Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 19-05-2011) 28-09-2011, n. 35177 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza in data 9 dicembre 2010 il Tribunale del riesame di Messina, confermando il provvedimento del giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale, ha disposto che M.M. A. rimanesse sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere, quale indagato per il reato, fra gli altri, di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 6.

Il compendio indiziario valorizzato a carico del M.M. è consistito in massima parte nelle conversazioni intercettate, donde il giudice di merito ha tratto il convincimento che l’indagato fosse coinvolto nell’organizzazione criminosa come braccio destro del capo del sodalizio, A.G., così da porsi quale punto di riferimento per tutti i consumatori di stupefacenti della zona.

Proprio in considerazione del ruolo primario da lui rivestito nella gestione dell’attività criminosa, il Tribunale ha ravvisato il sintomo di una sua spiccata pericolosità sociale, per cui ha ritenuto che il pericolo di reiterazione del reato non fosse fronteggiabi-le con misure diverse dalla custodia inframuraria; a tanto si è indotto, pur ritenendo che nel caso in questione non fosse applicabile la presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3.

Ha proposto ricorso per cassazione il M.M., per il tramite del difensore, affidandolo a due motivi.

Col primo motivo il ricorrente contesta, sotto diversi profili, la sussistenza degli elementi costitutivi del reato associativo di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74.

Col secondo motivo contesta la sussistenza delle esigenze cautelari, evidenziando il tempo ad oggi trascorso dall’epoca dei fatti per cui si procede.

Il ricorso è privo di fondamento e va disatteso.

Nel ritenere che la fattispecie – così come ricostruita in via indiziaria, in conformità ai canoni che presiedono al procedimento cautelare – integrasse gli estremi del delitto associativo di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, il Tribunale non è incorso in alcuna violazione di norme giuridiche; a tale convincimento è, infatti, pervenuto dopo essersi interrogato sull’esistenza di una struttura organizzata, composta da almeno tre associati e dedita con continuità al traffico di sostanze stupefacenti; ed aver constatato che il modello astratto descritto dalla norma incriminatrice trovava riscontro nel gruppo facente capo a A.G., operante sul territorio di (OMISSIS) e Comuni limitrofi e dedito essenzialmente allo spaccio al minuto di marijuana e hashish.

Dalle risultanze investigative il Tribunale ha tratto, altresì, la conclusione che il M.M. fosse partecipe di tale struttura associativa, svolgendo funzioni di stretta collaborazione con l’ A., col quale condivideva ogni decisione rilevante ai fini del reperimento dei fondi necessari all’esercizio dell’attività illecita, nonchè dell’acquisto della sostanza stupefacente, della sua custodia, preparazione in dosi e spaccio al minuto, ed ancora della destinazione dei proventi: in ciò anche avvalendosi dell’apporto di S.F., operante su un piano di assoluta subordinazione, e potendo contare sulla collaborazione continuativa di C.A., nel ruolo di stabile fornitore "all’ingrosso".

La motivazione addotta nell’ordinanza impugnata, sviluppantesi in una linea argomentativa di stretto rigore logico-giuridico e facente costante riferimento al materiale indiziario costituito dalle numerose conversazioni intercettate e dagli esiti della attività di indagine della polizia giudiziaria, resiste al vaglio di legittimità e rende pienamente conto del giudizio di gravita indiziaria in ordine alla configurabilità del reato associativo, sia pur nella forma di minor gravità presa in osservazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, comma 6.

Adeguatamente motivato è, altresì, il convincimento espresso dal Tribunale in ordine alla concreta esistenza delle esigenze cautelari, sotto il profilo del pericolo di reiterazione del reato e della pericolosità sociale del M.M.; costui, invero, è risultato rivestire una posizione apicale in seno al sodalizio criminale ed essere dedito con continuità allo spaccio di droga, esercitato anche dopo nascita di una figlia e fino al giorno stesso di esecuzione della misura cautelare. Quest’ultimo rilievo rende conto, altresì, dell’Infondatezza della doglianza del ricorrente basata sul tempo trascorso dall’epoca di commissione del reato.

Il rigetto del ricorso, che inevitabilmente consegue a quanto fin qui osservato, comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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