Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 21-04-2011) 28-09-2011, n. 35199 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza resa in esito all’udienza del giorno 10/8/2009 la Corte di Appello di Bologna in parziale riforma della sentenza di primo grado ha rideterminato la pena irrogata nei confronti di G. P. quantificandola nella minor misura di anni tre e mesi quattro di reclusione ed Euro 12.400 di multa quale effetto della unificazione delle contestazioni di cui ai capi b) e c) della rubrica con la individuazione di un unico reato di detenzione illecita di armi clandestine. L’imputato P.G. ha proposto ricorso per cassazione per ottenere l’annullamento del provvedimento appena sopra menzionato. Il ricorrente denunzia: 1) mancanza e contraddittorietà della motivazione per avere la sentenza impugnata affermato che il rinvenimento delle armi nell’appartamento dell’imputato di per sè rende inevitabile la loro attribuzione al P..

2) erronea e falsa applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, per avere, la sentenza impugnata, negato l’attenuante ad effetto speciale ora menzionata con motivazione che il ricorrente segnala come contrastante con i principi dettati in materia dalla giurisprudenza di legittimità.

All’udienza pubblica del 21/4/2011 il ricorso è stato deciso con il compimento degli incombenti imposti dal codice di rito.

Motivi della decisione

Il primo motivo di censura è in palese contrasto con il testo della motivazione che ha descritto il ritrovamento delle armi (due pistole con silenziatore) non solo nella abitazione, ma nascoste nella biancheria del P. e ha legato questa tipologia di ritrovamento con il comportamento processuale dell’imputato. La censura non critica dunque il percorso dimostrativo effettivamente seguito dalla sentenza impugnata, e ripropone questioni già sviluppate in appello e motivatamente respinte dalla sentenza impugnata sicchè già per queste due diverse (e ciascuna sufficiente) ragioni, essa deve essere definita generica e perciò inammissibile. Completezza di motivazione impone di dire che i vizi di motivazione ipoteticamente denunziati per causa del mancato accertamento di una eventuale (neppure affermata) condivisione dell’abitazione con terzi, sono del pari inammissibili per il loro carattere congetturale e ipotetico.

In punto di denunziata violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, concretizzata nel diniego della attenuante speciale di cui al comma 5, detto, a fronte della contestazione del delitto di cui all’art. 81 cpv. c.p., e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, per detenzione di 96,5 grammi lordi ( al netto gr 64,773) di cocaina, il diniego della attenuante ad effetto speciale è stato formulato nel pieno rispetto dei canoni ai quali la più consolidata giurisprudenza lega la possibilità di concedere o negare siffatta attenuante.

(Cass. Pen. SEZ U. 24/6/2010 N 35737; Cassazione Penale Sez. U., sent. n. 17 del 21 settembre 2000; Cass. Pen. Sez. 4^, sent. n. 20556 del 24-02-2005; Cassazione Pen. Sez. 4^, sent. n. 10211 del 16 marzo 2005).

La circostanza attenuante speciale del fatto di lieve entità di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, (testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti), può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove venga meno anche uno soltanto degli indici previsti dalla legge, diviene irrilevante l’eventuale presenza degli altri.

La motivazione impugnata, nella sua intera tessitura ha negato la minima offensività penale della detenzione logicamente correlandola alla qualità e quantità della sostanza, alla disponibilità di notevoli quantità di sostanza da taglio, alle circostanze della detenzione di armi e a tutto il contesto individuato nella descrizione della vicenda e della stessa condotta processuale dell’imputato.

Il ricorso è inammissibile, il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento e al pagamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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