Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 19-04-2011) 28-09-2011, n. 35122

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 3 ottobre 2010, il Tribunale di Roma ha rigettato l’opposizione proposta, ai sensi dell’art. 666 cod. proc. pen., da F.F. avverso il provvedimento del Giudice delegato, che aveva rigettato l’istanza dalla stessa proposta, volta a conseguire l’autorizzazione a condurre in locazione l’immobile di sua proprietà, sito in (OMISSIS), oggetto di confisca, non ancora definitiva, nella procedura di prevenzione personale e patrimoniale relativa a C. A..

1.1. Il Tribunale premetteva che:

– con decreto dell’8 febbraio 2010 erano state applicate nei confronti di C.A. la misura di prevenzione della sorveglianza speciale personale e la misura patrimoniale della confisca con riguardo a beni di proprietà o riconducibili allo stesso, e tra questi l’immobile In oggetto, di proprietà di F. F., convivente del medesimo, che quale terza aveva partecipato al procedimento;

– con provvedimento del 22 giugno 2009 il proposto C. e la F. erano stati autorizzati, ai sensi della L. n. 575 del 1965, art. 2-sexies a occupare altro immobile, anche confiscato, sito in (OMISSIS), per sopperire alle esigenze del nucleo familiare, che già vi dimorava;

– ai padre del proposto, che abitava l’immobile sito in (OMISSIS) e che sosteneva di doverlo custodire e di averlo completato, era stato intimato di lasciare detto immobile, risultato non completato e ultimato all’atto del sequestro anticipato e della confisca;

– con provvedimento del 20 luglio 2010 era stata rigettata l’istanza della F. di concessione in locazione di detto immobile, risultato "ancora un cantiere inagibile all’uso abitativo civile";

– Il 23 luglio 2010 la predetta F. aveva richiesto nuovamente di potere occupare l’immobile, ultimato e completato come da foto che allegava, e per il quale aveva in corso il pagamento delle rate di mutuo, per preservarlo da atti vandalici e rischi di occupazione abusiva fino alla confisca definitiva;

– con provvedimento del 24 luglio 2010 il Giudice delegato aveva rigettato detta istanza, poichè l’immobile non era, sulla base della stessa documentazione fotografica allegata, completo e abitabile, la sua locazione non era diretta a esigenze abitative, già soddisfatte con l’autorizzazione alla occupazione di altro immobile, e non era ammissibile la proposta compensazione tra il canone di locazione e le rate di mutuo per la diversità dei titoli e dei destinatari.

1.2. Tanto premesso, il Tribunale, a ragione della decisione, rilevava che l’opposizione proposta contro il provvedimento del Giudice delegato del 24 luglio 2010 era ammissibile ma infondata.

Il Tribunale, in particolare, osservava che, alla luce della normativa in materia di prevenzione, e in relazione alla natura e alle finalità del provvedimento di confisca, la locazione del bene immobile confiscato poteva essere fatta dall’amministratore giudiziario, che ne aveva la custodia e l’amministrazione "per conto di chi spetta", in attesa dell’esito della procedura di prevenzione, per la sua conservazione e l’incremento della sua redditività, con scelta del conduttore diverso dal proposto o dai suoi familiari, con determinazione del canone a prezzi di mercato, e con riguardo a immobile "abitabile e messo in regola con la normativa CEE".

Nel caso di specie, ad avviso del Tribunale, a prescindere dal rilievo della già apprestata tutela alle esigenze abitative dell’istante e del suo nucleo familiare con la concessione In godimento gratuito di altro immobile confiscato, ostavano all’accoglimento dell’istanza la qualità dell’istante, convivente del proposto; le condizioni dell’immobile, inagibile (per mancato completamento dell’impianto elettrico e mancanza dei sanitari) e privo del certificato di abitabilità, e la proposta compensazione del canone di locazione con il pagamento delle rate di mutuo da parte della stessa istante.

2. Avverso detta decisione ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, F.F. che ne chiede l’annullamento sulla base di unico motivo, con il quale lamenta, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., R.D. n. 267 del 1942, art. 47, L. n. 575 del 1965, art. 2-sexies e art. 3-bis.

Secondo la ricorrente, sono erronee le premesse logico-giuridiche della decisione nella parte in cui si è ritenuto che la sua esigenza abitativa fosse già sufficientemente assicurata attraverso il provvedimento che aveva concesso a C.A. di permanere gratuitamente con i suoi familiari nell’immobile confiscato sito in (OMISSIS), poichè il richiamo all’art. 47, L. Fall. da parte della L. n. 575 del 1965, art. 2-sexies comporta che, alla luce della interpretazione estensiva fatta dalla giurisprudenza, il coniuge del soggetto sottoposto a provvedimento ablativo, e, per il principio di uguaglianza, il convivente more uxorio, ha, come il coniuge del fallito, un "diritto soggettivo alla conservazione dell’alloggio di sua proprietà quale espressione di esigenza primaria di sopravvenienza materiale", e la lesione del diritto all’abitazione, tutelata come diritto fondamentale della persona dall’art. 2 Cost, può determinare danno all’immagine, mentre il diritto invocato si riferisce a situazione ben diversa rispetto a quella oggetto di valutazione del provvedimento del 22 giugno 2009, che ha autorizzato il proposto C. a usare l’immobile di sua proprietà, e dal quale si trae la conferma della possibilità della nomina quale custode di un soggetto terzo.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

