Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 12-04-2011) 28-09-2011, n. 35170 Aggravanti comuni danno rilevante

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 21-4-2010 la Corte di Appello di Catanzaro confermava la condanna alla pena di anni due di reclusione ed Euro 300,00 di multa inflitta per due delitti di tentato furto dal Giudice monocratico del Tribunale di Castrovillari con sentenza del 6-10-2009 a carico di M.J.C., previa riqualificazione del fatto contestato al capo B, nell’ipotesi di cui all’art. 56 c.p., art. 624 bis c.p., commi 1 e 3 e art. 625 c.p., n. 2.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore, con atto depositato il 5/7/2010, deducendo:

1 – relativamente al capo A- contestato ai sensi dell’art. 56 c.p., art. 624 bis c.p., commi 1 e 3, art. 625 c.p., n. 2 – (tentativo di furto in abitazione aggravato per avere commesso il fatto con violenza sulle cose – la inosservanza ed erronea applicazione della fattispecie contestata, ritenendo che nella specie dovesse trovare applicazione l’art. 49 c.p., comma 2, richiamando il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. B).

Sul punto il ricorrente riteneva che la sentenza fosse illogica e contraddittoria, avendo la Corte territoriale escluso l’ipotesi del reato impossibile,in base a due elementi: a) la circostanza che la porta dell’abitazione appariva dall’esterno del tutto normale; b) la circostanza che l’azione si era arrestata perchè la serratura si era bloccata.

Tali dati venivano contrastati dal ricorrente facendo rilevare che la persona offesa aveva dichiarato che vi erano dei graffi ad una porta blindata e che tali segni si trovavano tra il battente della porta e il portoncino.

Inoltre la porta si presentava dotata di serratura non esternarne restava bloccata per un meccanismo di sicurezza.

In base a tali rilievi la difesa riteneva che si sarebbe dovuta applicare la disposizione di cui all’art. 49 c.p., comma 2 e che dovesse ritenersi erronea l’interpretazione delle risultanze probatorie resa in sentenza, osservando che anche il mezzo usato dall’imputato (secondo la sentenza si trattava di un cacciavite), era privo di efficienza causale.

2 – Con altro motivo la difesa deduceva – in relazione alla fattispecie di tentativo di furto dell’autovettura della persona offesa(auto che si trovava all’interno di un’area privata, protetta da recinzione) ,la inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 56 c.p., art. 624 bis c.p., commi 1 e 3, nonchè dell’art. 625 c.p., n. 2 e art. 49 c.p., comma 2, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E) e l’inosservanza dell’art. 521 c.p.p., in riferimento all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. B).

A riguardo rilevava che l’imputato era stato sorpreso dalla persona offesa mentre era intento a forzare con un cacciavite uno sportello della vettura che si trovava nell’area adiacente all’abitazione, protetta da un cancello.

Per tali elementi la difesa rilevava la carenza della motivazione, asserendo che la Corte di Appello non aveva specificato come avrebbe potuto l’imputato, munito di un semplice cacciavite, impossessarsi dell’autovettura d’altra parte censurava la motivazione con la quale si era ritenuta irrilevante la circostanza che l’intento dell’imputato avrebbe potuto essere diverso, ossia di appropriarsi di quanto era contenuto nel veicolo.

Anche per tale condotta la difesa riteneva che dovesse trovare applicazione l’art. 49 c.p., comma 2. 3-Infine il difensore censurava la motivazione relativa alla definizione del trattamento sanzionatorio, deducendo che la Corte aveva escluso la concedibilità delle attenuanti generiche, avendo tenuto in considerazione solo l’esistenza di un precedente specifico, per fatto commesso il giorno precedente, mentre non aveva tenuto conto delle modalità del fatto e dell’assenza di danni rilevanti, elementi che rivelerebbero la scarsa pericolosità del soggetto.

Per tali rilievi concludeva chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

La Corte rileva l’inammissibilità dei motivi di impugnazione.

Invero le deduzioni difensive relative alla erronea applicazione della legge penale, sono state formulate reiterando le richieste già avanzate in grado di appello, senza addurre elementi dai quali potesse desumersi che la Corte territoriale avesse erroneamente interpretato le risultanze probatorie.

Il riferimento fatto alla ipotesi prevista dall’art. 49 c.p. appare manifestamente infondato, atteso che la verifica della concreta idoneità della azione a cagionare l’evento va valutata ex ante, secondo giurisprudenza – v.Cass. Sez. 2, 28 aprile 1989, n. 6457, e in senso conforme, Sez. 2, del 5 aprile 1991, n. 3745.

Peraltro la motivazione della sentenza risulta specifica e adeguata in ordine alle deduzioni difensive,negando correttamente che potesse essere applicato l’art. 49 c.p..

Invero il tentativo di accedere all’interno dell’abitazione deve ritenersi adeguatamente motivato avendo i giudici rilevato nella specie "che l’effrazione per mezzo di un cacciavite di una porta che all’esterno si presentava del tutto normale (la serratura rinforzata era nella parte interna) rendesse verosimile e probabile il conseguimento del risultato".

Anche per il tentativo di furto dell’autovettura, la sentenza deve ritenersi dotata di corretta e specifica motivazione, ravvisando i presupposti che integrano l’azione diretta in modo non equivoco all’impossessamento della cosa altrui.

Infatti la Corte territoriale ha in modo logico e coerente con le risultanze ritenuto che il tentato furto dell’intero veicolo debba intendersi come comprensivo dell’accusa di tentata asportazione del suo contenuto.

In tal senso resta esclusa anche la violazione del principio di correlazione fra l’accusa e la condanna inflitta al ricorrente.

Deve pertanto ritenersi congruamente motivata la sussistenza del tentativo di furto, che nella specie non resterebbe escluso -ai sensi dell’art. 49 c.p. – per la esistenza di un cancello di recinzione del luogo in cui avvenne il fatto, elemento di per sè non influente ai fini di escludere la concreta idoneità degli atti diretti in modo non equivoco a realizzare il delitto contestato, onde resta incensurabile la valutazione resa dai giudici di appello.

Anche a tale riguardo si evidenzia la mera ripetitività delle argomentazioni difensive, che tendono a proporre la tesi della assenza di elementi di prova del fatto come contestato.

In conclusione la sentenza risulta adeguatamente motivata, anche con riferimento alla esclusione dell’aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 7, e resta incensurabile il diniego delle attenuanti generiche, trattandosi di una valutazione discrezionale, che risulta compiuta con congrua e logica motivazione, riferendosi alla esistenza di un precedente specifico a carico dell’imputato.

Tale valutazione resta peraltro in sintonia con la giurisprudenza di legittimità (v. Cass. Sez. 2, del 30-11-2000,n.l2394-RV217918).

In conclusione la Corte deve dichiarare l’inammissibilità del ricorso e a tale pronunzia consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende,che si ritiene di determinare in Euro 1.000.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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