Cass. civ. Sez. II, Sent., 14-02-2012, n. 2157 Parti comuni dell’edificio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 21 del 18 gennaio 2010 la Corte di appello di Reggio Calabria rigettò l’appello proposto da C.P. per la riforma della pronuncia di primo grado che aveva accolto la domanda avanzata nei suoi confronti dal Condominio (OMISSIS) che, lamentando il fatto che il convenuto avesse arbitrariamente accorpato al proprio appartamento sito al piano terra dello stabile condominiale una parte comune dell’edificio, costituita da una intercapedine, e modificato altre parti, ne aveva chiesto la condanna alla demolizione delle opere eseguite ed alla riduzione in pristino. Il giudice di secondo grado motivò la sua decisione rigettando le eccezioni con cui il convenuto aveva dedotto la proprietà privata della parte dell’edificio oggetto della domanda, sia per titolo di acquisto che per intervenuta usucapione; in particolare, il giudicante, premesso che tale parte dell’edificio era costituita da una intercapedine tra il piano di posa delle fondazioni e la superficie del piano terra e che essa, per la disposizione dettata dall’art. 1117 cod. civ., doveva presumersi di proprietà condominiale in quanto destinata all’areazione ed alla coimbentazione del fabbricato a vantaggio dei piani interrati e delle fondamenta e dei pilastri, affermò che il convenuto non aveva fornito al riguardo la prova contraria in ordine alla sua proprietà esclusiva, tenuto conto che il bene predetto non risultava menzionato nel suo atto di acquisto dell’appartamento nonchè delle risultanze della consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero in un procedimento penale a carico del C. per reati edilizi, che aveva accertato che nel 1998 il convenuto aveva effettuato lavori di ristrutturazione nel proprio immobile a seguito dei quali, mediante collegamento di una scala interna, era risultata accorpata al suo appartamento una porzione dell’intercapedine condominiale ed il suo appartamento aveva una consistenza diversa da quella originaria; per tale ragione disattese anche la domanda di usucapione, osservando che il convenuto non aveva fornito prova del possesso ultraventennale del bene, tenuto conto che le testimonianze rese in suo favore nel corso del giudizio di primo grado, così come già ritenuto dal Tribunale, dovevano considerarsi non attendibili.

Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 12 marzo 2010, ricorre C.P., affidandosi a tre motivi, illustrati anche da memoria.

L’intimato Condominio (OMISSIS) resiste con controricorso, a ciò autorizzato dalla Delib. assembleare del 29 marzo 2010.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 cod. civ. e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata per avere erroneamente ritenuto operante, con riferimento al bene per cui si controverte, la presunzione di condominialità stabilita dall’art. 1117 cod. civ. e per avere malamente valutato le risultanze probatorie.

Sotto il primo profilo, si sostiene che l’intercapedine, per le sue caratteristiche, doveva ritenersi di proprietà esclusiva del condomino proprietario dell’appartamento sovrastante, atteso che essa serviva unicamente a preservare quest’ultimo dall’umidità, senza interessare le fondazioni dell’edificio, interamente interrate.

Sotto altro profilo, si assume che la Corte distrettuale ha erroneamente valutato le prove perchè ha considerato tale la consulenza tecnica disposta in un procedimento penale e quindi assunta in difetto di contraddittorio; in quanto ha dato credito agli accertamenti svolti dal predetto consulente, che era giunto alla conclusione che l’unione dell’intercapedine all’appartamento del convenuto fosse avvenuta a seguito dei lavori di ristrutturazione effettuati dal C. nel 1989 ispezionando l’immobile ben cinque anni dopo e senza giustificare tale accertamento con elementi di fatto concreti ed univoci; per avere escluso la proprietà esclusiva del bene in questione sulla base del rilievo che esso non era menzionato nell’atto di acquisto del C., senza considerare che tale omissione dipendeva dal fatto che esso non costituiva un vano catastalmente individuabile e che il titolo di acquisto faceva comunque riferimento ad ogni accessorio e pertinenza;

per non avere dato rilievo alle testimonianze rese in giudizio secondo le quali il vano sottostante l’appartamento era adoperato, ancor prima che venisse acquistato dal concludente, dal precedente proprietario e dai suoi inquilini, che vi accedevano a mezzo di una scala interna; per non avere tenuto conto che, diversamente da quanto affermato dal consulente del pubblico ministero e dal consulente tecnico d’ufficio il vano di cui si discute non è completamente interrato, ma seminterrato, ha una finestra sulla via, ed ha un’altezza, in parte, di m. 2,20 e, in altra parte, di m. 1,15, è perimetrato da muri in cemento armato e non ha altra via di accesso se non attraverso l’appartamento del ricorrente.

Il mezzo è infondato.

Va premesso che la Corte distrettuale ha accertato in fatto, richiamando le risultanze della consulenza tecnica, che lo spazio che si assume abusivamente accorpato dal convenuto alla propria unità abitativa è costituito da una intercapedine tra il piano di posa delle fondazioni e la superficie del piano terra e che è esso consiste attualmente in un locale deposito di mq. 10 con altezza di m. 2,20, in due bagni di mq. 6 e in locale destinato ad archivio di mq. 85 di superficie e di altezza compresa tra m. 0,83 e m. 1,15.

Sulla base di tali elementi di fatto ha quindi ritenuto che il bene in questione rientri tra quelli per cui opera la presunzione di comunione stabilita dall’art. 1117 cod. civ..

Tanto precisato, la conclusione accolta dal giudice di merito appare condivisibile sotto il profilo dell’applicazione dell’art. 1117 cod. civ., essendo conforme all’orientamento di questa Corte, secondo cui l’intercapedine esistente tra il piano di posa delle fondazioni, costituente il suolo dell’edificio e la superficie del piano terra, se non risulta diversamente dai titoli di acquisto delle singole proprietà, appartiene, come parte comune, a tutti i condomini, in quanto destinata all’aerazione e alla coibentazione del fabbricato (Cass. n. 3854 del 2008; Cass. n. 2395 del 1999).

Le altre censure sollevate dal ricorrente appaiono invece inammissibili nella misura in cui investono la valutazione delle prove, che costituisce attività di giudizio discrezionale demandata dalla legge alla competenza esclusiva del giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze che ritenga più attendibili ed idonee nella formazione dello stesso; il relativo giudizio integra un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità se non sotto il profilo della congruità e sufficienza della motivazione (Cass. n. 14972 del 2006;

Cass. n. 4770 del 2006; Cass. n. 16034 del 2002), vizio che, nella specie, non risulta sollevato. Ciò vale, in particolare, per quanto riguarda la valutazione operata dalla Corte distrettuale dell’elaborato della consulenza tecnica depositato in atti ovvero il giudizio da essa formulato di inattendibilità dei testimoni escussi, che integra anch’esso un tipico apprezzamento discrezionale rimesso dalla legge al giudice di merito (Cass. n. 17097 del 2010; Cass. n. 12362 del 2006; Cass. n. 12747 del 2003).

Nè merita accoglimento l’assunto del ricorrente che, sotto il profilo della violazione dell’art. 116 cod,. proc. civ., ha dedotto la inutilizzabilità dell’elaborato della consulenza tecnica depositato in atti, in quanto formato in un diverso giudizio senza rispetto del principio del contraddittorio.

Questa Corte ha precisato che il giudice civile può utilizzare come fonte del proprio convincimento anche gli elementi probatori raccolti in un giudizio penale, ed in particolare le risultanze della relazione di una consulenza tecnica esperita nell’ambito delle indagini preliminari, quando la relazione abbia ad oggetto una situazione di fatto rilevante in entrambi i giudizi (Cass. n. 15714 del 2010). Sotto il profilo della tutela del contraddittorio, si osserva che esso è garantito nel momento in cui il documento contenente la relazione del consulente tecnico trova ingresso nel giudizio, diventando non solo utilizzabile dal giudice al momento della decisione ma anche liberamente confutabile dalle parti nel corso della istruttoria.

Il secondo motivo denunzia violazione dell’art. 1122 cod. civ., censurando la statuizione di conferma della condanna del ricorrente alla eliminazione delle modifiche illegittimamente realizzate sulla facciata condominiale. Sostiene il ricorrente che di tali modifiche non v’è prova in alcun atto del giudizio, non risultando che i lavori di ristrutturazione da lui compiuti abbiano interessato anche la facciata. Inoltre il giudice ha ignorato la delibera condominiale che aveva accertato che i lavori eseguiti non sono di pregiudizio al decoro architettonico dell’edificio.

Il mezzo è infondato.

La Corte distrettuale ha condannato il ricorrente alla eliminazione delle modifiche apportate sulla facciata dell’edificio sulla base del rilievo che due finestre era state ampliate ed erano state apportate altre modifiche mai autorizzate dall’assemblea condominiale, richiamando sul punto le risultanze della consulenza tecnica. Il capo della statuizione impugnata appare conforme a tale accertamento di fatto e ciò è sufficiente a disattendere la censura di violazione di legge sollevata dal motivo.

Nè è esatto la critica che la Corte di appello non avrebbe tenuto conto della Delib. 23 luglio 1991. Il deliberato risulta esaminato dal giudice a quo, con riguardo alla questione relativa all’appropriazione della intercapedine, ma facendo riferimento anche al decoro architettonico del fabbricato, che però lo ha ritenuto irrilevante per la ragione che non risultano indicati i lavori cui essa farebbe effettivo riferimento. Il rilievo integra un apprezzamento di fatto, non specificatamente censurato sotto il profilo del vizio di motivazione.

Con il terzo motivo il ricorrente denunzia violazione dell’art. 1158 cod. civ., censurando la statuizione impugnata che ha respinto la sua domanda di usucapione. Il giudicante non ha tenuto conto, ritenendoli non attendibili perchè compiacenti nei confronti del C., tutti i testi da lui introdotti e sentiti, che avevano dichiarato che l’unione dell’appartamento con il vano dell’intercapedine risaliva almeno al 1970, ignorando altresì la sentenza penale citata dall’appellante in memoria conclusionale che aveva assolto tutti i predetti testimoni dall’imputazione di falsa testimonianza per non avere commesso il fatto.

Il motivo è inammissibile in quanto investe il giudizio di attendibilità dei testimoni che, come si è già rilevato in sede di esame del primo motivo, integra un apprezzamento discrezionale non censurabile in sede di legittimità.

La doglianza secondo cui il giudicante non avrebbe tenuto conto della sentenza penale che avrebbe assolto i testi escussi in sede civile dal reato di falsa testimonianza appare invece irrilevante, sia perchè lo stesso ricorrente riconosce di non aver prodotto in giudizio tale decisione, ma di averne dato soltanto notizia in comparsa conclusionale, sia in quanto l’assoluzione in sede penale del testimone dal reato di falsa testimonianza non rende di per sè veritiera la dichiarazione da lui resa nel processo civile (Cass. n. 3674 del 1981). Al di là della formula assolutoria adottata dal giudice penale e della motivazione da questi fornita, deve infatti ritenersi che anche in questo caso permanga in capo al giudice civile il potere-dovere di valutare l’attendibilità del testimone, potendo il principio della libera valutazione delle prove da parte del giudice subire deroga soltanto nei casi stabiliti dalla legge (art. 116 cod. proc. civ.).

Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese di giudizio, come liquidate in dispositivo, sono poste a carico della parte soccombente.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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