Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 13-02-2012, n. 1979 Responsabilità amministrativa o contabile degli amministratori, impiegati e agenti degli enti pubblici

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con sentenza n. 913/2008 la Sezione giurisdizionale per il Lazio della Corte dei Conti condannava, per quanto ancora rileva nel presente giudizio, O.A., presidente pro tempore dell’ENIT (Ente Nazionale Italiano per il Turismo), al pagamento di una somma pari a Euro 37.953,00, oltre accessori, per danno erariale connesso a responsabilità amministrativa. L’imputazione di tale danno si fondava, in sintesi, sull’assunto della inutilità della spesa sostenuta dall’Ente per alcuni incarichi conferiti a professionisti esterni.

Con sentenza in data 10 luglio 2010, la Prima sezione centrale giurisdizionale d’appello della Corte dei Conti, decidendo, fra l’altro, sul gravame proposto dall’ O., in parziale riforma della sentenza impugnata, condannava quest’ultimo al pagamento, a favore dell’Erario, della minor somma di Euro 8.750,00, comprensiva di interessi e rivalutazione monetaria. Rigettava in primo luogo la richiesta di integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri componenti del consiglio di amministrazione dell’ENIT in quanto domanda nuova e comunque infondata, attesa la natura "parziaria e personale della responsabilità amministrativa" e la mancanza di un vincolo di solidarietà fra l’appellante e gli altri componenti del consiglio di amministrazione.

Accoglieva parzialmente l’eccezione di prescrizione stabilendo che dovevano considerarsi prescritti gli importi corrisposti prima del quinquennio precedente il deposito dell’atto di citazione. Nel merito riteneva sussistente l’illegittimità di alcuni incarichi e determinava il danno nella misura sopraindicata.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso, ai sensi dell’art. 111 Cost., O.A. affidato a quattro motivi illustrati da memoria. La Procura Generale presso la Corte dei Conti resiste con controricorso.

Motivi della decisione

Col primo motivo il ricorrente invoca il difetto di giurisdizione denunciando la violazione dei limiti esterni della giurisdizione stessa in relazione alla L. n. 20 del 1994, art. 1 come modificata dal D.L. n. 543 del 1996, convertito nella L. n. 639 del 1996, nella parte in cui impedisce ogni sindacato sulle scelte discrezionali operate dall’Amministrazione. Deduce di aver sottolineato già in sede di appello la violazione, da parte del primo giudice, dei limiti della giurisdizione avendo lo stesso giudice sindacato le scelte discrezionali dell’Amministrazione laddove aveva affermato che, per le attività oggetto degli incarichi contestati, la stessa avrebbe dovuto avvalersi del personale interno all’ente. Il giudice non aveva adeguatamente motivato su questo profilo essendosi limitato a formulare affermazioni contraddittorie che non tenevano conto, in particolare, della crescente carenza di organico dell’ente, riconosciuta anche nelle relazioni della Sezione di Controllo sulla gestione degli enti, della dequalificazione professionale delle risorse interne e dell’impossibilità di ricorrere a nuove assunzioni. In sostanza, secondo la tesi sviluppata nel motivo del ricorso, il giudice contabile avrebbe ecceduto rispetto ai limiti del suo potere giurisdizionale avendo censurato il merito e l’opportunità delle scelte organizzative operate dall’organo deliberante dell’ente.

Col secondo motivo il ricorrente denuncia violazione della regola del contraddittorio fra le parti sancita dall’art. 3 Cost., comma 2.

Premesso che il giudizio di primo grado si era svolto in assenza degli altri componenti del consiglio di amministrazione e che, in sede di impugnazione, era stata espressamente richiesta l’integrazione del contraddittorio nei loro confronti, deduce che erroneamente il giudice dell’appello aveva ritenuto tale richiesta come domanda nuova e quindi inammissibile. Sotto altro profilo deduce l’erroneità della motivazione con la quale era stata affermata la non necessità dell’integrazione del contraddittorio. Sottolinea che l’integrità del contraddittorio è posta a garanzia delle parti e del diritto di difesa e che il difetto dell’integrità del contraddittorio deve essere ricondotto, analogamente a quanto disposto per l’irregolare composizione del collegio giudicante, alla sfera dei vizi costituenti eccesso di potere giurisdizionale e, quindi, deve essere ritenuto ammissibile nel presente giudizio ai sensi dell’art. 111 Cost., u.c..

Col terzo motivo il ricorrente denuncia violazione della norma di cui all’art. 111 Cost., comma 6 nella parte in cui stabilisce che tutti i provvedimenti gturisdizionali devono essere motivati. Deduce che, pur essendo stata denunciata, nel giudizio d’appello, la violazione dei principi che regolano l’onere della prova in tema di danno cagionato all’ente, la Corte d’appello si era limitata ad affermare che l’esistenza del danno era in re ipsa ed aveva stabilito l’importo del danno in maniera meramente presuntiva. Deduce che l’assoluta inesistenza, nella sentenza di appello, di una motivazione sul punto configura un vizio ragionevolmente riconducibile alla sfera dell’eccesso di potere giurisdizionale e quindi da inquadrarsi nell’ambito dei vizi inerenti alla giurisdizione ai sensi dell’art. 111 Cost., u.c..

Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione del principio del giusto processo ex art. 111 Cost., comma 1. Deduce che tutte le violazioni in precedenza denunciate nel ricorso integrano una violazione della regola costituzionale del giusto processo. Ad avviso del ricorrente nella sentenza impugnata gli errori, le violazioni e i vizi che hanno caratterizzato l’esercizio della giurisdizione ne hanno stravolto la sequenza procedimentale e i contenuti che avrebbero dovuto essere osservati al fine di non disattendere gravemente i principi e i canoni del giusto processo.

Preliminarmente deve osservarsi che il Procuratore Generale ha eccepito nel controricorso la novità della censura concernente la giurisdizione (e la conseguente inammissibilità del primo motivo di ricorso) assumendo che la questione della giurisdizione non era mai stata sollevata nei precedenti gradi di giudizio.

Osserva in proposito il Collegio che l’eccezione è palesemente priva di pregio atteso che, a prescindere da ogni altra considerazione, nulla impedisce che la questione di giurisdizione insorga e possa essere perciò dedotta solo dopo il deposito della sentenza di appello con la quale il giudice, pur rientrando la causa nel novero di quelle astrattamente devolute alla sua cognizione, l’abbia però concretamente decisa in modo tale da debordare dai confini della propria potestas iudicandi (così Cass. S.U. 21 giugno 2011 n. 14844).

Ciò premesso, il primo motivo di ricorso è infondato.

Come queste Sezioni Unite hanno già avuto modo di affermare (Cass. S.U. 9 luglio 2008 n. 18757; Cass. S.U. 28 marzo 2006 n. 7024; Cass. S.U. 29 settembre 2003 n. 14488), la Corte dei Conti, nella sua qualità di giudice contabile, può e deve verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini pubblici dell’ente pubblico. Infatti, se da un lato, in base alla L. n. 20 del 1994, art. 1, comma 1, l’esercizio in concreto del potere discrezionale dei pubblici amministratori costituisce espressione di una sfera di autonomia che il legislatore ha inteso salvaguardare dal sindacato della Corte dei Conti, dall’altro lato, la L. n. 241 del 1990, art. 1, comma 1, stabilisce che l’esercizio dell’attività amministrativa deve ispirarsi ai criteri di economicità e di efficacia, che costituiscono specificazione del più generale principio sancito dall’art. 97 Cost., e assumono rilevanza sul piano della legittimità (non della mera opportunità) dell’azione amministrativa. Pertanto, la verifica della legittimità dell’attività amministrativa non può prescindere dalla valutazione del rapporto tra gli obbiettivi conseguiti e i costi sostenuti.

Inoltre l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali compiute dai soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti non comporta la sottrazione di tali scelte ad ogni possibilità di controllo della conformità alla legge dell’attività amministrativa anche sotto l’aspetto funzionale, vale a dire in relazione alla congruenza dei singoli atti compiuti rispetto ai fini imposti, in via generale o in modo specifico, dal legislatore. Più in generale è stato altresì precisato che il comportamento contro legem del pubblico amministratore non è mai al riparo dal sindacato giurisdizionale non potendo esso costituire esercizio di scelta discrezionale insindacabile (cfr., ad esempio, Cass. S.U. (Ordin.) 27 febbraio 2008 n. 5083; Cass. S.U. 28 marzo 2006 n. 7024).

Ciò premesso, va rilevato che, nel caso di specie, la sentenza impugnata, dopo aver richiamato i presupposti che, ove coesistenti, consentono alla pubblica amministrazione di conferire a professionisti esterni incarichi di consulenza e studio – eccezionalità e straordinarietà del conferimento, temporaneità, specificità e particolare rilevanza oggettiva dello stesso, ragionevolezza del costo, alta e comprovata professionalità dell’incaricato, determinatezza dei contenuti e delle modalità di espletamento dell’attività, impossibilità a provvedere con risorse umane proprie, non immedesimazione con le funzioni primarie dell’ente – e dopo aver sottolineato che il provvedimento di conferimento deve essere adeguatamente motivato – dovendo dar conto in modo puntuale e circostanziato della ricorrenza dei presupposti sopra elencati – atteso che la mancanza di motivazione impedisce l’individuazione dell’interesse pubblico perseguito in concreto e quindi inficia la legittimità del provvedimento suddetto, ha osservato che dall’esame degli elementi di valutazione acquisiti in atti risulta che le procedure di conferimento degli incarichi (per i quali si è ritenuto la sussistenza della responsabilità dell’odierno ricorrente) erano state condotte con censurabile superficialità sia nella fase istruttoria che in quella deliberativa e che le motivazioni dei provvedimenti (intese come illustrazione e giustificazione della sussistenza dei presupposti necessari per il conferimento) erano risultate insufficienti con conseguente illegittimità degli incarichi stessi. In particolare, nell’esaminare gli incarichi ritenuti illegittimi, la sentenza impugnata ha rilevato: a) che le attività oggetto dei suddetti incarichi, peraltro indicate in modo assolutamente generico, rientravano comunque nelle attività "ordinarie" comprese nelle competenze dell’ENIT; b) che l’assunto secondo cui sarebbe stato impossibile svolgere le suddette attività con risorse interne non era stato adeguatamente motivato. Di qui la conclusione della disutilità della spesa, connessa alla carenza dell’interesse pubblico al conferimento degli incarichi de quibus.

All’esito di tale valutazione la Corte dei conti ha confermato la sussistenza di responsabilità del ricorrente che, quale Presidente dell’ENIT e membro del consiglio di amministrazione dell’Ente, "ricopriva un ruolo funzionale e di incidenza causale particolarmente rilevante, tale da avere una specifica capacità di orientare il libero percorso deliberativo dei singoli consiglieri".

Ritengono queste Sezioni Unite che con la sentenza impugnata la Corte dei Conti non abbia travalicato i limiti esterni del potere giurisdizionale attribuito al giudice contabile avendo accertato l’illegittimità degli incarichi conferiti dall’ENIT e la specifica responsabilità del ricorrente in merito al conferimento dei suddetti incarichi. Va in proposito ribadito che la Pubblica Amministrazione deve provvedere ai suoi compiti mediante organizzazione e personale propri, mentre, come esattamente affermato nella sentenza impugnata, il ricorso a soggetti esterni è consentito solo a determinate condizioni. La Corte dei Conti può quindi valutare se i mezzi liberamente scelti dagli amministratori pubblici siano adeguati oppure esorbitanti ed estranei rispetto al fine pubblico da perseguire e può ritenere illegittimo il ricorso agli incarichi esterni riferibili ad attività rispetto alla quale mancano i relativi presupposti, correttamente identificati dalla sentenza impugnata. Il giudice contabile non viola, pertanto, i limiti esterni della propria giurisdizione quando, come nel caso in esame, accerta la responsabilità per danno erariale in conseguenza delle somme erogate quale compenso di un incarico di consulenza conferito in difetto dei suddetti presupposti. Ne consegue che la Corte dei conti rispetta i limiti della "riserva di amministrazione" e non viola i limiti esterni della propria giurisdizione quando, nel valutare se i mezzi liberamente scelti dagli amministratori di un Ente pubblico siano adeguati o esorbitanti ed estranei rispetto al fine pubblico da perseguire, ritenga illegittimo il ricorso ad incarichi esterni in assenza dei presupposti previsti dalla legge. Nel caso in esame la Corte dei conti è pervenuta alle sopra riportate conclusioni nel rispetto dei principi che presiedono l’esercizio del suo potere giurisdizionale. La sentenza impugnata è, infatti, pienamente conforme ai principi elaborati da queste Sezioni Unite con specifico riferimento a fattispecie analoghe a quella in esame (cfr., da ultimo, Cass. S.U. 9 maggio 2011 n. 10069), secondo cui, in tema di giurisdizione contabile, poichè l’amministrazione, in via generale, deve provvedere ai suoi compiti con mezzi, organizzazione e personale propri, la Corte dei Conti può valutare se gli strumenti scelti dagli amministratori pubblici siano adeguati oppure esorbitanti ed estranei rispetto al fine pubblico da perseguire. Con l’ulteriore conseguenza che non vengano violati i limiti esterni alla giurisdizione contabile nè quelli relativi alla riserva di amministrazione nell’accertamento del danno erariale relativo all’affidamento di un incarico esterno di consulenza realizzato in difetto dei presupposti previsti dalla legge.

Il primo motivo di ricorso deve essere pertanto rigettato.

Il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso che, per comodità di trattazione, devono essere esaminati congiuntamente, devono essere dichiarati inammissibili.

Queste Sezioni Unite (cfr., in particolare, Cass. S.U. 9 giugno 2011 n. 12539) hanno precisato che, anche a seguito dell’inserimento della garanzia del giusto processo nella formulazione dell’art. 111 Cost., il sindacato delle Sezioni Unite della Corte di cassazione sulle decisioni rese dalla Corte dei Conti è limitato all’accertamento dell’eventuale sconfinamento dai limiti esterni della propria giurisdizione da parte del giudice contabile, ovvero all’esistenza di vizi che riguardano l’essenza di tale funzione giurisdizionale e non il modo del suo esercizio, restando, per converso, escluso ogni sindacato sui limiti interni di tale giurisdizione, cui attengono gli errores in iudicando o in procedendo.

Più in particolare è stato precisato (Cass. S.U. 25 luglio 2011 n. 16165) che in tema di sindacabilità del difetto di giurisdizione delle sentenze della Corte dei Conti, è inammissibile il ricorso che si fondi su vizi processuali relativi a violazioni dei principi costituzionali del giusto processo, quali quelli che ledono il contraddittorio tra le parti o la loro parità di fronte al giudice o l’esercizio del diritto di difesa, trattandosi di violazioni endoprocessuali rilevabili in ogni tipo di giudizio, al pari di tutti gli altri errores in procedendo e non inerenti all’essenza della giurisdizione o allo sconfinamento dei limiti esterni di essa ma solo al modo in cui è stata esercitata.

Dai principi sopra enunciati deriva quindi che nè la censura concernente la mancata integrazione del contraddittorio (secondo motivo), nè quella basata sull’assunto della mancanza di motivazione, nè, infine, quella che ipotizza la sussistenza degli estremi della violazione dei principi del giusto processo possono essere esaminate in questa sede in quanto non comprese nei limiti del sindacato delle Sezioni Unite della Corte di cassazione sulle decisioni rese dalla Corte dei Conti. Le censure devono considerarsi pertanto inammissibili.

In definitiva il ricorso deve essere rigettato, con conseguente declaratoria della giurisdizione della Corte dei Conti.

Nessun provvedimento deve adottarsi quanto alle spese di lite di questa fase del giudizio, atteso che ha resistito al ricorso il Procuratore Generale, rappresentante il Pubblico Ministero presso la Corte dei Conti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e dichiara la giurisdizione della Corte dei Conti; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 8 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *