Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 01-04-2011) 28-09-2011, n. 35117

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con ordinanza dell’I 1 ottobre 2010 il Gip del Tribunale di Lecce applicava la misura cautelare della custodia in carcere a P.N., in relazione al reato di favoreggiamento personale (capo Q della rubrica provvisoria), reato contestato come commesso in (OMISSIS).

2. – Il Tribunale di Lecce, investito della richiesta di riesame proposta nell’interesse dell’indagato ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., con pronuncia del 2 novembre 2011, ha confermato l’ordinanza che aveva disposto la misura coercitiva, ritenendo sussistenti a carico dell’Indagato gravi indizi di colpevolezza ravvisati nella circostanza che lo stesso, nella tarda mattinata del (OMISSIS), dopo essere stato aggredito selvaggiamente e ferito con un coltello da R.V., personaggio al vertici di una "compagine criminosa di stampo mafioso" -, episodio da ritenersi accertato con sufficiente grado di certezza, essendo l’autore dell’aggressione sottoposto ad indagini condotte anche attraverso intercettazioni ambientali e telefoniche – "all’uopo interpellato e formalmente interrogato dalla PG procedente, anzichè indicare nel R. (soggetto a lui ben noto) l’autore del tentativo di omicidio in suo danno, aveva fornito una versione dei fatti assolutamente mendace". 2.1 – In particolare i giudici del riesame, nel premettere che il P. il 2 luglio 2007 era stato sentito dalla polizia giudiziaria "in qualità di persona informata dei fatti In quanto vittima dell’episodio delittuoso oggetto di investigazione" e che lo stesso, allorquando rese le mendaci dichiarazioni inserite nella "relazione di servizio" in pari data, posta a base della richiesta di applicazione della misura, non poteva certamente ritenersi "persona sottoposta ad indagini", disattendendo le deduzioni svolte dalla difesa dell’indagato, osservava, sulla scorta di alcuni arresti di questa Corte, che "la mancata verbalizzazione, da parte della polizia giudiziaria, in violazione delle disposizioni contenute nell’art. 357 c.p.p., di dichiarazioni dalla stessa ricevute da persone informate dei fatti, non costituisce, di per sè, causa di nullità o di assoluta inutilizzabilità, sotto qualsiasi forma di dette dichiarazioni. Nulla impedisce, salvi i divieti stabiliti nell’art. 350 c.p.p., che del loro contenuto venga comunque fatta relazione all’autorità giudiziaria e che questa ne possa tenere conto ai fini dell’adozione delle misure cautelari" (In termini Sez. 3, Sentenza n. 863 del 4/03/1998, dep. 29/04/1998, imp. Bolli, Rv. 210743).

2.1 – Quanto alle esigenze cautelari, le stesse ad avviso dei giudici di merito, erano desumibili dalla condotta posta in essere dall’indagato, ritenuta sintomatica "di uno spessore e di una caratura criminale di particolare rilievo", così da comportare "un giudizio altamente negativo" sulla sua indole e personalità, tale da far configurare "il serio e concreto pericolo che lo stesso, se sottoposto a misura diversa dalla custodia in carcere, torni a commettere in modo disinvolto e reiterato altri delitti analoghi a quello per cui si procede, ovvero altri delitti contro la persona e con uso di armi (specie laddove dovesse porre in essere ritorsioni avverso quell’aggressione perpetrata in suo danno)". 3. – Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l’indagato, per il tramite del suo difensore avvocato Biagio Leuzzi.

3.1 – Nel ricorso si denunzia la illegittimità dell’ordinanza per violazione di legge ( art. 111 Cost., artt. 121 e 125 cod. proc. pen.) e vizio di motivazione, con riferimento sia alla valutazione della gravita indiziaria, sia al giudizio di sussistenza delle esigenze cautelari e di esclusiva adeguatezza della misura cautelare applicata.

Più specificamente da parte del ricorrente si evidenzia:

– l’assoluta inutillzzabilità delle dichiarazioni del P., in quanto lo stesso, allorquando venne sentito informalmente dalla polizia, era da tempo sottoposto ad indagini e non poteva qualificarsi come semplice persona informata sui fatti, come del resto ampiamente noto a chi raccoglieva le sue dichiarazioni, fermo restando, per altro, che nel momento in cui l’indagato "riferiva dichiarazioni indizianti" lo stesso doveva essere interrotto e ricevere l’avvertimento di cui all’art. 63 cod. proc. pen.;

– l’incongruità e insufficienza della motivazione svolta in merito alle plurime deduzioni difensive prospettate sul punto dalla difesa, specie avuto riguardo al richiamo di precedenti giurisprudenziali, antecedenti alla novella introduttiva del così detto "giusto processo" e, di contro, la mancata valutazione della più recente elaborazione giurisprudenziale in argomento (S.U. Torcasio; Sez. 6, Sentenza n. 21937 del 01/04/2003 dep. 17/05/2003, imp. Casaburro, Rv.

225681, secondo cui "le dichiarazioni accusatorie non verbalizzate, ma raccolte dalla polizia giudiziaria in una nota informativa, non sottoscritta dal dichiarante, devono considerarsi acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge e ricomprese nell’ipotesi di inutilizzabllità di cui all’art. 191 cod. proc. pen.; ne consegue che la insuscettibilità ad essere utilizzate in dibattimento rende tali dichiarazioni inutilizzabili anche ai fini dell’emissione di una misura cautelare, in quanto deve escludersi che possano costituire gravi indizi di colpevolezza a norma dell’art. 273 cod. proc. pen., non essendo idonee a formulare alcuna prognosi di probabilità della colpevolezza dell’imputato");

– che nel caso in esame difettava il requisito della concretezza ed attualità delle esigenze cautelari, non avendo i giudici del riesame adeguatamente valutato che i fatti contestati erano risalenti nel tempo (quasi quattro anni) e la relativamente modesta entità della pena edittale (anni 4 di reclusione), elementi certamente idonei a determinare un giudizio negativo circa la persistente sussistenza di dette esigenze.

Motivi della decisione

1. – L’impugnazione proposta nell’interesse di P.N. è basata su motivi infondati e va quindi rigettata.

2.1 – L’iter argomentativo dell’ordinanza impugnata appare infatti esente dai vizi, quanto alla ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato, fondandosi esso su di una compiuta e logica analisi critica degli elementi indiziari e sulla loro coordinazione In un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della gravita, in quanto conducenti, con un elevato grado di probabilità, rispetto al tema di indagine, ad un’affermazione di responsabilità dell’indagato in ordine allo specifico fatto delittuoso a lui contestato, dovendo qui evidenziarsi, in particolare, che il divieto di testimonianza sulle dichiarazioni rese dall’imputato o dalla persona soggetta alle indagini, sancito dall’art. 62 cod. proc. pen., non si applica quando l’interessato sia stato sentito in qualità di persona informata sui fatti, e proprio le sue dichiarazioni abbiano dato vita al reato perseguito mediante il procedimento nel cui ambito la testimonianza deve essere assunta (In tal senso, ex multis, Sez. 6, Sentenza n. 7995 del 18/01/2005, dep. il 2/03/2005, Rv. 231308, imp. Granata), avendo questa Corte chiarito, in particolare, che le dichiarazioni "indizianti" evocate dall’art. 63 c.p.p., comma 1 sono quelle rese da un soggetto sentito come testimone o persona informata sui fatti che riveli circostanze da cui emerga una sua responsabilità penale, non invece quelle attraverso le quali il medesimo soggetto realizzi il fatto tipico in una determinata figura di reato quale il favoreggiamento personale, la calunnia o la falsa testimonianza (In termini Sez. 6, Sentenza n. 33836 del 13/05/2008, dep. il 25/08/2008, Rv. 240790, imp. Pandico).

