Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 13-02-2012, n. 1987 Giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte:

quanto segue con atto notificato a mezzo del servizio postale il 23/11/2010, la srl Le Cafè ha proposto ricorso contro la sentenza in epigrafe indicata, di cui ha chiesto la cassazione con ogni consequenziale statuizione.

La spa Equitalia ESATRI e l’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale (d’ora in avanti INPS) hanno resistito con separati controricorsi e depositata memoria dalla ricorrente, la causa è stata decisa all’esito della pubblica udienza del 31/1/2012.

Motivi della decisione

Dalla lettura della sentenza impugnata, del ricorso e dei controricorsi emerge pacificamente in fatto che all’esito di una verifica iniziata nel novembre 2000, gli ispettori dell’INPS hanno contestato alla srl Garma Shop il mancato versamento dei contributi per una serie di lavoratori subordinati utilizzati in due esercizi commerciali di Venezia nel corso degli anni 1995/2000.

Il 20/4/2001, la Garma Shop ha presentato ricorso amministrativo contro i relativi verbali di accertamento, concludendo per il loro annullamento previa sua audizione a difesa.

L’INPS non ha, però, riscontrato il ricorso ed ha fatto notificare alla Garma Shop, nel frattempo ridenominata Le Cafè, le cartelle nn. (OMISSIS), con le quali è stato rispettivamente richiesto il pagamento dei contributi al Servizio Sanitario Nazionale e quelli previdenziali dovuti per il periodo sopraindicato.

La srl Le Cafè ha proposto distinte opposizioni, riunite le quali il Tribunale di Venezia ha declinato la giurisdizione su quella concernente i contributi al Servizio Sanitario, accogliendo l’altra soltanto nella parte relativa alla prescrizione delle pretese anteriori al marzo 1996.

La srl Le Cafè si è allora gravata alla Corte di appello, la quale ha in primo luogo ricordato, a proposito della cartella n. (OMISSIS), che la giurisdizione del giudice tributario in tema di contributi al SSN era già stata dichiarata dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 123 del 2007.

Quanto alla cartella n. (OMISSIS), ha osservato invece la Corte che l’eccezione d’intervenuta decadenza dell’iscrizione a ruolo non teneva conto delle proroghe disposte dalla L. n. 289 del 2002 e L. n. 350 del 2003, mentre quelle di tardività della notifica e di mancanza della motivazione risultavano innanzitutto inammissibili, perchè non proposte nei cinque giorni dalla ricezione della cartella e, comunque, infondate, in quanto il concessionario aveva rispettato i termini previsti, redigendo l’atto sulla scorta delle indicazioni contenute nel D.M. n. 321 del 1999.

Chiarito quanto sopra e puntualizzato, altresì, che l’obbligo dell’audizione a difesa riguardava fattispecie diverse da quella in esame, cui non si applicavano le norme della L. n. 689 del 1981 invocate dalla srl Le Cafè, la Corte ha poi rammentato che tutti i dipendenti in questione avevano svolto attività di cameriere, banconiere o interno di cucina ed erano stati regolarizzati come lavoratori occasionali perchè, a detta dell’appellante, si era trattato di prestazioni discontinue rese da soggetti non disponibili a rapporti duraturi in quanto studenti, persone di passaggio o casalinghe con figli piccoli.

Vertendosi su aspetti indisponibili, però, la volontà delle parti non risultava affatto decisiva, al pari, d’altronde, della saltuarietà e della breve durata dei rapporti, atteso che quelli che realmente contavano ai fini dell’accertamento della loro natura subordinata erano altri e differenti elementi sintomatici quali, per esempio, l’inserimento nella organizzazione aziendale, la soggezione alle direttive dei superiori, l’osservanza obbligatoria di un orario e la commisurazione ad esso della retribuzione.

Orbene, l’esistenza in concreto dei predetti indici poteva dirsi certamente acquisita non soltanto perchè oggetto di una presunzione semplice non superata dalla srl Le Cafè (che non aveva spiegato come potesse farsi il cameriere senza coordinarsi con gli altri colleghi nella divisione dei compiti o nei tempi o nel vestiario e quanto altro), ma anche perchè le persone interrogate (fra cui due direttori pro tempore degli esercizi commerciali) avevano concordemente deposto in tal senso, escludendo qualsiasi diversità fra gli "occasionali" ed i restanti dipendenti per quel che concerneva il contenuto e le modalità di svolgimento del lavoro, l’orario del medesimo ed il suo compenso.

Per la verità, ha riconosciuto la Corte, non tutte le persone coinvolte avevano reso testimonianza, ma la loro escussione non risultava necessaria perchè l’univocità delle dichiarazioni degli altri e la loro concordanza con l’analitica e dettagliata ricostruzione effettuata dagli ispettori dell’INPS relativamente al "periodo, mansioni, orario e compenso" dei vari rapporti lavorativi apparivano sufficienti a dimostrarne la natura subordinata che, oltretutto, era stata contestata dalla interessata con deduzioni probatorie "per un verso generiche ed indeterminate e, per l’altro verso, irrilevanti".

In considerazione di ciò nonchè del fatto che le sanzioni erano state calcolate in base alla L. n. 388 del 2000 e non si ravvisavano ragioni per ridurle in misura pari agli interessi legali, la Corte di appello ha rigettato il gravame, condannando la soccombente al pagamento delle spese di lite.

La srl Le Cafè ha proposto ricorso per cassazione articolato in sei motivi, dei quali il primo relativo alla cartella n. (OMISSIS) e i successivi cinque alla cartella n. (OMISSIS).

Con il primo motivo, la ricorrente ha infatti sostenuto che il pagamento dei contributi al Servizio Sanitario costituiva un’obbligazione nascente dal rapporto di lavoro, su cui la Corte di appello avrebbe dovuto riconoscere l’esistenza della propria giurisdizione malgrado la contraria previsione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2 e succ. mod., che su tale punto si poneva in contrasto con l’art. 102 e la 6^ disposizione transitoria della Costituzione, in quanto assegnava alle Commissioni Tributarie la cognizione di controversie che non avevano niente a che vedere con i tributi.

Con il secondo motivo, la ricorrente ha insistito sulla tardività della iscrizione a ruolo e della notificazione della cartella, sostenendo che in base alla normativa vigente al momento della consegna degli accertamenti, l’INPS avrebbe dovuto formare i ruoli entro il 31/12/2002, mentre invece vi aveva provveduto soltanto nell’anno 2003, quando si era oramai già verificata la decadenza, che contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello, non era stata sanata dalle successive L. n. 289 del 2002 e L. n. 350 del 2003, perchè prive di efficacia retroattiva ed inidonee, in ogni caso, a superare il divieto di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 3, introduttiva dello Statuto del contribuente, secondo il quale non era consentita la proroga dei "termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti d’imposta".

Con il terzo motivo, la srl Le Cafè ha lamentato che a fronte della sua motivata eccezione di cripticità della cartella, la cui lettura non permetteva assolutamente di comprendere le ragioni della pretesa avversa e di difendersi da essa, la Corte di appello si era limitata ad affermarne l’infondatezza (per conformità dell’atto al modello ministeriale) ed, ancor prima, l’inammissibilità ex art. 617 cod. proc. civ., che, invece, non era applicabile, trattandosi di doglianza attinente al profilo sostanziale del titolo esecuitivo e, perciò, deducibile nei tempi ordinari e non nei cinque giorni dalla ricezione dell’atto.

Con il quarto motivo, la ricorrente ha ribadito che l’omessa "audizione della Garma Shop a(veva) rappresentato una palese violazione di legge e delle garanzie di difesa", in conseguenza della quale i giudici dell’opposizione avrebbero dovuto dichiarare l’illegittimità dell’iscrizione a ruolo effettuata dall’INPS cui, se fosse stata sentita, la Garma Shop avrebbe potuto "evidenziare che gli addebiti erano errati, ricomprendendo anche soggetti" assolutamente non qualificabili come lavoratori subordinati.

Con il quinto motivo, la srl Le Cafè ha dedotto l’erronea ed insufficiente motivazione sulla natura dei rapporti, cui la Corte di appello aveva attribuito carattere subordinato sulla base delle dichiarazioni di alcuni soltanto dei protagonisti (che, oltretutto, non avrebbero potuto nemmeno testimoniare perchè interessati personalmente alla vicenda) e dei verbali degli ispettori dell’INPS, che non potevano avere "il valore di vero e proprio accertamento" e, per di più, apparivano pure scarsamente affidabili perchè indicavano come subordinati anche il portiere dello stabile, che si occupava soltanto della rotazione dei sacchi della spazzatura e la signora che, in casa propria, eseguiva il lavaggio e la stiratura delle tovaglie.

Con il sesto motivo, la ricorrente ha infine dedotto che malgrado la vigenza del nuovo regime sanzionatorio di cui alla L. n. 388 del 2000, l’INPS non ne aveva fatto applicazione perchè, diversamente da quanto creduto dalla Corte di appello, si era ostinato a pretendere le somme aggiuntive e gli interessi di mora "conteggiati (presumibilmente) secondo il regime di cui alla precedente L. n. 662 del 1996".

Tali essendo le doglianze della ricorrente, di cui l’INPS e la spa Equitalia ESATRI hanno sostenuto l’inammissibilità o, comunque, l’infondatezza, osserva il Collegio che con sentenza n. 2871 del 2009, queste Sezioni Unite hanno affermato la natura tributaria dell’abrogato contributo al Servizio Sanitario Nazionale, stabilendo che le controversie ad esso relative rientravano nella giurisdizione delle Commissioni Tributarie anche prima ed indipendentemente dall’emanazione della L. n. 448 del 2001, art. 12, che nel confermare espressamente tale attribuzione non ha perciò violato alcuna norma costituzionale, data, per l’appunto, la natura fiscale delle questioni concernenti l’anzidetto contributo.

Ribadita, pertanto, la giurisdizione dei giudici tributari sulla opposizione alla cartella n. (OMISSIS), il primo motivo del ricorso dev’essere di conseguenza rigettato, con rimessione delle parti davanti alla Commissione Provinciale competente per territorio.

Quanto al secondo motivo, va in primo luogo puntualizzato che non vertendosi in materia tributaria non ha pregio richiamarsi al divieto di proroga dei termini di prescrizione e decadenza introdotto dal comma 3 dell’art. 3 dello Statuto del contribuente che, comunque, non ha un rango superiore a quello della legge ordinaria, di cui non può perciò consentire la disapplicazione (C. Cass. 8254 del 2009 e 8145 del 2011).

Tanto chiarito, occorre considerare che in base al combinato disposto del D.Lgs n. 46 del 1999, art. 25 (secondo il quale i contributi ed i premi dovuti in base agli accertamenti degli uffici devono essere iscritti a ruolo entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello della notifica dell’accertamento) e della L. n. 388 del 2000, art. 78 (secondo il quale il predetto termine si applicava agli accertamenti notificati, come quello di specie, dopo il 1/1/2001), la decadenza dell’INPS dal potere d’iscrivere a ruolo le somme dovute dalla srl Le Cafè non si sarebbe consumata prima delle ore 24 del 31 dicembre 2002.

A partire dal primo istante del giorno successivo e, dunque, senza soluzione di continuità, è però entrata in vigore la disposizione della L. n. 289 del 2002, art. 38, che differendo l’applicabilità dei termini di cui al predetto art. 25 agli accertamenti notificati dopo il 1/1/2003 ha finito col "salvare" senza soluzione di continuità l’iscrizione a ruolo del credito vantato dall’INPS nei confronti della ricorrente (v., per una fattispecie analoga in tema d’imposte sui redditi C. cass. n. 3393 del 2008 ed, in tema di ICI, C. Cass. nn. 13342 del 2009, 8861 e 13143 del 2010 e 3157 del 2011).

Il secondo motivo risulta pertanto infondato nella parte relativa alla pretesa decadenza dell’INPS dal potere di effettuare l’iscrizione a ruolo, mentre va dichiarato inammissibile nella parte relativa all’eccezione di tardività della notifica della cartella, che il Tribunale ha ritenuto inammissibile perchè con "essa si solleva(va) una censura formale per la quale avrebbe dovuto essere proposta opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., nei relativi termini perentori".

A fronte di tale esplicita qualificazione del giudice (che è l’unica rilevante ai fini dell’individuazione del mezzo d’impugnazione esperibile: v., fra le ultime, C. cass. nn. 186, 390, 3712 e 4617 del 2011) la srl Le Cafè avrebbe dovuto presentare ricorso per cassazione per cui, avendo invece proposto appello, non può più pretendere di rimettere in discussione la questione, ormai chiusa per intervenuto giudicato.

Non varrebbe, infatti, in contrario replicare che non si era trattato di più pronunce, ma di un solo provvedimento non suscettibile di separate impugnazioni, perchè questa Corte ha stabilito che "quando le contestazioni della parte si configurino, nello stesso procedimento, come opposizione all’esecuzione ed opposizione agli atti esecutivi, si deve ritenere che la sentenza, formalmente unica, contenga due decisioni distinte, soggette rispettivamente ad appello ed a ricorso per cassazione (C. Cass. nn. 13655 del 2006 e 20816 del 2009).

Il terzo motivo è anch’esso infondato, in quanto la qualifica di opposizione agli atti esecutivi, data dalla Corte di appello alla censura riguardante la motivazione della cartella, risulta in linea con la giurisprudenza di questa Corte, che con sentenza n. 25208 del 2009 ha stabilito che "in tema di riscossione mediante iscrizione a ruolo dei crediti previdenziali, ai sensi del D.Lgs n. 46 del 1999, la contestazione dell’assoluta indeterminatezza della cartella di pagamento integra un’opposizione agli atti esecutivi di cui all’art. 29, comma 2 del D.Lgs citato…".

Ugualmente in linea con la giurisprudenza di legittimità è anche l’altra affermazione della Corte di appello secondo cui le norme dettate sull’audizione a difesa dalla L. n. 689 del 1981 non potevano ritenersi applicabili al caso di specie.

Con sentenza n. 1584 del 2010, questa Corte ha infatti stabilito che in tema di omissioni contributive, ia disciplina fissata dal D.Lgs. n. 46 del 1999 "esclude l’applicabilità della procedura di cui alla L. n. 689 del 1981 e la necessità di atti prodromici per la validità della riscossione" (v., in tal senso, anche C. cass. n. 17096 del 2010, secondo la quale in caso di gravame amministrativo contro l’accertamento, la mancata pronuncia sui di esso equivale a silenzio rigetto, che rimuove ogni ostacolo all’iscrizione a ruolo).

Trattandosi di principi che il Collegio condivide e ribadisce, anche il quarto motivo va, pertanto, rigettato.

Parimenti da rigettare è anche il quinto motivo, a proposito del quale giova premettere che l’incapacità dei testimoni non risulta essere stata dedotta nella precedente fase e che nel ricorso non sono indicati elementi tali da dimostrare la ricomprensione anche del portiere e della lavandaia nel novero degli "occasionali" presi in esame dagli accertamenti e dalla sentenza impugnata.

Ciò posto, rimane unicamente da aggiungere che la Corte di appello non ha errato nell’attribuire valore di prova ad atti che, invece, non l’avevano, ma si è basata su di una valutazione complessiva ed integrata degli elementi istruttori, alla luce dei quali ha diffusamente e coerentemente spiegato i motivi per i quali ha creduto di poter condividere la valutazione del primo giudice in ordine al fatto che "la forma della collaborazione occasionale non era utilizzata in relazione a diverse modalità lavorative, ma piuttosto – generalmente – in ragione della minore anzianità di servizio del lavoratore, quasi si trattasse di una sorta di prova senza rispetto delle condizioni previste dalla legge".

Trattandosi di giudizio immune da vizi logici e giuridici e, perciò, non sindacabile in questa sede, non resta che passare all’esame del sesto motivo, che va dichiarato inammissibile perchè in base al principio di autosufficienza del ricorso, la srl Le Cafè non avrebbe potuto limitarsi a lamentare l’indebita applicazione della vecchia normativa sanzionatoria, ma sarebbe stata tenuta ad esporre specificamente le ragioni per cui poteva ritenersi che malgrado la contraria indicazione contenuta nella cartella e le rassicurazioni fornite al riguardo dall’INPS, quest’ultimo non avesse in realtà preteso le pene pecuniarie previste dalla L. n. 388 del 2000, bensì quelle di cui alla precedente L. n. 662 del 1996.

Il ricorso va, quindi, rigettato e la srl Le Cafè condannata al pagamento delle spese di lite, che si liquidano, per ciascuna parte controricorrente, in complessivi Euro 5.700,00, Euro 200,00 dei quali per esborsi, oltre gli accessori di legge.

P.Q.M.

LA CORTE A SEZIONI UNITE dichiara la giurisdizione dei giudici tributari sulla opposizione alla cartella per il pagamento dei contributi al SSN, rimette a tal fine le parti davanti alla Commissione Provinciale competente per territorio, rigetta il ricorso e condanna la srl Le Cafè al pagamento delle spese di lite, liquidando le stesse, per ciascuna parte controricorrente, in complessivi Euro 5.700,00, Euro 200,00 dei quali per esborsi, oltre gli accessori di legge.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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