Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 13-02-2012, n. 1985

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte, osserva quanto segue.

Con atto notificato il 10-11/5/2011, la spa Enel Green Power ha proposto ricorso contro la sentenza in epigrafe indicata, chiedendone la cassazione con ogni consequenziale statuizione.

Mentre il Comune di Castellafiume non ha svolto attività difensiva, la Regione Abruzzo, il Comune di Ovindoli e la spa Consorzio Acquedottistico Marsicano hanno resistito con separati controricorsi.

La cancelleria ha provveduto alle comunicazioni di rito e depositata memoria da parte della ricorrente e del Consorzio Acquedottistico Marsicano, la controversia è stata decisa all’esito della pubblica udienza del 17/1/2012.

Motivi della decisione

Dalla lettura della sentenza impugnata, del ricorso e del controricorso emerge in fatto che molti anni orsono, la Cassa per il Mezzogiorno (poi divenuta Agenzia per la Promozione dello Sviluppo del Mezzogiorno) ha iniziato a prelevare acqua per uso potabile da numerose sorgenti tributarie del bacino idrografico del fiume Liri, lungo il quale l’Enel aveva in precedenza installato alcuni impianti per la produzione di energia elettrica.

Trattandosi di derivazione senza titolo concessorio, che diminuiva l’acqua a disposizione degli stabilimenti, l’Enel ha convenuto l’Agenzia per il Mezzogiorno davanti al Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche di Roma, che in parziale accoglimento della domanda l’ha condannata al risarcimento dei danni cagionati fino al 30/6/1987.

Passata in giudicato la relativa sentenza, l’Enel si è rivolta nuovamente al TRAP di Roma per ottenere il risarcimento degli ulteriori danni subiti a partire dal 1/7/1987.

L’azione è stata proposta contro il Ministero dei Lavori Pubblici (nel frattempo subentrato all’Agenzia per il Mezzogiorno), La Regione Abruzzo ed il Consorzio Comprensoriale della Marsica per la Gestione di Opere Acquedottistiche. Chiamati successivamente in causa dall’Enel anche i Comuni di Ovindoli e Castellafiume, veniva disposta CTU integrata da successivi chiarimenti, all’esito dei quali il TRAP ha rigettato la domanda in quanto, premesso che il giudicato del 1889 non poteva spiegare nessun effetto vincolante sulla controversia anche perchè, alla luce delle sopravvenute modifiche normative, le concessioni per uso idropotabile dovevano prevalere su qualunque altra, mancava in ogni caso la prova che la captazione di cui si discuteva avesse realmente provocato una diminuzione della produzione dell’Enel che, in ogni caso, aveva avuto la possibilità di scaricare le proprie perdite sui consumatori finali attraverso un semplice aumento delle tariffe.

La spa Enel Produzione, in proprio e quale procuratrice di ENEL spa, si è gravata al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, che con la sentenza in epigrafe indicata ha innanzitutto riaffermato il principio secondo il quale la derivazione non autorizzata concretava senz’altro un fatto illecito al quale, però, non poteva attribuirsi natura permanente, ma istantanea con effetti continuati.

Riconosciuta, perciò, la fondatezza dell’eccezione di prescrizione per tutto quanto atteneva il periodo precedente il quinquennio anteriore alla domanda, il giudice a quo ha poi aggiunto, a proposito di quello successivo, che la richiesta formulata nei confronti del Ministero delle Infrastrutture (subentrato a quello dei Lavori Pubblici) risultava "sicuramente infondata", essendo incontroverso in causa che l’Agenzia per il Mezzogiorno non aveva più la disponibilità degli acquedotti con cui si captava l’acqua dalle sorgenti perchè già trasferiti fin da prima ad altri enti.

Quanto ai restanti appellati, andava invece rilevato che il TRAP aveva fondato il rigetto della richiesta di risarcimento sulla mancanza di prova in ordine all’asserita riduzione della produzione ed alla sua riconducibilità al comportamento dei convenuti.