Nè appare rilevante la dedotta circostanza che quando l’odierno indagato venne sentito dalla polizia giudiziaria, la stessa avesse comunque già acquisito aliunde notizie in merito alla selvaggia aggressione da lui subita, avendo questa Corte già da tempo precisato come integrano il reato di favoreggiamento personale le false indicazioni rese all’autorità di polizia giudiziaria che siano dirette a non consentire l’identificazione del colpevole, a nulla rilevando che le investigazioni dell’autorità siano effettivamente eluse, in quanto è sufficiente che la condotta dell’agente abbia l’attitudine, sia pure astratta, a intralciare il corso della giustizia, sicchè nessun rilievo scriminante può essere attribuito alla loro ininfluenza nel caso concreto (così Sez. 6, Sentenza n. 24161 del 24/10/2006, dep. il 20/06/2007, Rv. 236688, imp. D’Angelo).

2.2 – Infondate risultano, infine, anche le censure sollevate in ricorso con riferimento all’adeguatezza della misura applicata.

Osserva in proposito il Collegio che dal contenuto dell’impugnato provvedimento emerge che il Tribunale del riesame ha ritenuto l’esistenza delle esigenze di social – prevenzione previste dall’art. 274 cod. proc. pen., comma 1, lett. c), e quindi l’esistenza di una prognosi sfavorevole di reiterazione di condotte delittuose, argomentando innanzi tutto dalle specifiche modalità del fatto – adozione da parte dell’indagato di un atteggiamento espressione di canoni comportamentali (omertà, reticenza, assenza di rispetto per l’autorità) che caratterizzano notoriamente i contesti malavitosi di stampo mafioso o ad essi contigui – e dalla negativa personalità dello stesso quale desumibile anche dai molteplici e gravi precedenti, che includevano anche delitti contro la persona e relativi ad armi, ritenendo tali elementi tali da configurare il serio e concreto pericolo che lo stesso, se sottoposto a misura per sè indicativi della considerevole pericolosità sociale del P., torni a commettere in modo disinvolto e reiterato altri delitti analoghi a quello per cui si procede, ovvero altri delitti contro la persona e con uso di armi (specie laddove dovesse porre in essere ritorsioni avverso quell’aggressione perpetrata in suo danno)". Valutazioni queste assolutamente corrette, atteso che le specifiche modalità e circostanze del fatto costituiscono un elemento fondamentale nella valutazione della personalità del soggetto, in quanto afferenti ad un episodio concreto già effettivamente posto In essere dall’interessato.

Sul punto va altresì rilevato come la pericolosità dell’indagato possa essere desunta anche esclusivamente dalie modalità e circostanze del fatto commesso, e cioè dai comportamenti o atti concreti posti in essere dallo stesso in tale circostanza, e possa essere ritenuta anche in assenza di precedenti penali a carico del predetto (in tal senso si veda ex multis Cass., sez. 1, sentenza n. 35219 del 21.10.2002), nel caso in esame, per altro, concretamente esistenti. Alla stregua di tali considerazioni, ritiene il Collegio che la motivazione del Tribunale del riesame sia sul punto assolutamente corretta e puntuale, e si sottragga quindi ai rilievi ed alle censure sviluppate in ricorso, dovendo altresì rilevarsi quanto alla dedotta "mancanza di attualità" delle esigenze cautelari, che questa Corte ha già avuto modo di chiarire in proposito, che l’attualità e concretezza delle esigenze cautelari può rinvenirsi anche quando il delitto accertato risalga nel tempo, ma l’indagato, come ben evidenziato nell’ordinanza impugnata con motivazione congrua ed immune da vizi e per ciò incensurabile in questa sede, continua a mantenere atteggiamenti sintomaticamente proclivi al delitto e collegamenti con l’ambiente in cui il delitto stesso risulta maturato, nel senso che l’attualità e concretezza delle esigenze cautelari non deve essere concettualmente confusa con l’attualità e concretezza delle condotte criminose, ben potendo sussistere il caso concreto in cui, alla attualità delle esigenze cautelari non corrisponda una pari attualità delle condotte criminose (in termini Sez. 3, Sentenza n. 2156 del 7/7/1998, Rv.

211827).

Pertanto anche sotto questo profilo il ricorso proposto denota la sua infondatezza.

3. – L’ordinanza, nel suo complesso, resiste quindi alle censure sviluppate in ricorso, che va quindi rigettato, con tutte le conseguenze di legge.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del presente provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *