Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 27-05-2011) 28-09-2011, n. 35184

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

B.F. propone ricorso contro l’ordinanza del tribunale del riesame di Napoli del 29 novembre 2010, che ha confermato l’ordinanza emessa il 26 ottobre 2010 dal gip presso il tribunale di Napoli, con cui è stata applicata la custodia cautelare in carcere.

Il tribunale del riesame, dopo aver richiamato le prove fondamentali poste a base della misura cautelare, ai fini della valutazione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, si è soffermato sulle valutazione del materiale istruttorio, costituito dalle due chiamate in correità di P.R. e di Pe.Gi.

(erroneamente indicato in motivazione come V.A.).

Il ricorso per cassazione si fonda su un unico motivo e cioè sulla violazione di legge e difetto di motivazione in relazione agli artt. 192 e 273 c.p.p. e artt. 110 e 575 c.p.. In particolare il B. evidenzia la contraddittorietà delle dichiarazioni del principale accusatore ( P.R.), nonchè l’errore del tribunale che confonde la dichiarazione del V. con quella del P..

Quanto a quest’ultimo, rileva la difesa che la fonte della sua conoscenza, individuata in R. e L.P., non sarebbe attendibile in quanto il secondo dei due, sottoposto all’intercettazione ambientale n. 3542 del 1 marzo 2003, parlando dell’omicidio di L.R. non indica tra gli esecutori il B.F.. Se ne deduce, da parte della difesa, l’inattendibilità delle dichiarazioni rese dal P..

In linea generale, poi, il ricorrente si duole della insussistenza di sufficienti prove a carico nei suoi confronti.

Per tali motivi B.F. chiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata e la rimessione in libertà.

Motivi della decisione

Deve permettersi che il ruolo di questa Corte non è quello di rivalutare gli indizi posti a base delle due ordinanze cautelari, nè quello di pronunciarsi sull’attendibilità dei collaboratori di giustizia, bensì più limitatamente quello del controllo di legittimità sull’ordinanza impugnata.

La Corte, dunque, si limiterà a verificare che il provvedimento impugnato sia sorretto da una logica e sufficiente motivazione, anche nelle parti in cui fa riferimento all’ordinanza emessa dal gip, e che il giudizio di gravità indiziaria e di attendibilità delle deposizioni che ne costituiscono il fondamento, sia stato effettuato dalla Corte del riesame operando una corretta interpretazione degli istituti processuali invocati nel ricorso.

In alcun caso questa Corte procederà ad una valutazione di merito sugli indizi e sulla ritenuta attendibilità dei chiamanti, compito riservato al giudice per le indagini preliminari in prima battuta e al tribunale del riesame in sede di impugnazione. (Nel giudizio di legittimità il sindacato sulla correttezza del procedimento indiziario non può consistere nella rivalutazione della gravità, della precisione e della concordanza degli indizi, in quanto ciò comporterebbe inevitabilmente apprezzamenti riservati al giudice di merito, ma deve tradursi nel controllo logico e giuridico della struttura della motivazione, al fine di verificare se sia stata data esatta applicazione ai criteri legali dettati dall’art. 192 c.p.p., comma 2, e se siano state coerentemente applicate le regole della logica nell’interpretazione dei risultati proba tori. Cassazione penale, sez. 1, 25 settembre 2008, n. 42993, CED Cass. pen. 2008, 241826.

Ciò premesso, si deve ancora ricordare che ci troviamo oggi non in una fase dibattimentale, ma nell’ambito di una discussione che investe il potere cautelare dell’autorità giudiziaria; il che significa che la valutazione degli indizi di colpevolezza deve essere condotta con minor rigore rispetto a quanto deve avvenire nell’ambito del giudizio di condanna. (Per l’emissione di una misura cautelare personale è sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli. Cassazione penale, sez. 2, 13 marzo 2008, n. 13505.

In materia di misure cautelari personali, il requisito della gravità degli indizi di colpevolezza non può essere ritenuto insussistente sulla base di una valutazione separata dei vari dati probatori, dovendosi invece verificare se gli stessi, coordinati e apprezzati globalmente secondo logica comune, assumano la valenza richiesta dall’art. 273 c.p.p.. Ciò in considerazione della natura stessa degli indizi, quali circostanze collegate o collegabili a un determinato fatto che non rivelano, se esaminate singolarmente, un’apprezzabile inerenza al fatto da provare, essendo ciascuno suscettibile di spiegazioni alternative, ma che si dimostrano idonee a dimostrare il fatto se coordinate organicamente. Cassazione penale, sez. 4, 04 marzo 2008, n. 15198).

Trattasi di affermazione che trova la sua fonte normativa dell’art. 273 c.p.p. che, al comma uno bis, richiama l’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4 e non invece il numero due, che richiede una particolare qualificazione degli indizi (non solo gravi, ma anche precisi e concordanti). Anche questa Corte (Cassazione penale , sez. 4, 06 luglio 2007, n. 37878) ha già ricordato che in tema di misure cautelari personali, la nozione di "gravi indizi di colpevolezza" di cui all’art. 273 c.p.p. non si atteggia allo stesso modo del termine "indizi" inteso quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza, che sta a indicare la "prova logica o indiretta", ossia quel fatto certo connotato da particolari caratteristiche (v. art. 192 c.p.p., comma 2), che consente di risalire a un fatto incerto attraverso massime di comune esperienza.

Per l’emissione di una misura cautelare, invece, è quindi sufficiente qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli. Gli indizi, dunque, ai fini delle misure cautelari non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall’art. 192 c.p.p., comma 2.

Quanto alla chiamata di correo, questa Corte ritiene che ai fini dell’adozione di misure cautelari personali, le dichiarazioni rese dal coindagato o coimputato del medesimo reato o da persona indagata o imputata in un procedimento connesso o collegato possano costituire grave indizio di colpevolezza, ex art. 273 c.p.p., commi 1 e 1 bis, soltanto se, oltre ad essere intrinsecamente attendibili, siano sorrette da riscontri esterni individualizzanti, sì da assumere idoneità dimostrativa in relazione all’attribuzione del fatto-reato al soggetto destinatario della misura, fermo restando che la relativa valutazione, avvenendo nel contesto incidentale del procedimento "de libertate" e, quindi, allo stato degli atti, deve essere orientata ad acquisire non la certezza, ma la elevata probabilità di colpevolezza del chiamato (Cassazione penale, sez. un., 30 maggio 2006, n. 36267);

sotto tale profilo non pare potersi ritenere che il provvedimento impugnato sia censurabile per violazione delle regole previste dagli artt. 192 e 195 c.p.p.. Non potendosi questa Corte sostituire nel giudizio di merito operato dal tribunale, si deve invece prendere atto che il tribunale di Napoli, dopo aver riportato alcuni passi delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, ed in particolare quelli inizialmente oggetto di contrasto, ha poi spiegato i motivi per cui ha ritenuto sufficienti i riscontri alle dichiarazioni accusatorie del P..

Il tribunale giunge, infine, ad affermare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in capo al B. in conformità ai principi di diritto enunciati da questa Corte e con una valutazione di attendibilità – sui fatti oggetto di giudizio – dei collaboratori condotta con procedimento logico e con motivazione che, condivisibili o meno, risultano esenti da vizi logici o interpretativi.

Sebbene la motivazione sia necessariamente succinta, trattandosi di procedimento cautelare e non di sentenza di condanna, il tribunale ha ritenuto di riscontrare gravi indizi, idonei al mantenimento della custodia cautelare, sulla base delle dichiarazioni accusatorie del P.R., le quali sono de relato solo con riferimento alla fase dell’esecuzione del delitto, mentre egli riferisce di fatti appresi direttamente in relazione alla programmazione dell’omicidio.

E poichè vi è assoluta coincidenza tra la programmazione dell’omicidio, di cui il P. ebbe diretta conoscenza, e poi la materiale esecuzione dello stesso, questo costituisce una prima conferma intrinseca di coerenza della dichiarazione del collaboratore di giustizia. Ma la fonte di conoscenza del P. non è solo lo S., quanto alla confessione relativa alla fase esecutiva, bensì anche il M.M., diretto partecipante all’omicidio, con funzione di specchiettista e di recupero auto ed armi. E non è vero che il P. rende dichiarazioni contraddittorie, in quanto in entrambe indica il B.F. come compartecipe dell’omicidio specificando, nell’ultimo interrogatorio del 10 settembre 2010, che anche il B.F., già indicato in precedenza come esecutore, gli aveva riferito particolari relativi all’omicidio del L..

Quanto al fatto che la Corte d’appello di Palermo indica come riscontro la dichiarazione del V., trattasi evidentemente di un lapsus calami che non inficia la motivazione; come già evidenziato dalla difesa, il riferimento è da intendersi al Pe., il quale effettivamente riscontra le dichiarazioni del P. e perciò ne costituisce conferma.

Quanto al fatto che L.P., sottoposto ad intercettazione ambientale, fa i nomi dei partecipanti all’omicidio senza indicare il B., mentre per il Pe. sono gli stessi fratelli L. a dirgli che il B. aveva partecipato all’omicidio, non si tratta di elemento contraddittorio, quanto piuttosto di lieve discordanza che non inficia il riscontro preciso costituito dalle dichiarazioni del Pe.. Senza contare che il Pe. indica come propria fonte entrambi i fratelli L., mentre sarebbe solo il Pi. a "non ricordare" il B. nella captazione ambientale su richiamata.

In conclusione, ribadito che la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza spetta al tribunale, mentre questa Corte deve limitarsi ad un controllo di legittimità, e considerato che la valutazione del materiale istruttorio è stata compiuta con motivazione sufficiente, logica, congrua e con corretta applicazione delle norme previste dall’art. 192 c.p.p., e segg., ne consegue il rigetto del ricorso proposto da B.F. e la condanna alle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso proposto da B.F. e lo condanna alle spese processuali.

Dispone che copia del presente provvedimento sia trasmesso, a cura della cancelleria, al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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