L’ appellante aveva, per la verità, sostenuto l’infondatezza delle affermazioni dei primi giudici, ma non aveva chiarito in cosa era consistitoil loro errore, "pretendendo una diversa regolazione dell’onere della prova che", giustamente, il TRAP aveva posto a loro carico, "trattandosi di responsabilità da illecito extracontrattuale", che richiedeva dal danneggiato "non solo la prova del fatto illecito, ma anche del danno e del nesso eziologico tra la condotta e l’evento". Tale articolata prova non era stata invece fornita dalle società onerate, atteso che il danno non era stato dimostrato "se non in via astratta ed ipotetica, cioè in ordine alla produttività degli impianti e non alla loro concreta produzione" e che la sussistenza del nesso eziologico non appariva sicura a causa "della inattività della centrale… in più fasi decisa dalla stessa Enel e della dispersione dell’energia" ottenuta, che non aveva potuto essere immessa negli elettrodotti perchè la capienza degli stessi era già stata "più volte esaurita dall’energia ottenuta termicamente o altrove". Tenuto conto di quanto sopra e considerato che l’obiezione dell’ appellante, secondo la quale l’esistenza di prezzi imposti non permetteva di riversare sull’utente finale i maggiori costi affrontati per sopperire al calo della produzione idrica, non valeva ad escludere la possibilità di un siffatto spostamento, essendo "certo e logico che gli organi" deputati a tare determinazione avessero soppesato anche l’eventualità di una captazione illecita dell’acqua, il TSAP ha ribadito che nel caso di specie difettavano le condizioni per imputare con sicurezza alle parti appellate la causazione di un danno che, oltretutto, risultava sostanzialmente impossibile da liquidare. La spa Enel Green Power (cui l’Enel Produzione aveva conferito le centrali in discussione), ha proposto ricorso per cassazione, deducendo con il primo motivo la contraddittorietà e la perplessità della motivazione su punti decisivi del giudizio, in quanto una volta accertata l’illiceità della captazione dell’acqua, che se non fosse stata sottratta sarebbe confluita per forza d’inerzia negli impianti, determinando automaticamente un corrispondente aumento della produzione di energia, il TSAP avrebbe dovuto riconoscere che il danno era in re ipsa e procedere, quindi, alla sua quantificazione che, contrariamente a quanto affermato dal giudice a quo, non risultava affatto impossibile.

Con il secondo motivo, la ricorrente ha dedotto la violazione degli artt. 1226, 2043 e 2697 cod. civ., nonchè dell’art. 115 cod. proc. civ., perchè partendo dal presupposto che il ciclo produttivo venisse periodicamente fermato per libera scelta dell’Enel e che per l’incapienza degli elettrodotti quest’ultimo fosse stato più volte costretto a disperdere una parte dell’energia prodotta, il TSAP aveva finito per fondare la propria decisione su circostanze non provate che avrebbero dovuto essere dimostrate dalle controparti e che, comunque, risultavano del tutto estranee alla fattispecie tipica del danno illecito, la cui eventuale difficoltà di liquidazione non avrebbe potuto in alcun caso condurre al rigetto della domanda ma, tutt’al più, al suo accoglimento in via equitativa.

Con il terzo motivo, la ricorrente ha dedotto la violazione degli artt. 2697, 1223, 2056 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ, nonchè l’errata applicazione del principio della compensatio lucri cum damno, in quanto non sarebbe toccato all’Enel, ma semmai alle controparti il compito di fornire la prova dei criteri seguiti dalle autorità deputate alla fissazione dei prezzi, che diversamente da quanto ritenuto dal giudice a quo senza il minimo supporto probatorio, non avevano tenuto affatto conto delle possibili captazioni di terzi ed anche se lo avessero fatto, aumentando in anticipo i corrispettivi, non per questo avrebbero privato l’Enel della possibilità di richiedere il risarcimento, trattandosi di un’ entrata non riconducibile al medesimo fatto che aveva prodotto il danno. Con il quarto motivo, la ricorrente ha dedotto la illogicità della motivazione nonchè la violazione della L. n. 481 del 1995, art. 3 e del D.Lgs. n. 79 del 1999, artt. 1, 2, 4, 5 e 6 perchè l’ipotesi che nella quantificazione dei prezzi si fosse tenuto conto pure dell’ eventualità di una sottrazione illecita dell’acqua risultava non solo indimostrata, ma anche contraria alle vigenti disposizioni legislative, che ai fini della determinazione delle tariffe non menzionavano in alcun modo i costi necessari per fare fronte a simili accadimenti. La Regione Abruzzo ha resistito, eccependo l’inammissibilità delle censure concernenti la motivazione e l’infondatezza di quelle relative a pretese violazioni di legge che il TSAP non aveva, in realtà, mai commesso.

