Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 19-04-2011) 28-09-2011, n. 35101 Detenzione abusiva e omessa denuncia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con sentenza in data 13 luglio 2010 la Corte d’Appello di Cagliari confermava la decisione in data 11 febbraio 2008 con la quale il Tribunale di Oristano aveva dichiarato B.E. colpevole del reato di detenzione illegale nella propria abitazione, in (OMISSIS), di un fucile doppietta marca Krupp calibro 16, di un fucile sovrapposto marca Zoli calibro 12, di un fucile semiautomatico Breda calibro 20 e di una carabina ad aria compressa Brema calibro 4,5, senza averne fatto denuncia all’autorità. Il Tribunale aveva, quindi, condannato B., concesse le attenuanti generiche equivalenti alla recidiva, alla pena di un anno di reclusione ed Euro 300,00 di multa.

In occasione di un controllo ai sensi dell’art. 38 TULPS le armi erano state trovate nell’abitazione dell’imputato, una dietro la porta d’ingresso e le altre tre in un armadietto metallico ed erano state sequestrate; nella stessa abitazione erano legalmente detenute, in quanto denunciate, altre armi: due fucili sovrapposti ed una pistola.

La corte territoriale, premesso che le armi rinvenute e sequestrate nell’abitazione del B. sono armi comuni da sparo, riteneva infondata la deduzione dell’appellante secondo la quale il comodato delle armi sarebbe consentito per uso di caccia o sportivo e quindi non sussisteva alcun obbligo di denuncia, osservando che in tema di locazione o comodato di armi da guerra o comuni da sparo, la illiceità della condotta è esclusa solo alla doppia condizione che l’oggetto materiale sia obiettivamente qualificabile quale arma per uso scenico o destinata ad uso sportivo o di caccia, e a tali scopi sia effettivamente destinata dal ricevente.

In ogni caso, osservava la corte, all’imputato non era stato contestato il reato di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 22, norma che disciplina il trasferimento a titolo di comodato o locazione di un’arma ma non prevede alcuna deroga all’obbligo di denuncia della detenzione dell’arma trasferita ai sensi dell’art. 38 TULPS, posto che tale obbligo prescinde sia dal titolo che dalla durata della detenzione.

La corte territoriale ritenuti quindi integrati i presupposti del reato contestato confermava la sentenza impugnata anche in relazione all’entità della pena inflitta giudicando incongrua la richiesta di ritenere le attenuanti generiche prevalenti sulle recidiva, ciò in considerazione dei precedenti penali dell’imputato.

2.- Avverso la sentenza della Corte d’Appello propone ricorso per Cassazione l’imputato personalmente adducendo:

1) inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione alla L. n. 895 del 1967, artt. 2 e 7 e mancanza, contraddittorietà manifesta illogicità della motivazione per aver la corte territoriale ha escluso che il disposto di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 22, che riguarda le armi destinate ad uso scenico, venatorio o sportivo, possa esonerare il conduttore o al comodatario dall’obbligo di denuncia di cui all’art. 38 del TULPS. Sostiene in proposito che la caduta del divieto di locazione e comodato in ipotesi di uso sportivo o di caccia è ragionevolmente collegato sia alla minore potenzialità offensiva delle armi sportive e da caccia sia, soprattutto, all’effettiva destinazione di siffatte armi a tali usi. Inoltre, appare evidente che per le armi destinate ad uso scenico, sportivo o venatorio, il legislatore abbia voluto facilitarne la circolazione e, pertanto, pare illogico ritenere che anche in questi casi sussista l’obbligo di denuncia che ne renderebbe meno agevole il trasferimento. Qualora poi si ritenesse che l’art. 22 non faccia venir meno l’obbligo di denuncia deve, comunque, distinguersi tra cessione definitiva dell’arma e affidamento temporaneo della medesima; infatti stante il carattere dinamico della detenzione appare opportuno capire, ed accertare in concreto, se l’originario detentore abbia effettivamente ceduto l’arma, perdendo la disponibilità della stessa ovvero l’abbia semplicemente lasciata in luogo diverso o affidata temporaneamente ad altro soggetto.

Nel caso di specie non è stato accertato il motivo per cui nell’abitazione del ricorrente vi fossero le armi, neppure è stato provato da quanti giorni vi fossero, per cui non vi sono elementi dai quali desumere con certezza che egli ne avesse una disponibilità stabile e tale da integrare il reato contestato. Poichè la legge non prescrive un termine preciso entro cui ottemperare all’obbligo di denuncia si deve valutare che la detenzione che fa sorgere l’obbligo di denuncia deve essere di durata apprezzabile, cioè deve essere caratterizzata da una certa stabilità, pertanto, anche voler ritenere che l’affidamento delle armi contestazione imponesse l’obbligo di denuncia, trattandosi di trasferimento momentaneo all’interno della stessa circoscrizione ed essendo le armi stesse già regolarmente denunciate, si sarebbe dovuto escludere la sussistenza della fattispecie contestata, ovvero si sarebbe dovuta contestare, e ritenere integrata, la violazione del R.D. 6 maggio 1940, n. 636, art. 58 e non quella del di cui all’art. 38 TULPS come ha fatto la corte d’appello.

2) Erronea applicazione della legge penale, mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento al trattamento sanzionatorio irrogato all’imputato all’esito del giudizio di merito.

Le circostanze del fatto, la personalità dell’imputato e la modesta gravità del fatto contestato avrebbero dovuto indurre la corte territoriale a ridurre la pena inflitta all’esito del giudizio di primo grado applicando anche l’attenuante di cui alla L. n. 395 del 1967, art. 5.

Ai sensi dell’art. 106 c.p. non doveva essere, poi, contestata e applicata alla recidiva di cui all’art. 99 c.p., comma 2, perchè dal certificato del casellario giudiziale risulta che con ordinanza 20 giugno 1999 il Tribunale di sorveglianza di Cagliari aveva concesso a ricorrente la riabilitazione di riferimento ai tre precedenti contestati. In ogni caso la sentenza è comunque censurabile nella parte in cui non ha applicato la prevalenza delle attenuanti generiche ritenendo che i precedenti contestati, pur se lontani nel tempo, comproverebbero una condotta volontariamente in contrasto con la disciplina delle armi, non è infatti vero quanto scritto sentenza circa le due condanne per detenzione e porto abusivo di armi continuato e per violazione sulle norme del TU sulla caccia. Infatti il ricorrente ha un solo precedente specifico che risale al 1975 e successivamente ha sempre tenuto una condotta impeccabile e anche relativamente all’uso delle armi la passione per il tiro al piattello e il livello raggiunto in tale disciplina, consentono di ritenere che lo stesso sia un soggetto responsabile e assolutamente affidabile nell’utilizzo delle armi.

3.- Il Procuratore Generale dott. Giovanni Galati ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi, con le conseguenze di legge in relazione alle spese processuali ed alla sanzione in favore della Cassa delle Ammende.

Motivi della decisione

4.- Il ricorso è manifestamente infondato.

5.- La giurisprudenza di questa Corte, opportunamente richiamata dai giudici di appello, stabilisce che: "In materia di armi, la L. n. 110 del 1975, art. 22, che disciplina il trasferimento a titolo di comodato o locazione di un’arma, non prevede alcuna deroga all’obbligo di denunzia della detenzione dell’arma trasferita ai sensi dell’art. 38 TULPS, obbligo che prescinde dal titolo o dalla durata della detenzione medesima" (Cass. Sez. 4, sent. 20.1.2006, n. 7292, Rv. 233441; Sez. 1, sent. 18.12.1991, n. 2270, Rv. 189769). Le norme sull’obbligo di denuncia delle armi, come correttamente affermato nella sentenza gravata, non assolvono alla stessa finalità del reato di illecito comodato perchè quest’ultimo attiene al controllo sulla provenienza dell’arma, mentre il reato di detenzione senza denuncia all’autorità di PS è finalizzato a garantire la necessità di far conoscere all’autorità pubblica la qualità e quantità delle armi e munizioni in possesso di privati e, in ogni momento, il luogo ove le armi si trovano e chi le detiene (Cass. Sez. 1, sent. 26.9.1978, n. 11373). Ne consegue che anche se il comodato fosse lecito la detenzione dell’arma andrebbe denunciata poichè l’obbligo di denuncia prescinde dalla illiceità o meno della locazione o del comodato (Cass. Sent. 2.3.1992, n. 2270).

6.- Nel caso di specie la accertata disponibilità da parte del B. delle armi si è sicuramente protratta per un apprezzabile lasso di tempo, posto che le stesse sono state rinvenute all’interno della sua abitazione e tre addirittura conservate dentro un armadietto metallico, per cui il rapporto materiale di signoria rispetto ai fucili detenuti ne imponeva, obbligatoriamente, la denuncia ai sensi del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 38 (Cass. Sez. 1, sent. 3.6.1997, n. 6448, Rv. 207999; Sez. 1 sent. 22.1.2002, n. 10650, Rv. 221469).

7.- Quanto ai motivi concernenti il trattamento sanzionatorio, deve essere in primo luogo rilevato che in tema di attenuanti generiche e di trattamento sanzionatorio in genere, il giudice non ha l’obbligo di procedere ad un analitico esame dei criteri elencati nell’art. 133 c.p. ai fini della determinazione della pena e di fornire una congrua motivazione, essendo sufficiente il riferimento a dati obbiettivi o subbiettivi idonei ad evidenziare la correttezza, sul piano argomentativo, del criterio seguito nell’esercizio del proprio potere discrezionale. Nella sentenza gravata è spiegato in termini di logica consequenzialità come la conoscenza del soggetto della normativa in materia di armi, e quindi il suo aver volutamente agito in disprezzo di tali norme, oltre alle precedenti violazioni, non consentiva di applicare le generiche con giudizio di prevalenza.

Sul punto la doglianza afferente alla applicazione della recidiva – ritenuta equivalente alle riconosciute attenuanti generiche – nonostante all’imputato fosse stata concessa la riabilitazione per le precedenti condanne, è stata per la prima volta proposta con il ricorso per cassazione e non ha, quindi, formato oggetto del giudizio della corte di appello, per cui deve ritenersi preclusa ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 3.

Ed invero la facoltà attribuita alla Corte di Cassazione dall’art. 609 c.p.p., comma 2, di decidere anche le questioni non dedotte nei motivi di appello, si riferisce esclusivamente a questioni di puro diritto, rilevabili d’ufficio in ogni grado e stato del processo, ovvero questioni la cui deducibilità sia divenuta possibile successivamente, che però siano pur sempre di diritto.

Nel caso in esame la pena è stata contenuta entro un range compreso tra il minimo ed il massimo della pena irrogabile per il reato contestato, a prescindere dalle circostanze ritenute ricorrenti, per cui non si versa in ipotesi di pena cd. "illegale", caso nel quale la corte di legittimità potrebbe rilevare d’ufficio la violazione di legge.

Anche la censura relativa alla mancata applicazione dell’ipotesi del fatto di lieve entità, di cui alla L. n. 895 del 1997, art. 5 è questione che non risulta aver costituito precedente doglianza ed essa, poichè il suo accertamento richiede indagine di fatto non consentita nel giudizio di legittimità, deve, al pari delle altre, essere dichiarata inammissibile.

8.- Conclusivamente, per le ragioni sopraesposte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in mancanza elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento a favore della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in Euro mille, ai sensi dell’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 (mille) alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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