Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 12-05-2011) 28-09-2011, n. 35209

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Ricorre per cassazione L.A., per tramite del difensore, avverso la sentenza emessa in data 17 febbraio 2010 dalla Corte d’appello di Trieste in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Trieste 25 luglio 2007, con la quale, disposta la sostituzione della pena detentiva inflitta all’imputato (condonata) con quella di Euro 1.140,00 di multa, venivano confermate le statuizioni relative all’affermazione della penale responsabilità del ricorrente in ordine all’accertato delitto di cui agli artt. 113, 590, comma 1, 2 e 3, commesso in (OMISSIS) in danno del lavoratore C.P., addetto al reparto ESE della "Ferriera di Servola" s.p.a. (al quale era preposto il L.) che aveva riportato lesioni personali gravi (trauma contusivo – distorsivo a caviglia ed al piede sinistro nonchè fratture, con conseguente indebolimento permanente dell’organo della deambulazione) scivolando, benchè calzasse scarpe antinfortunistiche, sulla scala di accesso all’impianto, per la presenza, sui primi gradini, di liquido poliettrolita impiegato nel ciclo operativo dello stesso reparto – di consistenza particolarmente viscosa – accidentalmente fuoriuscito dall’apposita vasca di contenimento. La presenza del liquido era dovuto, allo spargimento, conseguente all’improvvida operazione di irrorazione con acqua, ordinata dal capo turno F., allo scopo di rimuoverlo, in concomitanza con l’omessa adozione di misure atte ad eliminare la situazione di rischio per l’incolumità dei dipendenti, in tal modo sopravvenuta e con l’ordine impartito ai dipendenti di continuare il lavoro,anche minacciando sanzioni disciplinari, nonostante la situazione di percolo: comportamenti entrambi risalenti al L. che pur aveva opportunamente ordinato di cospargere sulla zona interessata dallo sversamento, la loppa (composto di sabbia e terriccio) con funzione assorbente, così cooperando nella produzione dell’evento, per colpa generica e per colpa specifica, attesa la violazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 5, lett. h).

Con i dedotti motivi di ricorso, attinenti a vizi motivazionali e di erronea applicazione della legge penale, censura la difesa le statuizioni della sentenza d’appello in ordine alla ritenuta sussistenza sia del nesso di causalità tra i comportamenti ascritti al L. sia dell’elemento soggettivo del reato contestato, con specifico riferimento ai profili di colpa specifica.

La Corte d’appello, contraddicendo taluni punti della stessa motivazione, avrebbe ritenuto causa certa dello scivolamento dell’operaio C., l’imbrattamento dei gradini della scala di metallo (che lo stesso stava discendendo) dovuto allo spargimento del liquido scivoloso, attinto dal getto d’acqua quando invece la stessa parte offesa aveva riferito in dibattimento che i gradini erano di norma già abbastanza sdrucciolevoli, soprattutto in caso di pioggia (invero in quel giorno abbondantemente caduta) tenuto conto altresì della circostanza, dedotta in atto d’appello, che l’infortunato, al momento della caduta, si trovava ad un’altezza di circa un metro da terra e quindi in un punto in cui il liquido poliettrolita non poteva di certo esser salito.

Quanto alla violazione delle norme antinfortunistiche, integrante il profilo di colpa specifica addebitata all’imputato, sostiene il difensore che la condotta attribuitagli – di non aver interdetto alla parte offesa l’accesso all’area – non avrebbe potuto rivestire rilevanza colposa. Era invero necessario portare a termine l’operazione di spargimento della "loppa" sopra il liquido sversato, opportunamente disposta dal prevenuto; operazione rientrante nelle mansioni del dipendente poi infortunatosi ed indubbiamente necessaria ed indispensabile, proprio al fine di mettere in sicurezza l’area, eliminandone la scivolosità, benchè non scevra di rischi.

Contraddittorio ed illogico sarebbe stato pertanto pretendere che si chiudesse il transito nella zona interessata dalle operazioni di bonifica sia ai lavoratori interni sia a quelli di una ditta esterna,eventualmente incaricata di portare a termine l’operazione.

Conclusivamente invoca la difesa l’annullamento con o senza rinvio della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.

In linea di principio deve preliminarmente osservarsi che, per consolidato, pacifico e risalente assunto giurisprudenziale di questa Corte, in tema di sindacato del vizio di motivazione, compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici del merito, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano correttamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass., Sez. Un., 13.12.1995, n. 930/1996); id., Sez. Un., 31.5.2000, n. 12).

Il vizio di motivazione, poi, deducibile in sede di legittimità deve, per espressa previsione normativa, risultare dal testo del provvedimento impugnato, ovvero – a seguito della modifica apportata all’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, -da "altri atti del procedimento specificamente indicati nei motivi di gravame". Il che significa – quanto al vizio di manifesta illogicità – che , per un verso, il ricorrente deve dimostrare in tale sede che l’iter argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano logico e che, per altro verso, questa dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di un’altra interpretazione o di un altro iter, quand’anche in tesi egualmente corretti sul piano logico; ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si presterebbero ad una diversa lettura o interpretazione, ancorchè, in tesi, munite di eguale crisma di logicità (cfr. Cass., Sez. Un., 27.9.1995, n. 30).

Ebbene, nella concreta fattispecie, la decisione impugnata si presenta formalmente e sostanzialmente legittima ed i suoi contenuti motivazionali forniscono, con argomentazioni basate su una corretta utilizzazione e vantazione delle risultanze probatorie, esauriente e persuasiva risposta ai quesiti concernenti la vicenda oggetto del processo.

Quanto all’individuazione della causa dell’infortunio, la Corte distrettuale, in corretta applicazione delle disposizioni di legge in materia di nesso di causalità -di cui ha dato conto con esaustiva e condivisibile motivazione – ha messo in luce, ancorando le proprie determinazioni ad una lettura perfettamente conforme alle risultanze istruttorie, che, per effetto della improvvida decisione del capoturno F. di procedere alla rimozione del liquido altamente viscoso accidentalmente riversatosi sul pavimento del reparto, previa irrorazione con acqua (avendo egli stesso iniziato ad impiegare l’apposita manichetta), il liquido poliettrolita, pur non essendo aumentato di volume, era stato in tal modo schizzato in un raggio più vasto fino ad interessare anche i gradini della scala. A "completarne" lo spargimento fino a qualche decina di centimetri di altezza dal suolo (sì da raggiungere anche il gradino posto ad un "altezza di circa un metro, sul quale il C. era poi scivolato, infortunandosi) era intuitivamente sufficiente anche il getto d’acqua di una conduttura a pressione ordinaria. L’imbrattamento dei gradini della scala con il liquido viscoso, così cagionato, null’altro aveva prodotto che un aumento del rischio di caduta risultando di norma gli scalini metallici della scala stessa, già di per sè sdrucciolevoli,soprattutto in caso di pioggia. Incontestabile quindi appare la rilevanza quantomeno concausale della condotta del F..

Su tale situazione di fatto, così ineccepibilmente ricostruita si è venuto ad "innestare", agli effetti della produzione dell’evento, il ruolo egualmente concausale rivestito dall’imputato L., in qualità di caporeparto. Come legittimamente evidenziato dalla Corte d’appello di Trieste (ad onta delle infondate obiezioni del difensore dell’imputato) questi aveva concorso nella determinazione dell’infortunio occorso al C., per aver omesso di adottare le misure di organizzazione e di direzione dello svolgimento del lavoro nel reparto, idonee ad evitare rischi per l’incolumità degli operai addetti ovverosia finalizzate "ad impedire la causazione di incidenti determinati dalla presenza di materiale fortemente scivoloso nell’area" (cfr. sentenza impugnata – fgl. 9). Quindi se del tutto opportuno al fine di prevenire infortuni, in rapporto alla situazione di pericolo venutasi a determinare (aggravata dall’irrorazione di getti d’acqua sul materiale sversato) era stato disporre lo spargimento della "loppa" sul pavimento (con effetto assorbente), "causalmente colposo" si era invece rivelata l’omessa interdizione dell’accesso dei lavoratori addetti allo stesso reparto fino alla completa eliminazione dall’area del liquido scivoloso grazie all’intervento di una ditta specializzata, che già aveva operato in occasione di altro analogo incidente verificatosi in precedenza, a quanto riferito dallo stesso infortunato C. e dal teste M.. Tantomeno l’imputato avrebbe potuto consentire (rectius:

ordinare,minacciando in caso di inosservanza, anche sanzioni disciplinari, come riferito in narrativa) al predetto C. di continuare il lavoro, nel medesimo posto, anche la mattina del giorno successivo, nel perdurare della descritta situazione di rischio per l’incolumità degli addetti. E’ quindi assolutamente pacifico, sul piano logico e della comune esperienza, che con tale azione cd. controfattuale (ovvero con l’azione positiva omessa) l’evento sarebbe stato del tutto scongiurato. Posta quindi la ricorrenza di un comportamento affetto dalla colpa generica e specifica (come contestato nel capo di imputazione,) onde confutare infine l’assunto, del pari infondato del ricorrente circa l’esclusione della sussistenza della "violazione della norma cautelare invocata", deve osservarsi che l’intervento dei dipendenti di una ditta specializzata sul luogo dello sversamento del liquido non avrebbe integrato un’ulteriore esposizione anche di costoro al medesimo rischio – poi concretizzatosi nella produzione dell’infortunio in danno del C. – ricorrendo logicamente al contrario il caso di operai da ritenersi,proprio perchè impiegati in operazioni comportanti di norma rischi di tale natura, significativamente attrezzati con mezzi e dotazioni antinfortunistiche di protezione individuali oltrechè, per ciò stesso, perfettamente consapevoli delle opportune cautele cui attenersi nelle operazioni loro demandate; a differenza invece dell’infortunato C., che pur calzando scarpe da lavoro (unico presidio antifortunistico genericamente idoneo ad evitare l’infortunio) era invece scivolato sui gradini della scala, nel riprendere, il giorno successivo, le proprie ordinarie mansioni. Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione,in favore della costituita parte civile, delle spese di questo giudizio (complessivamente liquidate in dispositivo) nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale sent. n. 186 del 7- 13 giugno 2000) al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma si Euro 1.000.00 in favore della cassa delle ammende nonchè alla rifusione in favore della costituita parte civile delle spese di questo giudizio che liquida in Euro 2.000,00 oltre spese generali,IVA e CPA, come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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