Anche il Consorzio Acquedotitistico Marsicano ha depositato controricorso, con il quale ha richiesto alla Suprema Corte di voler confermare la statuizione finale del TSAP, correggendone però la motivazione nella parte in cui aveva affermato l’illegittimità della derivazione, che in quanto compiuta da soggetti pubblici per approvvigionare di acqua potabile la popolazione doveva, invece, ritenersi pienamente lecita pure in difetto di apposito titolo concessone Analoga tesi è stata infine sostenuta pure dal Comune di Ovindoli, che ha eccepito anche la insindacabilità della motivazione adottata dal TSAP, nonchè la infondatezza delle doglianze di controparte.

Tanto ricordato e passando all’esame dei motivi di ricorso, che possono essere congiuntamente affrontati per via della loro intima connessione, occorre ulteriormente premettere che l’accoglimento della domanda di risarcimento presupponeva innanzitutto l’accertamento di un comportamento illecito dei convenuti, la cui esistenza è stata, come si è visto, affermata dal TSAP anche sulla base di un precedente di queste Sezioni Unite.

Il Consorzio Acquedottistico Marsicano ed il Comune di Ovindoli hanno sostenuto nel controricorso la erroneità della valutazione del TSAP, ma la questione, pur costituendo effettivamente un problema ontologicamente preliminare ad ogni discussione sulla esistenza ed imputabilità del danno, non può essere riesaminata in questa sede perchè, a tal fine, sarebbe stata necessaria la proposizione di un ricorso incidentale che, nella specie, non è stato però presentato nè dal Comune nè dal Consorzio.

Ciò posto e premesso, altresì, che a seguito delle innovazioni introdotte nell’art. 360 cod. proc. civ. dal D.Lgs. n. 40 del 2006, le pronunce del TSAP depositate, come quella in esame, dopo la data di entrata in vigore del succitato decreto possono essere impugnate anche per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, rimane unicamente da aggiungere quanto già evidenziato nella precedente (pressochè identica), controversia decisa con sentenza n. 24079 del 2011 e, cioè, che la sottrazione di acqua a monte di una centrale idroelettrica comporta, ovviamente, una diminuzione di quella che arriva a valle per l’alimentazione degli impianti.

Essendo, quindi, per ciò solo potenzialmente idonea a provocare una riduzione dell’energia producibile, essa integra una presunzione semplice di danno che se da un lato non assurge a circostanza che il gestore può limitarsi a far valere in giudizio per ottenere in automatico una sorta di rendita di posizione, dall’altro impedisce che i responsabili della captazione riescano a sottrarsi alla loro responsabilità senza una prova contraria sufficientemente specifica e rigorosa.

Nel caso di specie non è sorto problema sul fatto oggettivo che una parte dell’acqua destinata all’ENEL sia stata invece captata dalle sue controparti, ma nonostante ciò il TSAP ha rigettato il gravame perchè avuto riguardo alle ripetute dispersioni di energia ed alle volontarie interruzioni del ciclo produttivo, di cui gli organi preposti alla fissazione dei prezzi al consumo avevano senz’altro tenuto conto, non era affatto "certo che la condotta degli appellati a(vesse) provocato essa i danni pretesi e che quest’ultimi (fossero) liquidabili in una misura certa e sicura".

Così statuendo, il TSAP ha però finito con legittimare sostanzialmente l’azione illecita dei responsabili della captazione, mandandoli assolti con una sentenza che oltre a porsi in contrasto con il chiaro disposto dell’art. 1226 cod. civ., secondo il quale la difficoltà di liquidazione del danno non può influire sull’an, ma unicamente sul quantum del risarcimento, non spiega in modo adeguato le ragioni per le quali il giudice a quo ha ritenuto di poter escludere ogni danno. Essa si esaurisce, infatti, in considerazioni di carattere generale prive di reale capacità dimostrativa perchè sganciate da concreti riferimenti a dati che, invece, sarebbero stati basilari, quali, per esempio, la capacità produttiva massima degli impianti, il volume dell’ acqua captata, la quantità di energia da essa ritraibile, il numero dei giorni di chiusura delle centrali, l’entità del conseguente calo produttivo e le ragioni per cui il medesimo poteva ricondursi ad una libera scelta del gestore, la energia complessivamente dispersa ed i motivi che consentivano di ritenere la perdita già preventivamente calcolata ed assorbita nei prezzi di somministrazione. In accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata dev’essere pertanto cassata con rinvio, per un nuovo esame, al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, il quale provvederà, in diversa composizione, anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte, a Sezioni Unite, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, per un nuovo esame, al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, il quale provvederà, in diversa composizione, anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.

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