Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 26-05-2011) 28-09-2011, n. 35180 Associazione per delinquere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Nell’ambito di un più ampio procedimento, finalizzato all’accertamento delle attività illecite di un’associazione dedita al traffico di stupefacenti, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Cagliari ha disposto l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti, fra gli altri, di P.T..

Individuato il compendio indiziario a suo carico, ha ravvisato il giudicante la sussistenza delle esigenze cautelari sotto il profilo del pericolo di reiterazione dei reati in virtù della presunzione di pericolosità e di inadeguatezza di ogni altra misura, stabilita dall’art. 275 c.p.p., comma 3 a carico degli imputati del delitto, fra gli altri, di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74.

Ha osservato, infatti, che dagli atti processuali non era dato trarre elementi dimostrativi dello scioglimento del gruppo criminoso di appartenenza del P..

Il Tribunale del riesame, adito dall’indagato, ha invece ritenuto di poter escludere il pericolo di recidivanza; e ciò in base a diversi elementi ritenuti idonei a vincere la presunzione di legge, e costituiti: dal lungo tempo – oltre un quinquennio – decorso dall’epoca dei fatti; dal ruolo non di primo piano rivestito dal P. all’interno dell’associazione; dalla durata non particolarmente protratta dell’attività illecita; dalla mancanza di precedenti penali dell’indagato; dall’Intervenuto cambiamento del suo stile di vita, dimostrato anche dalla conduzione di un’attività lavorativa.

Ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari, deducendo censure riconducibili a quattro motivi.

Col primo motivo il P.M. ricorrente denuncia contraddittorietà della motivazione, là dove si afferma il ruolo non apicale del P. nell’ambito associativo e la discontinuità dell’apporto da lui fornito al sodalizio, pur riconoscendo la gravità degli indizi a suo carico.

Col secondo motivo lamenta non essersi considerato che le esigenze cautelari sono dalla legge commisurate alla gravità del fatto e alla sanzione irrogabile.

Col terzo motivo denuncia la disapplicazione della presunzione di pericolosità dettata dall’art. 275 c.p.p., comma 3.

Col quarto motivo si duole che il decorso del tempo sia stato valorizzato in modo apodittico e indimostrato, oltre tutto senza rapportarlo alla gravità del fatto e alla presunzione di legge.

Il ricorso è privo di fondamento e va disatteso.

Non sussiste alcuna contraddittorietà nel l’aver affermato che la partecipazione del P. al gruppo criminoso si è svolta senza continuità e nell’esercizio di un ruolo non apicale, pur riconoscendo la gravità degli indizi a suo carico; ha infatti ritenuto il Tribunale che il compendio indiziario formatosi a carico del P., costituito in prevalenza dalla captazione di conversazioni telefoniche e ambientali, dimostrasse bensì la sua partecipazione all’associazione criminosa, ma non l’assunzione di un ruolo direttivo all’interno di essa; e che la discontinuità dell’apporto da lui dato al sodalizio emergesse dalla cronologia stessa dei reati-fine addebitatigli – intervallati da significativi distacchi temporali – e dalla data finale della contestazione del reato associativo, facente capo al luglio 2005. Nessuna aporia logica è riscontrabile nel tessuto argomentativo or ora sinteticamente descritto, che pertanto resiste alla critica mossagli.

Il criterio di proporzionalità della misura cautelare rispetto alla gravità del fatto, canonizzato nell’art. 275 c.p.p., comma 2, non opera nel senso suggerito dal pubblico ministero ricorrente, secondo cui si dovrebbe sistematicamente far luogo alla misura di massimo rigore ogniqualvolta sussistesse la gravità indiziaria in ordine ai reati più severamente puniti: la norma è stata dettata al fine – opposto – di moderare l’intervento cautelare del giudice, prescrivendo che l’adozione di una misura non ecceda i limiti tracciati dall’entità del fatto ascritto e dalla pena concretamente irrogabile. L’argomento si rivela, comunque, estraneo al thema decidendum, non essendo qui in contestazione la scelta della misura da adottare, ma l’esistenza e l’attualità delle esigenze di carattere social-preventivo, che condizionano l’emissione stessa del provvedimento cautelare.

La disposizione contenuta nell’art. 275 c.p.p., comma 3 non è stata disapplicata dal Tribunale, ma anzi integralmente osservata; essa dispone che, quando sussistano "gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all’art. 51, commi 3 bis e 3 quater, nonchè in ordine ai delitti di cui all’art. 575 c.p.p., art. 600 bis c.p.p., comma 1, art. 600 ter c.p.p., escluso il comma 1, art. 600 quinquies c.p.p., è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari". Dalla lettura del testo è agevole constatare come il legislatore non abbia introdotto una presunzione assoluta, ma iuris tantum, così da rendere possibile la prova contraria. E proprio di tale prova contraria il giudice del riesame ha riscontrato gli estremi, basandosi bensì sulla considerazione del tempo trascorso dalla data ultima di manifestazione dell’attività criminosa ascritta al P., ma non in via esclusiva (contrariamente a quanto mostra di ritenere il ricorrente, alla stregua del suo quarto motivo); e soffermandosi piuttosto sulla valutazione della condotta da lui tenuta nell’epoca successiva a quella cui si riferisce l’imputazione; l’intervenuto cambiamento del suo stile di vita, concretatosi anche nell’avere intrapreso un’attività lavorativa, ha convinto quel collegio che si fosse rescisso il legame fra l’associazione criminosa e l’indagato, facendo venir meno la pericolosità sociale di costui. Siffatto convincimento, siccome adeguatamente motivato, non è soggetto a revisione in sede di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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