2. Con l’ordinanza impugnata è stata rigettata l’opposizione proposta da F.F., che censurava il provvedimento di diniego della richiesta di autorizzazione a locare l’immobile di sua proprietà, confiscato nell’ambito della procedura di prevenzione nei confronti di C.A. perchè ritenuto allo stesso riconducibile, adottato dal Giudice delegato alla detta procedura.

L’ordinanza, con corretta applicazione dei richiamati principi normativi in materia di custodia e amministrazione dei beni sequestrati e confiscati, ha ritenuto, con argomentazioni coerenti ai dati fattuali sottoposi al suo esame, che all’accoglimento della richiesta erano ostative la qualità della richiedente, convivente del proposto, e la condizione dell’Immobile, inagibile per il mancato completamento dell’impianto elettrico e la mancanza dei sanitari e inidoneo a conseguire la certificazione di abitabilità. Tali argomentazioni, che sono correlate alla complessiva e coerente disamina, priva di contraddittorietà e illogicità, delle deduzioni difensive già sottoposte al Giudice delegato e poi oggetto della proposta opposizione, sono state accompagnate dal rilievo che le esigenze primarie e il diritto di abitazione dell’istante e del suo nucleo familiare erano state già tutelate con la concessa autorizzazione a occupare gratuitamente altro immobile confiscato, nel quale risiedeva con il C., e dalla considerazione che la proposta compensazione tra il canone di locazione, in misura corrispondente alle rate di mutuo, e il pagamento di queste ultime, non era neppure esaminabile per la sua palese infondatezza sotto i plurimi aspetti esaminati.

3. A fronte di detto articolato iter motivo, la ricorrente oppone doglianze, che, prospettate come deduzioni dimostrative della illegittimità del provvedimento, sono censure del tutto infondate.

Esse, infatti, senza contestare le ragioni del diniego della locazione dell’immobile sito in (OMISSIS), oggetto della domanda e della successiva opposizione, si sono appuntate sull’argomentazione dell’ordinanza in merito alla già soddisfatta esigenza abitativa della ricorrente In dipendenza della concessa permanenza gratuita nell’altro immobile, sito in (OMISSIS), al C. e ai familiari.

Le argomentazioni svolte partono dall’esatto rilievo che a norma della L. n. 575 del 1965, art. 2-sexies, il giudice delegato, nel corso della procedura di prevenzione a carico di soggetti indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, può adottare nei confronti del proposto e della sua famiglia i provvedimenti indicati nel R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 47 in tema di alimenti e di abitazione della casa di proprietà e che, con riguardo all’abitazione della casa di proprietà, l’art. 47, comma 2, prevede che "la casa di proprietà del fallito, nei limiti in cui è necessaria all’abitazione di lui e della sua famiglia non può essere distolta da tale uso fino alla liquidazione dell’attivo".

Esse, tuttavia, traggono dalla premessa in diritto conclusioni incongrue nella parte in cui affermano che tale norma tuteli il diritto soggettivo del coniuge e, per il principio di uguaglianza, del convivente more uxorio del soggetto fallito, e quindi della persona sottoposta a procedura di prevenzione, alla "conservazione dell’alloggio di sua proprietà" e il diritto all’abitazione, come diritto fondamentale della persona, e nella parte in cui sostengono che, alla luce di tali principi, diversa è la situazione oggetto del provvedimento del 22 giugno 2009, che aveva concesso al C. il diritto di uso dell’abitazione di sua proprietà.

Il richiamato art. 47 tutela, infatti, il diritto del fallito e, in forza del disposto di cui al predetto art. 2-sexies, del soggetto sottoposto a misura patrimoniale di conservare l’alloggio di sua proprietà, destinato ad abitazione per sè e per la sua famiglia, e non il diritto del coniuge o del convivente more uxorio del medesimo alla conservazione dell’alloggio di sua proprietà, e la già intervenuta tutela delle esigenze abitative della ricorrente si fonda su n’indicato provvedimento del 22 giugno 2009, i cui presupposti fattuali non hanno formato oggetto di contestazione in sede di merito e la diversità del cui oggetto rispetto alla invocata tutela è in questa sede affermazione del tutto generica.

4. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.

Consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e – valutato il contenuto dei motivi di ricorso e in difetto della ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione della impugnazione – al versamento, in favore della Cassa delle ammende della somma, che si determina, nella misura congrua ed equa, di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *