Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 19-04-2011) 28-09-2011, n. 35124

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 19 maggio 2010 la Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’opposizione proposta da P.M.I. avverso il decreto di sequestro e contestuale confisca emesso il 28 ottobre 2009, ai sensi del D.L. n. 306 del 1992, art. 12-sexies dalla stessa Corte con riferimento a beni, consistenti in tre terreni, due autovetture e la ditta individuale El Malacon – bar caffetteria, intestati alla stessa P., moglie di C.M..

La Corte argomentava la decisione rilevando che:

– il giudice dell’esecuzione aveva il potere di confiscare beni acquisiti dopo la pronuncia di condanna, prescindendo da qualsiasi nesso di pertinenzialità o cronologico dei beni con i delitti contestati, con onere del condannato di allegazione o dimostrazione probatoria circa la liceità della provenienza degli stessi;

– la confisca di cui al D.L. n. 306 del 1992, art. 12-sexies aveva struttura e presupposti diversi da quella ordinaria, venendo in rilievo il nesso tra un patrimonio ingiustificato e una persona condannata per uno dei reati indicati, con conseguente irrilevanza delle date delle sentenze di condanna e con valutazione della sproporzione tra i beni e la situazione reddituale con riguardo al reddito dichiarato e alle attività economiche al momento e al valore del singolo acquisto;

– C.M. era stato condannato per i reati di cui agli artt. 416-bis e 629 cod. pen., aggravato dalla L. n. 203 del 1991, art. 7 ed era rimasto latitante fino al (OMISSIS) senza aver presentato negli anni 1990 – 2008 alcuna dichiarazione dei redditi;

– la presunzione di illecita accumulazione patrimoniale operava anche con riferimento al coniuge del condannato, ove sussistente una sproporzione tra il patrimonio nella titolarità del medesimo e l’attività lavorativa svolta;

– nella specie vi era ampia sproporzione, avuto riguardo ai redditi indicati nell’ordinanza, nè dati idonei a inficiare dette risultanze derivavano dalla consulenza di parte, depositata all’udienza camerale, tenuto conto della insufficiente, inattendibile e non documentale giustificazione fornita, essendo generiche, inattendibili e inconducenti le dichiarazioni di C.S. e C. A. e R., rispettivamente fratello e sorelle di C.M., e di P.S., padre dell’opponente, non supportate da documentazione contabile o bancaria adeguata quanto alla provenienza e all’ammontare delle somme indicate come regalate all’opponente per il mantenimento della famiglia.

Nè era giustificata, ad avviso della Corte, la costituzione dell’impresa El Malacon, mancando una proporzione tra redditi dichiarati e somma investita, tanto più che poco prima dell’apertura dell’esercizio commerciale (in data 25 giugno 2004) la P. aveva anche acquistato (in data 11 settembre 2003) un terreno. predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione P.M. I., che ne chiede l’annullamento sulla base di tre motivi.

2.1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c) in relazione al D.L. n. 306 del 1992, art. 12-sexies e all’ art. 262 c.p.p., comma 4, per l’estensione della confisca ai beni acquisiti dopo la sentenza di condanna e per la violazione dei limiti dell’accertamento patrimoniale in sede esecutiva.

Secondo la ricorrente, che riprende il primo motivo dell’opposizione, la Corte è incorsa nell’errore di ritenere che l’operatività della presunzione di illecita costituzione del patrimonio abbia una proiezione illimitata e si estenda ai beni non ancora acquistati al momento della condanna, mentre il rapporto tra l’accertamento in fase cognitiva e quello eventuale in sede esecutiva postula l’Identità dell’oggetto della confisca "attuabile dal giudice dell’esecuzione" con quella "non attuata dal giudice della cognizione".

Nè, ad avviso della ricorrente, sono irrilevanti le date delle sentenze di condanna perchè la confisca può essere disposta solo sul patrimonio del soggetto al momento della condanna, valendo solo per lo stesso l’operatività della suddetta presunzione e operando il giudice dell’esecuzione in via solo suppletiva.

2.2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), in relazione al D.L. n. 306 del 1992, art. 12-sexies e all’ art. 262 c.p.p., comma 4, con riferimento alla presunzione relativa di illecita provenienza del patrimonio ingiustificato e alla sussistenza di onere di allegazione o di inversione dell’onere probatorio con vincolo di giustificazione documentale, e lamenta carenza e contraddittorietà della motivazione nella valutazione delle giustificazioni date circa la formazione del patrimonio confiscato, oltre al travisamento della prova.

Secondo la ricorrente, l’onere a suo carico è di allegazione e non di dimostrazione, a mezzo prova scritta, della provenienza delle risorse, e la Corte non solo ha svalutato in via pregiudiziale l’attendibilità delle testimonianze ritenendo necessaria la prova scritta in ordine al fatti da essa allegati, ma è incorsa in contraddizioni nelle fondamentali proposizioni argomentative.

2.3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e), in relazione al D.L. n. 306 del 1992, art. 12-sexies e all’ art. 262 c.p.p., comma 4, con riguardo alla verifica della sproporzione con riferimento al reddito e alle attività al momento dei singoli acquisti, alla irrazionale esclusione del risparmio accumulato e della disponibilità dei componenti del nucleo familiare e alla violata necessità di stima rigorosa dei valori economici in gioco, rilevando che la Corte non ha considerato, nel valutare la sproporzione, i redditi di tutto il nucleo familiare e la disponibilità dei risparmi accumulati.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto il rigetto del ricorso.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

2. Quanto al primo motivo, che attiene alla necessaria correlazione del provvedimento di confisca, adottabile in sede esecutiva, ai beni già acquistati al momento della condanna e alla commisurazione dei poteri del giudice dell’esecuzione a quelli del giudice della cognizione, si rileva che la Corte ha fatto corretta interpretazione ed esatta applicazione dei principi di diritto affermati in questa sede di legittimità. 2.1. Questa Corte ha più volte affermato, riprendendo e ribadendo il principio ermeneutico fissato dalle Sezioni Unite Penali (Sez. U, n. 920 del 17/12/2003, dep. 19/01/2004, Montella, Rv. 226490), che la peculiarità della disciplina posta dal D.L. n. 306 del 1992, art. 12- sexies convertito nella L. n. 356 del 1992, sta nel fatto che la confisca prevista da detto articolo va disposta anche in relazione a beni per i quali non consti il nesso di pertinenza causale e temporale con i reati ivi previsti o con altre attività delittuose della persona condannata, perchè in essa, a differenza della confisca ordinaria, per la quale assume rilievo la correlazione tra un determinato bene e un cero reato, viene in considerazione il diverso nesso che si stabilisce tra un patrimonio ingiustificato e una persona nei cui confronti sia stata pronunciata condanna o applicata la pena patteggiata per uno dei reati indicati nello stesso articolo (Sez. 1, n. 19516 del 01/04/2010, dep. 24/05/2010, Barilari, 247205; Sez. 1, n. 9218 del 14/01/2009, dep. 02/03/2009, Barrazzo, Rv. 243544; Sez. 1, n. 11269 del 18/02/2009, dep. 13/03/2009, Pelle, Rv. 243493; Sez. 1, n. 11049 del 05/02/2001, dep. 21/03/2011, Di Bella, Rv. 226051), assumendo, invece, rilievo, la sussistenza delle condizioni che attengono alla sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito o alle attività economiche svolte e alla mancata giustificazione della lecita provenienza dei beni stessi.

2.2. La deduzione della ricorrente che l’applicazione della detta disciplina in sede esecutiva debba essere limitata ai beni acquisiti prima della sentenza di condanna, sulla base della ritenuta assimilazione dei poteri del giudice dell’esecuzione a quelli della cognizione quanto al limite temporale necessario per ritenere sussistente un collegamento funzionale tra l’adozione del provvedimento ablatorio e il processo e operativa la presunzione di illecita costituzione del patrimonio del condannato, non ha fondamento normativo nell’lndicato art. 12-sexies, nè nella ratio della sua previsione e della ormai pacifica sua applicabilità in sede esecutiva (Sez. 1, n. 29566 del 11/07/2008, dep. 16/07/2008, P.G. in proc. Greco, Rv. 241122; Sez. 6, n. 33964 del 02/05/2005, dep. 22/09/2005, P.G. in proc. Morabito, Rv. 232575; Sez. 3, n. 18070 del 14/02/2003, dep. 16/04/2003, Bellagamba, Rv. 224751; Sez. U, n. 29022 del 30/05/2001, dep. 17/07/2001, Derouach, Rv. 219221).

Nè la deduzione ha carattere di specificità perchè, oltre ad essere genericamente formulata con riguardo a "sentenza di condanna", senza ulteriori indicazioni circa la necessità della sua definitività, nulla rappresenta in ordine ai limiti della sua concreta operatività e ai beni di riferimento.

3. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo.

La Corte, in coerente applicazione dei principi normativi in materia con riguardo alla presunzione relativa alla Illecita accumulazione patrimoniale, alla sua estensione oggettiva ai beni intestati o nella disponibilità del condannato e ai beni intestati al coniuge e all’onere di allegazione della legittima provenienza dei beni (tra le altre, Sez. 1, n. 24804 del 26/05/2010, dep. 01/07/2010, Stracuzzi, Rv. 247804; Sez. 1, n. 8404 del 15/01/2009, dep. 25/02/2009, Bellocco, 242863), ha evidenziato con argomentazioni logiche e rigorose che la produzione da parte della ricorrente della relazione acquisita all’udienza camerale e delle dichiarazioni dei congiunti dell’opponente e del coniuge non è in grado di inficiare le risultanze cui l’ufficio è pervenuto in merito all’ampia sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito.

La Corte, analizzando la produzione volta a contestare la presunzione di illecita accumulazione patrimoniale, ha valutato i singoli elementi rappresentati dalle dichiarazioni rese da C.S., C.R., C.A. e P.G., che ha riportato e verificato tenendo conto della comparazione del valore del singoli beni con il reddito ufficialmente disponibile e indicando le ragioni della ritenuta inverosimiglianza, inattendibilità, genericità e inconducenza delle medesime dichiarazioni in rapporto al soggetto che le ha rese, al loro contenuto, alla mancanza di supporti documentali alle indicate operazioni di disinvestimento dei titoli e reinvestimento delle somme monetizzate e non specificate, al generico riferimento a donazioni, alla inspiegabile concentrazione dei risparmi di C.M. sulla opponente, sua nuora, alla indimostrata operazione immobiliare riferita dal padre della medesima, pervenendo al diniego del carattere probativo di detti elementi a fornire una giustificazione plausibile della legittima provenienza delle sostanze utilizzate per acquistare i beni anche in ipotesi regalate all’opponente, come dedotto.

3.1. A fronte di detto articolato iter motivo, coerente con gli elementi fattuali analizzati, la ricorrente oppone doglianze, che prospettate come deduzioni dimostrative della illegittimità del contenuto dell’onere probatorio posto a carico della stessa circa la ritenuta incongruità dei redditi rispetto ai beni confiscati, e della inadeguatezza e contraddittorietà della motivazione, sono censure inammissibili in questa sede di legittimità.

Esse, infatti, trascurando di tenere conto della necessaria attendibilità, serietà e completezza dell’allegazione di elementi giustificativi della provenienza del patrimonio e dell’adeguatezza della risposta data dal Giudice di merito alle stesse deduzioni sottoposte al suo esame, e alternando rilievi di illegittimità e di logicità della motivazione, si risolvono in critiche di puro merito, nella chiara prospettiva di accreditare una rilettura e rinnovata analisi valutativa complessiva della vicenda relativa ai beni confiscati e della sperequazione patrimoniale, alternativa a quella operata con l’ordinanza impugnata, ed estranea al tema di indagine legittimamente proponibile come oggetto di censura di legittimità. 4. Quanto al terzo motivo, è sufficiente rilevare che la deduzione della omessa verifica della sproporzione con riguardo al reddito e alle attività al momento dei singoli acquisti è inammissibile per la sua astrazione dal riferimento alla fattispecie concreta, e la dedotta irrazionale esclusione del riferimento al risparmio accumulato e alla disponibilità dei componenti del nucleo familiare è contraddetta dai riferimenti darti dall’ordinanza ai dati fattuali, provati, e alle circostanze giustificative dei movimenti economici, solo affermate.

5. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.

Consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè – valutato il contenuto dei motivi e in difetto dell’ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione dell’Impugnazione – al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma che si determina nella misura ritenuta congrua di Euro mille.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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