Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 20-05-2011) 28-09-2011, n. 35179

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza 17.11.2010,ex art. 309 c.p.p., il tribunale di Napoli ha confermato l’ordinanza 12.10.2010 del Gip del medesimo tribunale, con la quale era stata disposta la misura della custodia in carcere di P.E., in ordine al reato, in concorso, di tentato omicidio di Pa.Fr., nonchè ai connessi reati relativi alle armi, aggravati dalle modalità mafiose e dalla finalità di agevolare il clan dei Casalesi, nel caso di specie la fazione facente capo alla famiglia Bidognetti. Il tentativo di omicidio era diretto nei confronti di Pa.Fr., esponente del gruppo Cannello, antagonista del clan Bidognetti per il controllo del territorio.

Il difensore ha presentato ricorso per i seguenti motivi:

1. violazione di legge in riferimento all’art. 56 c.p. e vizio di motivazione.

Nel caso in esame non sussistono i presupposti del tentato omicidio, ma sono configurabili atti preparatori, privi del carattere strumentale rispetto alla realizzazione non ancora iniziata della esecuzione del delitto.

Gli indagati erano ancora nella fase della ricerca della vittima e quindi non sussiste il requisito dell’idoneità dei loro atti.

Inoltre, il presunto proposito omicidiario è stato abbandonato dagli stessi indagati, con una decisione autonoma ,al di fuori di alcuna incidenza di fattori esterni, nè l’intervento della polizia, effettuato il (OMISSIS) – in esecuzione del fermo di D.M., disposto il precedente 5 febbraio – può essere considerato tale, in ragione del fatto che, come affermato dal collaboratore C. A., esso si verificò successivamente alla decisione di abbandonare il proposito criminoso, ovvero allorquando, a seguito della decisione già presa, si erano recati nel ristorante, in cui poi è intervenuta la polizia.

2. vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, in relazione all’aggravante di aver commesso il fatto con metodologia mafiosa e a fine di agevolare il sodalizio camorristico denominato Clan Bidognetti.

Nell’ordinanza manca l’indicazione di specifici elementi dai quali si possa desumere che la prevenuta abbia fornito un contributo concreto al perseguimento dei fini dell’associazione criminale, nonchè la sussistenza del dolo specifico richiesto per la configurabilità dell’aggravante. Secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale, la finalità di agevolare il clan Bidognetti deve costituire motivo specifico della spinta criminosa, con la conseguenza che al dolo previsto per il delitto contestato devono accompagnarsi elementi dimostrativi o comunque rivelatori in modo univoco della voluta strumentalità dell’azione delittuosa. Sul punto l’ordinanza è del tutto carente e quindi l’ordinanza va cassata.

Il ricorso non merita accoglimento, in quanto la sussistenza del quadro indiziario ex art. 273 c.p.p. è stato fissato in maniera incontestabile dal provvedimento impugnato. Il collaboratore D. C.E. ha affermato che il giorno 16 febbraio, in cui la polizia era intervenuta presso il ristorante " (OMISSIS)" per eseguire il fermo di D.M.F., la persone che erano in compagnia di quest’ultimo ( L.G. e L. F., G.L. e lo stesso D.C.) si erano recati nel locale armati, perchè in quei giorni stavano dando la caccia al Pa., per ucciderlo. Gli incaricati dell’omicidio (i killer) erano stati ospitati in un immobile in costruzione – sito a (OMISSIS), comune di residenza del Pa. – di proprietà del D. C., che poi aveva posto fine all’ospitalità, ritenendo rischiosa la presenza prolungata di persone armate nel proprio immobile . Il collaboratore ha precisato che la scelta della propria abitazione come alloggio dei killer era stata effettuata dalla Pa., che si era recata in quella casa per preparare i letti.

Questo fatto è stato confermato da un altro collaboratore, C. A., che faceva parte del gruppo armato, ospitato dal D. C.. Il C., apprese da altro componente del gruppo, D. M.F., dell’incarico ricevuto di uccidere il P., detto (OMISSIS) e che avrebbero dormito nella casa in costruzione del D.C..

Nel corso dei cinque-sei giorni in cui dimorarono, la Pa. si era recata più volte per informarsi sulla vittima, che comunque non riuscivano a sorprendere.

Questa programmazione e questa fase esecutiva dell’omicidio sono confermate dalle conversazioni registrate, attraverso le captazioni effettuate sulle utenze usate dal D.M. e dai suoi compagni.

Da esse emergono la convivenza, l’attesa dei componenti del gruppo, gli appostamenti.

Da alcune conversazioni emerge inoltre l’incontro di costoro nel capannone di Pa.Ga., da cui sarebbe dovuta partire la spedizione finale, la spedizione di morte una volta presa la decisione del D.C. di porre fine all’ospitalità, in quanto pericolosa, essi si erano recati nel ristorante, in cui era intervenuta la polizia.

Alla data del (OMISSIS), vi era stata dunque la decisione del proprietario D.C. di non ospitare i killer, ma non era intervenuta la decisione di abbandonare il proposito dell’uccisione del Pa..

Era quindi in pieno svolgimento la fase esecutiva dell’ideazione dell’omicidio, realizzata con la predisposizione ad opera della Pa. del luogo, in cui i killer erano riuniti, in attesa del momento propizio per l’omicidio, con la presenza di uomini armati in una zona operativa, prescelta in quanto frequentata dalla vittima.

L’intervento della polizia operò nel momento di piena vigenza della fase esecutiva e non a seguito di una decisione di rinuncia, da parte degli uomini incaricati dell’omicidio.

Correttamente questi comportamenti sono stati ritenuti rientranti nell’attività preparatoria di rilevanza penale, nella forma del tentativo punibile, con giudizio ex ante, essendo la stessa idonea e diretta in modo non equivoco alla commissione dell’omicidio, tenendo conto delle circostanze e le modalità in cui hanno operato i soggetti (riuniti nel luogo prescelto dalla Pa., armati, con servizio di informazione, gestito dalla Pa., nonchè di pedinamenti della vittima; v. sez. 1, n. 9411 del 7.10.2010, rv.

244620; sez. 5, n. 43255 del 24.9.09, rv245720). Era stata quindi creata una situazione di pericolo per la vita del Pa., a cui non è seguita la sua morte, grazie, non alla inadeguatezza causale o alle determinazioni dei soggetti armati, ma grazie a fattori estranei (tipo le cautele della vittima) che hanno condotto all’insuccesso di un’operazione, di per sè, complessa ed adeguatamente organizzata per l’esclusivo e indiscutibile fine di colpire un ben individuato bersaglio umano.

Sull’aggravante, va rilevato che le modalità di confronto con persone portatrici di contrapposti interessi, la scelta di risolvere questo contrasto (organizzazione di un gruppo di uomini armati e sua dislocazione nell’area territoriale in cui vive ed opera l’obiettivo umano dell’azione programmata) e le finalità dell’operazione medesima (rafforzamento del gruppo di operatori e indebolimento di quello concorrente) consentono di ritenere ampiamente fondata la contestazione dell’aggravante del modo e del fine mafiosi (v. sez. 1, n. 2884 del 20.1.2000, rv 215504).

Il ricorso va quindi rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La cancelleria provvederà agli adempimenti ex art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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