Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 01-04-2011) 28-09-2011, n. 35114

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con ordinanza deliberata il 29 settembre 2010 il Gip del Tribunale di Lecce applicava la misura cautelare della custodia in carcere a V.G., indagato per partecipazione ad associazione di tipo mafioso armata, (capo A della rubrica provvisoria), reato contestato come commesso in (OMISSIS) e nella provincia di (OMISSIS) in poi, con condotta permanente; per partecipazione ad associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti, con disponibilità di armi (capo B della rubrica), contestato come commesso in (OMISSIS) e nella provincia di (OMISSIS) in poi, con condotta permanente; nonchè per detenzione per fini di spaccio e per confezionamento per la successiva vendita al minuto, di quantitativi imprecisati di sostanza stupefacente (capo C della rubrica), contestato commesso in (OMISSIS)) e per concorso in estorsione aggravata (capo F della rubrica), reato commesso in (OMISSIS).

2. – Il Tribunale di Lecce, investito della richiesta di riesame proposta nell’interesse dell’indagato ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., con pronuncia del 29 ottobre 2010, ha confermato l’ordinanza che aveva disposto la misura coercitiva.

2.1 – Il Tribunale, in via preliminare, ha ritenuto infondate sia l’eccezione di nullità dell’udienza camerale "a seguito della mancata traduzione dell’imputato in vincufis", sia quella di perdita di efficacia della misura per la mancata trasmissione dei verbali relativi alle "dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia e dei quali si fa menzione nella ordinanza custodiate". 2.1.1 – Con riferimento alla prima eccezione, il tribunale, dopo avere premesso che l’indagato era detenuto in un luogo, (OMISSIS), posto fuori della circoscrizione del tribunale, evidenziava che in tale eventualità l’art. 127 c.p.p., comma 3 prevede soltanto un diritto dell’interessato ad essere sentito dal giudice di sorveglianza e non anche a comparire personalmente all’udienza camerale, con conseguente obbligo di disporne la traduzione.

2.1.2 – Con riferimento alla seconda eccezione, il tribunale riteneva che l’obbligo posto dall’art. 309 cod. proc. pen., comma 5 "in capo all’autorità procedente" era stato adeguatamente soddisfatto, attraverso la trasmissione delle "informative della P.G." (nelle quali, per altro, erano richiamati "i passi salienti" delle dichiarazioni dei collaboratori) "senza che vi fosse alcun onere di reperire e trasmettere i singoli verbali delle deposizioni dei collaboratori", e ciò, "specie se siffatti verbali non fossero stati originariamente, materialmente e singolarmente presentati dal PM a corredo della propria richiesta", ritenendo i giudici del riesame sul punto, pienamente condivisibile il principio di diritto enunciato da questa Corte, secondo cui "il pubblico ministero deve comunicare al giudice tutte le fonti di prova su cui fonda la propria richiesta, ma non anche tutti gli atti o documenti da cui quel materiale probatorio risulta" (in tal senso Sez. 3, Sentenza n. 59 del 13/1/1999, dep. 25/02/1999, imp. Munisi, Rv. 213158).

2.2 – Nel merito, il Tribunale rileva:

che dagli elementi indiziari, raccolti e correttamente valutati dal GIP, emergeva non soltanto l’esistenza di "una struttura associativa poggiante su uno stabile vincolo tra adepti, costituente una frangia (operante nella Provincia di (OMISSIS) e nel territorio di (OMISSIS)) della Sacra Corona Unita, egemonicamente ascrivibile alla figura di Vi.An. e nello specifico ambito del clan oggetto di contestazione, alle figure di V.G. e del fratello Da. e di P.A., ma anche lo stabile Inserimento dell’indagato in entrambi i contesti associativi di cui ai capi A e B della rubrica, pur in assenza di dichiarazioni accusatorie provenienti da collaboratori di giustizia, emergendo esso inequivocamente dalle intercettazioni, malgrado il frequente ricorso dei colloquianti ad un linguaggio criptico, e dai servizi di osservazione anche filmata, attestanti: lo stabile contatto con i partecipi dell’organizzazione criminale; il fattivo "contributo" fornito dall’indagato alla realizzazione delle illecite finalità perseguite dalla consorteria; la diretta partecipazione alla risoluzione delle problematiche relative alla spartizione dei guadagni ed alla "riduzione dei responsabili di ogni attività delinquenziale" in una logica di ottimizzazione della rete e conseguente massimizzazione dei profitti; alla commissione di estorsioni ai danni di operatori economici operanti nell’area territoriale ed in particolare di una sala giochi gestita da C.A.A. e N.D.; attività delittuosa all’origine dei dissapori con altri sodali, autori di autonome richieste estorsive, emersi in modo palese dalle intercettazioni eseguite.

3. – Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il V., con due autonomi atti d’impugnazione, redatti, rispettivamente, dall’avvocato Marcello Falcone e dall’avvocato Elvia Belmonte.

3.1 – Nel ricorso proposto dall’avvocato Falcone si denunzia:

1) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e di norme processuali ed in particolare dell’art. 273 cod. proc. pen.; degli artt. 416 bis cod. pen. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74; non emergendo dal compendio indiziario alcun elemento effettivamente dimostrativo: (a) degli elementi costituitivi delle fattispecie associative contestate quali delineati dalla elaborazione giurisprudenziale (vincolo associativo a carattere permanente;

esistenza di un minimo di organizzazione a carattere stabile;

programma criminoso volto al compimento di una serie indeterminata di delitti), venendo desunta l’esistenza di un’associazione, di fatto, solo dalle precedenti condanne subite da alcuni dei coindagati ma non già dal ricorrente; (b) di un effettivo coinvolgimento dello stesso nel sodalizio, richiedendosi al riguardo un’adeguata dimostrazione di un contributo personale, continuativo e duraturo, finalizzato al raggiungimento degli scopi illeciti;

2) mancanza ed illogicità della motivazione, segnalando in particolare il ricorrente quali elementi sicuramente rivelatori del denunciato vizio, la insufficiente risposta fornita ai plurimi rilievi difensivi sviluppati in sede di riesame con riferimento alla insussistenza di chiamate In correità a carico del V.;

l’errata individuazione del rapporto parentale del ricorrente con il coindagato Vi.Da. (cugino e non già fratello); la valorizzazione di un’unica telefonata intercettata, quella n. 161 del 5 maggio 2008, interpretata in modo definito "inaccettabile" – attraverso il ricorso al notorio – per quanto attiene il significato da attribuire ai termini "turbina" e "scoppiare", ritenuta elemento insufficiente ad integrare la gravità indiziaria relativamente al reato associativo o a qualunque attività di spaccio.

3.2 – Nel ricorso proposto dall’avvocato Belmonte, si deduce invece:

1) la nullità dell’ordinanza per vizio di motivazione e violazione di norme processuali ( art. 125 c.p.p., art. 127 c.p.p., comma 3, art. 309 c.p.p., commi 5 e 10) in relazione al rigetto dell’eccezione di Inefficacia della misura cautelare;

2) la nullità dell’ordinanza per vizio di motivazione e violazione di norme processuali ( art. 125 c.p.p., art. 127 c.p.p., comma 3, art. 309 c.p.p., comma 8, art. 178 c.p.p., lett. c) e art. 179 cod. proc. pen.) in relazione al rigetto dell’eccezione relativa alla nullità della udienza camerale svoltasi dinanzi al tribunale del riesame;

3) la nullità dell’ordinanza per mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione e per violazione di norme penali sostanziali e processuali (art. 416 bis, cod. proc. pen., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, artt. 125, 309, 273 e 292 cod. proc. pen.), con riferimento alla ritenuta sussistenza di gravi indizi, relativamente alla partecipazione del ricorrente ad una associazione mafiosa dedita anche al traffico di droga.

Motivi della decisione

1. – L’impugnazione proposta nell’interesse di V.G. è basata su motivi infondati e va quindi rigettata.

2. – Con riferimento alla dedotta perdita di efficacia dell’ordinanza che ha disposto la misura coercitiva ex art. 309 c.p.p., commi 5 e 10 – censura preliminare rispetto a quelle afferenti il merito – ha già risposto lo stesso Tribunale del riesame, allorquando (pag. 2) ha osservato che, in realtà, risultavano inviati tutti gli atti messi a disposizione del Giudice delle indagini preliminari.

Le rinnovate censure sul punto risultano, invero, oltremodo generiche, perchè, così come formulate – omessa trasmissione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia – non illustrano la rilevanza degli atti non trasmessi, specie alla luce del rilievo dei giudici del riesame, secondo cui i collaboratori non risultano aver reso dichiarazioni accusatorie nei confronti dell’indagato.

A tal proposito occorre ricordare che il sistema riconosce alla parte il diritto di chiedere di esaminare gli atti che la riguardano una volta venuto meno, con l’emissione della misura cautelare, il segreto. Più specificatamente, poi, gli atti presentati dal Pubblico ministero al giudice insieme alla richiesta di misura sono depositati con essa, a norma dell’art. 293 c.p.p., comma 3, e sono a disposizione del difensore, che ha facoltà anche di estrarne copia (C. cost. n. 192 del 1997). Cosa che consente ampiamente alla parte di esercitare il suo diritto di difesa e di documentare l’eventuale denunzia di violazione dell’art. 309 cod. proc. pen., comma 5.

D’altra parte, proprio sul rilievo che il sistema attuale, grazie all’art. 293 cod. proc. pen. dopo le modifiche recate dalla L. n. 335 del 1995 e dagli interventi della Corte costituzionale, anticipa al momento del deposito del provvedimento cautelare la facoltà prevista nel procedimento incidentale del riesame dall’art. 309 cod. proc. pen., comma 8, le Sezioni Unite, con la sentenza n. 19853 del 27.3.2002, imp. Mohamed Ashraf, hanno osservato come proprio il deposito degli atti sui quali la misura si fonda ad opera dello stesso Giudice delle indagini preliminari, ha l’effetto di anticipare la garanzia sostanziale di conoscenza e di dare concretezza al ruolo attivo e di propulsione della difesa, anche in vista della acquisizione o della produzione diretta, calibrata alle specifiche censure addotte, degli atti dalla difesa stessa conosciuti e ritenuti interessanti per il giudizio di impugnazione. Sicchè tale sistema razionalmente comporta una riduzione degli effetti sanzionatori istituiti dall’art. 309 cod. proc. pen. alla situazione della mancata trasmissione degli atti presentati dal pubblico ministero al giudice "ed effettivamente utilizzati nell’economia del provvedimento impositivo, restando esclusa la necessità della presenza di un atto non decisivo": potendo in via di eccezione Integrare l’ambito conoscitivo del riesame la difesa, che ha avuto tempestiva conoscenza degli elementi sostanziali su cui la richiesta di cautela si fondava.

Con la conseguenza, espressa da orientamento oramai consolidato e che il Collegio condivide, che la denunzia di omessa trasmissione di atti non può che riguardare specifiche omissioni di dati sostanziali decisivi già presi in considerazione dal giudice cautelare e sui quali doveva, per tale ragione, incentrarsi il controllo In sede di riesame (cfr: sez. 2, n. 6334 del 17.1.2007, Bombardi; Sez. 2, n. 15077 del 27.2.2007, Toffoio; sez. 5, n. 28183 del 13.5.2008, nonchè, seppure in tema di misura cautelari reali, S.U., 29 maggio 2008 n. 25933, Malgioglio e S.U. n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, non massimata sul punto).

2.1 – Anche l’eccezione di nullità dell’ordinanza a ragione della mancata traduzione dell’indagato, ripropone argomentazioni già disattese dal Tribunale con adeguata motivazione, senza fornire significativi elementi di novità, ove si consideri che questa Corte (in termini, si veda Sez. 6, Sentenza n. 1634 del 01/06/1993, dep. il 25/08/1993, Rv. 194939, imp. Rossi) ha da tempo precisato come, In materia di riesame di misure cautelari personali, la persona indagata sottoposta a custodia cautelare in carcere la quale abbia proposto, ex art. 309 c.p.p., comma 1, richiesta di riesame del provvedimento restrittivo della libertà personale emesso dal G.I.P. deve, ove ne abbia fatta richiesta ai sensi dell’art. 127 cod. proc. pen., comma 3 essere tradotta affinchè possa presenziare all’udienza di trattazione del gravame, se trovasi detenuta in luogo posto all’interno della circoscrizione del tribunale del riesame; se, invece, come si è verificato nel caso in esame, è detenuta fuori della circoscrizione del predetto tribunale (in Benevento) deve essere ascoltata prima del giorno dell’udienza dal magistrato di sorveglianza del luogo, semprechè abbia espresso la richiesta in tempo utile; circostanza questa di cui, però, neppure in questa sede è stata fornita adeguata prova.

3. – Infondate devono ritenersi, infine, anche le censure in punto di gravità del compendio indiziario sviluppate, in entrambi i ricorsi.

L’iter argomentativo dell’ordinanza impugnata appare infatti esente dai vizi denunciati, essendo fondato su una compiuta e logica analisi critica degli elementi indizianti – solo sommariamente illustrati al paragrafo 2.1 dell’esposizione in fatto – e sulla loro coordinazione in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della gravità, in quanto conducenti, con un elevato grado di probabilità, rispetto al tema di indagine concernente la responsabilità di V.G. in ordine ai reati a lui contestati, e rispetto ai quali, non risultano prospettate specifiche e rilevanti censure, tale non potendosi ritenere, in particolare, la deduzione relativa all’Inesatta qualificazione del rapporto di parentela del ricorrente con l’indagato Vi.Da. ovvero le deduzioni relative all’erroneo significato attribuito dai giudici del riesame alle conversazioni intercettate – dovendosi qui ribadire, in particolare, con riferimento alla contestata partecipazione dell’indagato al sodalizio criminale indicato nell’imputazione cautelare, il principio, da tempo enunciato da questa Corte, secondo cui "in tema di reati associativi, gli elementi certi relativi alla partecipazione di determinati soggetti ai reati fine effettivamente realizzati possono essere influenti nel giudizio relativo all’esistenza del vincolo assodativo e all’inserimento dei soggetti nell’organizzazione, specie quando ricorrano elementi dimostrativi del tipo di criminalità, della struttura e delle caratteristiche dei singoli reati, nonchè delle modalità della loro esecuzione" (in tal senso, ex multis, Sez. 5, Sentenza n. 21919 del 04/05/2010, dep. C8/06/2010, Rv. 247435, imp. Procopio).

Considerato, del resto, che il giudizio svolto dal Tribunale attiene al grado di inferenza degli indizi e, quindi, all’attitudine più o meno dimostrativa degli stessi in termini di qualificata probabilità di colpevolezza anche se non di certezza, la motivazione dell’ordinanza impugnata supera il vaglio di legittimità demandato a questa Corte, il cui sindacato deve arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità ai canoni legali che presiedono all’apprezzamento dei gravi Indizi di colpevolezza ( art. 273 c.p.p.) per l’emissione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, senza poter attingere l’intrinseca consistenza delle valutazioni riservate al giudice di merito.

4. – In conclusione, risultando infondati in tutte le loro articolazioni, entrambi I ricorsi devono essere rigettati ed il ricorrente deve essere condannato, per legge, al pagamento delle spese processuali.

La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

P.Q.M.

rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del presente provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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