una diversa qualificazione data dal giudice di merito al fatto originariamente contestato all’imputato.

5. – Con il quinto ed ultimo motivo d’impugnazione il ricorrente denunzia mancanza della motivazione nonchè inosservanza ed erronea applicazione della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 53.

Nel premettere che la Corte territoriale, accogliendo uno specifico motivo d’appello, ha riconosciuto la lieve entità del fatto, riducendo la pena inflitta dal primo giudice (anni 1 e mesi 4 di reclusione ed Euro 600,00 di multa) in quella di mesi 2 e giorni 20 di reclusione ed Euro 60,00 di multa, da parte del ricorrente s’impugna la decisione dei giudici di appello, in alcun modo motivata, di non sostituire la pena detentiva inflitta con quella pecuniaria corrispondente, anche in considerazione della sua incensuratezza.

5.1. – Il motivo è infondato. Ed invero premesso che nei motivi di appello il ricorrente si era limitato a richiedere l’applicazione della L. n. 895 del 1067, art. 5 e che non risulta che abbia sollecitato nel giudizio di secondo grado l’applicazione della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 53 il collegio deve rilevare che, anche la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui "una volta che sia stato devoluto il punto relativo al trattamento sanzionatorio al giudice d’appello, a quest’ultimo deve riconoscersi il potere discrezionale di intervenire sulla pena, e quindi anche di concedere di ufficio, nei congrui casi, la sanzione sostitutiva" (in tal senso Sez. 6, Sentenza n. 786 del 12/12/2006, dep. il 16/01/2007, Rv.

235608, imp. Meschino, ma in senso contrario si è pronunciata la stessa Sez. 6, con la sentenza n. 35912 del 22/05/2009, dep. il 16/09/2009, Rv. 245372, imp. Rapisarda, nella quale si afferma che "il giudice di appello non ha il potere di applicare d’ufficio le pene sostitutive di quelle detentive brevi in assenza di motivi di impugnazione in ordine alla mancata applicazione della sanzione sostitutiva), è però univoca nel ritenere che, della mancata applicazione della sanzione sostitutiva, in ogni caso, va data idonea motivazione, qualora di essa vi sia stata esplicita richiesta da parte dell’imputato; situazione questa, si ripete, che non risulta però ricorre nel caso in esame.

6. – Dalle considerazioni sin qui svolte discende, in conclusione, che il ricorso del F., infondato in ogni sua prospettazione va rigettato, con conseguente condanna de ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. al pagamento delle spese del presente procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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