Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 19-04-2011) 28-09-2011, n. 35105

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- La Corte di appello di Catania con sentenza in data 6 dicembre 2005, riformava la sentenza del GUP del Tribunale della stessa sede e applicava a S.A., imputato del reato di cui all’art. 416 bis c.p., esclusa l’aggravante di cui al comma 6 del medesimo articolo, la pena di anni uno di reclusione, determinata quale aumento per la ritenuta continuazione con i reati per i quali lo S. aveva riportato condanna con la sentenza 23 dicembre 1996 della Corte di assise di appello di Catania.

La Corte di cassazione annullava il 21 giugno 2006, con decisione della sezione 5^ penale, la sentenza 6 dicembre 2005 della corte di appello di Catania per carenza di motivazione in relazione alla mancata risposta alle censure versate nell’atto di appello e rimetteva gli atti ad altra sezione della stessa corte d’appello per nuovo esame.

La Corte d’appello di Catania in sede di rinvio pronunciava il 15 aprile 2010 sentenza con la quale, in riforma della sentenza del GUP del Tribunale di Catania, ritenuta la continuazione con i fatti di cui alla sentenza della corte di assise di Catania del 23 dicembre 1996, determinava la pena in anni uno di reclusione.

La corte territoriale procedeva al riesame del materiale probatorio costituito dalle dichiarazioni dei collaboranti C. S., M.A., M.S., L.G. e L.R.G., nonchè da due conversazioni ambientali registrate all’interno della Sicilia Express di Aiassecca Giuseppe & C. snc, pervenendo alla conclusione, anche alla luce della precedente condanna riportata nel 1996 dallo S. per associazione mafiosa, che dovesse essere confermata la sua penale responsabilità in relazione al reato contestato.

2.- Avverso la sentenza propone ricorso per Cassazione l’avvocato Vincenzo Mellia difensore di S.A., adducendo a ragione l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale, violazione dei criteri legali di valutazione della prova nonchè illogicità manifesta e mancanza di motivazione . Con successiva memoria l’avvocato Enzo Gaito specifica ed ulteriormente illustra i motivi di gravame.

Con il ricorso si lamenta la sentenza gravata adotti lo stesso schema di quella annullata dalla Corte di cassazione senza tenere conto delle osservazioni del giudici di legittimità, argomentando la ritenuta colpevolezza dell’imputato dal fatto che: 1) S. svolge attività in pro di T.S.; 2) cura le estorsioni di Salvatore Tuccio, ciò secondo quanto dichiarato da C. e M.S.; 3) il contenuto della conversazione registrata il 4 giugno 1998 presso la società Sicilia Express ha forte valenza indiziaria in danno dell’imputato; 4) l’apporto fornito al sodalizio da parte dello S. è comprovato dalle dichiarazioni di L. G.; 5) la precedente condanna riportata dallo S. per il reato di cui all’art. 416 bis, commesso sino al (OMISSIS), poichè non risulta che lo stesso abbia collaborato,sulla base del dato di esperienza, conferma la sua appartenenza al clan Santapaola.

Sottolinea il ricorrente che la Corte di appello, in violazione palese dell’art. 627 c.p.p., non ha affrontato alcuna delle doglianze prospettate con l’atto di appello ed incentrate sopra: la disamina delle accuse dei pentiti vistosamente inficiate dai dimostrati contatti tra loro; la verifica delle conversazioni captate;

l’indicazione, ripetuta e sintomatica del cognome Stile e non del cognome S.; lo snodo decisivo delle estorsioni, delle quali aveva riferito il pentito C.S., smentite dalle persone offese; la inconsistenza delle accuse di L.G. e di L.R.G. in quanto prive di conferma; la inattendibilità delle dichiarazioni di M.S. che aveva, a distanza di meno di un mese collocato l’imputato in due diverse cosche.

In sostanza la Corte non ha fornito argomentazione alcuna in relazione alla qualifica di associato al sodalizio mafioso affermata nei confronti dell’imputato, esprimendo una motivazione vistosamente insufficiente rispetto a quanto, pure, era stato indicato nella sentenza di rinvio.

3.- Il Procuratore Generale dott. Giovanni Galati ha concluso per il rigetto del ricorso.

OSSERVA IN DIRITTO 1.- Il Ricorso è fondato nei termini d’appresso illustrati.

2.- La sentenza di annullamento 21 giugno 2006 di questa Corte ravvisava carenza di motivazione nella decisione 6 dicembre 2004 della Corte d’appello di Catania perchè con essa i giudici si erano limitati a richiamare, riassumere o riprodurre la decisione del primo giudice senza argomentare autonomamente, con giudizio critico, sull’inconsistenza o sulla non pertinenza delle specifiche censure mosse con i motivi di appello.

Osserva il collegio come anche la sentenza odiernamente gravata, per quanto si diffonda nella illustrazione dei criteri di valutazione probatoria delle chiamate in correità e non proceda al continuo richiamo alle motivazioni della decisione di primo grado, quanto a rigore logico argomentativo nella confutazione dei motivi di appello, specifici e non manifestamente infondati, ripropone le carenze riscontrate nella sentenza annullata.

Riguardo al giudizio sulla attendibilità dei collaboratori M. A., M.S. e C.S., per i quali era stata dedotta difensivamente l’accertata esistenza – risultante da intercettazioni in atti – di contatti tra loro volti a concordare le dichiarazioni accusatone, la corte territoriale si limita ad asserire, senza specificarne o richiamarne in qualsivoglia maniera il tenore ed i contenuti per raccordarli in termini di una obbiettiva non rilevanza, che i suddetti contatti non costituiscono dato dal quale possa farsi discendere la totale carenza di credibilità soggettiva in capo agli stessi, affermando che, nel caso di specie, non vi è traccia in atti di accordi o intenti calunniatori.

Il principio di diritto della valutazione frazionata delle dichiarazioni dei collaboranti è, poi, apoditticamente richiamato sia per giustificare le imprecisioni contenute nelle propalazioni riguardo alla collocazione dell’imputato nell’ambito dei numerosi gruppi mafiosi operanti nel territorio catanese, che per ribadire l’intrinseca attendibilità delle propalazioni stesse, il cui nucleo essenziale è costituito dalle dichiarazioni relative all’attività dello S., quale addetto alle estorsioni, in favore di T. S. ((OMISSIS)) appartenente, con posizione di spicco, al clan Santapaola, rese da C.S. e M. S.. Secondo i giudici di merito le dichiarazioni si riscontrano reciprocamente, ma neppure un accenno è contenuto, nel percorso argomentativo, alla circostanza (difensivamente evidenziata) che i titolari delle ditte Ma. e Ca., che sarebbero state oggetto di estorsione secondo le dichiarazioni di uno dei due collaboratori che colloca l’imputato nelle vicende in veste di percettore della tangente pagata, avrebbero smentito le estorsioni medesime.

Anche la portata, in termini di riscontro probatorio, del contenuto della intercettazione ambientale del 4.6.1998 nei locali della Sicilia Express, è più affermata che argomentata, laddove la corte stessa da atto che la assenza dello S. dalla riunione svoltasi in quella circostanza potrebbe ricondursi alle più svariate motivazioni, esclusa quella della non attuale intraneità alla compagine mafiosa sostenuta dalla difesa-Quanto all’apporto fornito dall’imputato alla consorteria criminale esso sarebbe acclarato dalle dichiarazioni di L.G., la cui genericità era stata oggetto di deduzione difensiva, il quale riferisce che (OMISSIS) ha un parente costruttore cui S.A. cura gli interessi, " che non deve essere toccato perchè è cosa sua personale", elemento questo che supporta l’accusa di appartenenza dell’imputato al clan Santapaola. Appartenenza che la precedente condanna dello S. per intraneità al clan Pulvirenti, secondo l’argomento conclusivo della motivazione, conferma posto che è dato di esperienza che l’ingresso in un sodalizio mafioso è scelta di vita tendenzialmente definitiva da cui si recede solo per morte o per collaborazione.

3.- Dal sopra riassunto sviluppo argomentativo della decisione impugnata emerge sussistenza del vizio di motivazione che ricorre, secondo il principio di diritto sancito dalla giurisprudenza di questa Corte, "non soltanto quando vi sia un difetto grafico della motivazione, ma anche quando le argomentazioni addotte dal giudice a dimostrazione della fondatezza del suo convincimento siano prive di completezza in relazione a specifiche doglianze formulate dall’interessato con i motivi di appello e dotate del requisito della decisività" (Sez. 2, sent. 21.12.1994, n. 4830; Sez. 6, sent.

17.6.2009, n. 35918).

Invero con la sentenza di annullamento erano stati indicati i punti specifici che, essendo stati oggetto di motivazione solo con richiamo alla sentenza di primo grado, erano da considerarsi omissivi dell’obbligo di motivazione in relazione alle censure puntuali sviluppate nei motivi di appello.

In proposito, va osservato che nella giurisprudenza di legittimità è stato chiarito che "nelle ipotesi di annullamento con rinvio per vizi di motivazione, la Cassazione risolve una questione di diritto quando giudica inadempiuto l’obbligo della motivazione, onde il giudice di rinvio, pur conservando la libertà di determinare il proprio convincimento di merito mediante un’autonoma valutazione della situazione di fatto relativa al punto annullato e con gli stessi poteri dei quali era titolare il giudice il cui provvedimento è stato cassato, è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema implicitamente o esplicitamente enunciato nella sentenza di annullamento: con la conseguenza che lo stesso giudice di rinvio resta vincolato al compimento di una determinata indagine, in precedenza omessa, di determinante rilevanza ai fini della decisione, ovvero, ancora, all’esame, non effettuato, di specifiche istanze difensive incidenti sul giudizio conclusivo (Cass., Sez. 1, sent. 7 5. 1998, Rv. 210791; Sez. 6, sent. 7.2.1995, Rv. 201266; Sez. 1, sent. 6.5.2004, Rv. 228913; Sez. 1, sent. 15.1.2007, Rv. 236242).

Alla stregua di tali premesse risultano fondate le censure dirette a dimostrare che la corte di appello in sede di rinvio non ha adempiuto l’obbligo motivazionale impostogli dalla sentenza di annullamento, con la quale erano stati puntualmente indicati i passaggi argomentativi carenti o assenti e le cadute di rigore logico nell’apprezzamento probatorio incidenti sul thema decidendum, quale delineato attraverso le deduzioni difensive compendiate nei motivi di appello.

Conclusivamente per le ragioni sopra indicate, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Catania.

P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Catania.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *