Cons. Stato Sez. VI, Sent., 21-10-2011, n. 5667 Dichiarazione di fallimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia – Sede di Milano- ha respinto il ricorso proposto dalla curatela fallimentare della E. I. Spa volto ad ottenere l’annullamento dell’ordinanza n. 58 del 9.08.2010, adottata dal Direttore Operativo del Comune di Milano avente ad oggetto la acquisizione al patrimonio disponibile comunale delle aree già di proprietà della E. I. SPA, dell’accordo di programma stipulato in data 22.11.2007 fra il Ministero dell’Ambiente e della tutela del Territorio e del mare, la regione Lombardia, la Provincia di Pavia, il Comune di Broni, nella parte in cui identificava nel Comune di Broni il soggetto pubblico beneficiario del trasferimento delle aree già di proprietà della E. I. SPA e, infine, della nota della Regione Lombardia 11 maggio 2010, prot. 8490.

Il primo giudice, prescindendo dalla eccezione di tardività del mezzo di primo grado formulata dal Comune odierno appellato ha partitamente preso in esame le tre articolate doglianze proposte respingendole.

Quanto alla lamentata violazione e falsa applicazione dell’art. 1,comma 436, L. 23 dicembre 2005, n. 266 (la disciplina ivi contenuta era stata ritenuta applicabile anche ai fallimenti intervenuti prima dell’entrata in vigore della legge) ha escluso che fosse corretto fornire un’interpretazione della citata norma in senso strettamente letterale. Ciò infatti avrebbe portato ad escluderne la applicabilità alle procedure fallimentari aperte in epoca anteriore alla sua entrata in vigore (1 gennaio2006).

Senonchè, pur dovendosi ammettere che per effetto di una imperfetta tecnica di redazione della norma non era stato ivi chiarito che per i fallimenti in corso la decorrenza del termine ivi previsto aveva inizio dal momento dell’entrata in vigore della legge, tale logica interpretazione doveva imporsi posto che, diversamente opinando, la possibilità di bonifica dei siti nazionali, come individuati dalla legge e dal successivo decreto ministeriale, sarebbe stata condizionata dalla data di dichiarazione del fallimento.

Al contrario, la premessa tenuta presente nella citata disposizione era quella per cui interventi di bonifica radicali (comportanti anche una modificazione dell’assetto dell’area) non potessero essere realizzati senza acquisire anche la disponibilità giuridica dell’area medesima.

Pertanto era stata ivi prevista una disciplina speciale per quelle situazioni di grave inquinamento che non potevano essere risolte attraverso gli strumenti ordinari previsti dall’allora vigente D.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22 (i cui contenuti sono stati sostanzialmente riproposti anche nel d. Lgs 3 aprile 2006 n. 152), ma che richiedevano l’intervento di tutti gli enti territoriali oltre che dello Stato per assicurare i finanziamenti necessari.

Non si era in presenza di alcuna applicazione retroattiva della norma ma dell’impegno a dar corso ad operazioni di bonifica (nel termine di centottanta giorni dall’entrata in vigore della norma o dall’individuazione degli strumenti necessari a tale scopo all’esito di conferenze di servizi prodromiche di accordi di programma come quello impugnato).

Anche il secondo motivo di censura volto a negare il presupposto applicativo della citata disposizione era infondato.

Non rispondeva alla realtà, infatti, l’affermazione per cui nel caso di specie non ci si trovasse al cospetto di un inadempimento della curatela fallimentare all’obbligo di dare inizio agli interventi di messa in sicurezza dell’area: al contrario, doveva affermarsi non vi era in atti alcuna prova del’impegno della curatela ad effettuare operazioni di bonifica (in particolare, non appariva integrare tale impegno la nota del 8.3.2004 proveniente dalla curatela ed indirizzata alla A.S.L. di Pavia con cui si comunicava l’avvenuta vendita di alcuni beni componenti la massa attiva del fallimento e la disponibilità ad effettuare un sopralluogo sul sito aziendale, ormai sgombro di materiali, affinchè il Comune di Broni potesse dare avvio alle operazioni di bonifica).

In ultimo, è stata esclusa sussistenza del vizio di eccesso di potere per contraddittorietà in quanto le determinazioni gravate si assumevano contrastanti con le conclusioni cui era pervenuta la conferenza di servizi decisoria del 27. febbraio.2008 (che prevedevano solo la realizzazione da parte del Comune di interventi di emergenza in attesa del’aggiudicazione di una gara europea per l’affidamento dei lavori per la messa in sicurezza definitiva del’area).

Al contrario, la determinazione dirigenziale del Ministero dell’Ambiente del 27 novembre 2008 invitava il Comune di Broni a svolgere ad horas gli interventi di messa in sicurezza d’urgenza al posto del soggetto obbligato (rimasto inadempiente): successivamente la bonifica vera e propria sarebbe stata effettuata da ditta specializzata all’esito di gara europea a cagione della entità dell’appalto.

La originaria ricorrente rimasta soccombente ha proposto appello chiedendo la riforma della decisione del Tribunale amministrativo: riepilogata in punto di fatto la vicenda contenziosa ha integralmente riproposto le doglianze contenute nel ricorso di primo grado ribadendo in primo luogo la contrarietà al canone interpretativo di irretroattività della tesi affermata dal primo giudice (e peraltro collidente con i principi affermati nella Cedu): i fallimenti in itinere alla data di entrata in vigore della disposizione di cui all’art. 1,comma 436, della L. 23 dicembre 2005, n. 266 avrebbero subito la penalizzante sanzione della perdita della proprietà sull’area a cagione dell’omessa predisposizione di incombenti non previsti prima della entrata in vigore della norma citata.

L’appellata amministrazione comunale ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione dell’appello perché infondato ribadendo la assorbita eccezione di tardività della proposizione del mezzo di primo grado a cagione della omessa tempestiva impugnazione dell’Accordo di programma. Tale atto, infatti, aveva contenuto immediatamente lesivo in quanto stabiliva che il trasferimento della proprietà dell’atto di sedime sarebbe avvenuto coattivamente, in applicazione dell’art. 1,comma 436, della sopracitata legge, in favore del Comune di Broni.

La omessa impugnazione immediata di tale atto comportava che il ricorso avverso gli atti conseguenti doveva considerarsi tardivo.

Alla camera di consiglio del 21 gennaio 2011 fissata per l’esame dell’istanza cautelare di sospensione della esecutività della sentenza appellata la trattazione della causa è stata rinviata al merito.

Alla odierna pubblica udienza del 21 giugno 2011 la causa è stata posta in decisione.

Motivi della decisione

1.L’appello è infondato e merita di essere respinto alla stregua delle considerazioni che seguono: può pertanto prescindersi dall’esame dell’eccezione di tardività del mezzo di primo grado riproposta dall’appellata amministrazione comunale.

2. La prima – e più radicale- censura da esaminare concerne la interpretazione della disposizione di cui all’art. 1 comma 436, della legge 23 dicembre 2005, n. 266.

Come è agevole riscontrare, l’articolato legislativo ricollega alla condotta inerte ("qualora non sia stato avviato l’intervento di messa in sicurezza d’emergenza, caratterizzazione e bonifica") protrattasi per 180 giorni un effetto ablativo della proprietà. Esso inoltre richiama il comma 434, che fa riferimento alle "aree inquinate per le quali sono in atto procedure fallimentari".

Il primo dato sul quale pertanto deve convenirsi – contrariamente a quanto sostenutosi nell’appello – è quello per cui gli accordi di programma riguardano aree inquinate per le quali, al momento della entrata in vigore della predetta legge "sono in atto" procedure fallimentari.

Si rammenta in proposito che, secondo la costante giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, (Cassazione civile, sez. I, 09 settembre 2005, n. 17998)la procedura fallimentare inizia con la dichiarazione di fallimento, dovendosi tenere distinta da tale fase, volta alla realizzazione dell’esecuzione concorsuale, la procedura prefallimentare – di incerto esito e volta alla dichiarazione del fallimento.

La legge, pertanto, doveva applicarsi alle aree rientranti nei compendi immobiliari in ordine ai quali fosse già stata emessa la dichiarazione di fallimento (od altro provvedimento equipollente).

Non è contestabile, né contestato che l’area per cui è causa possedesse detto requisito.

La tesi dell’appellante volta ad affermare che la disposizione potesse applicarsi unicamente ai fallimenti dichiarati dopo la entrata in vigore della legge predetta appare destituita di fondamento in quanto collidente con l’affermazione di principio del comma 434 che riguarda proprio le aree già oggetto di sentenza dichiarativa di fallimento; essa appare altresì illogica in quanto contrastante con la ratio della legge,volta a consentire la urgente bonifica di aree inquinate da parte degli enti locali laddove le curatele fallimentari non vi avessero provveduto.

La interpretazione sistematica del primo giudice (che non implica ovviamente alcuna illegittima affermazione di retroattività della disposizione predetta) appare corretta sia alla stregua del canone di irretroattività, sia alla stregua del citato incipit del comma 434 sia alla stregua del principio per cui, disponendo di regola la legge unicamente per l’avvenire, ove nella stessa non sia specificato un diverso termine di decorrenza, esso va individuato con riferimento al momento della entrata in vigore delle legge medesima.

Si rammenta, in ultimo, che analoga interpretazione è stata costantemente resa dalla giurisprudenza civile di merito con riferimento alla prescrizione contenuta all’art. 153 del d.Lgs 9 gennaio 2006 n. 5 che presenta problematiche di difettoso coordinamento analoghe a quelle oggetto della odierna causa, essendosi affermato che in caso di proposta di concordato fallimentare – depositata successivamente all’entrata in vigore della novella alla l. fall. – che va a reiterare una precedente domanda presentata prima dell’entrata in vigore della novella stessa, si applica il nuovo art. 124 l. fall. secondo cui sussiste la legittimazione del debitore a presentare la proposta di concordato, qualora non siano trascorsi anni due dall’entrata in vigore della novella.

2.1. D’altro canto, una volta escluso, in virtù della espressa disposizione di cui al citato comma 434, che la disposizione in esame non potesse applicarsi anche ai fallimenti pregressi, e laddove si consideri che è provato per tabulas (e la deduzione di seguito esposta vale a confutare anche il secondo motivo di gravame) che la curatela non ebbe ad impegnarsi in nessuna operazione di bonifica, né successivamente alla entrata in vigore della norma più volte citata, né prima di essa, a seguito del dichiarato fallimento, l’appellante non ha alcuna ragione di dolersi della statuizione del primo giudice.

2.2. la censura merita quindi di essere respinta, risultando peraltro palesemente inaccoglibili le generiche censure incentrate sulla supposta contraddittorietà della legge citata con le disposizioni della Cedu, posto che per le già chiarite ragioni non si può in essa ravvisare alcuna retroattiva misura ablatoria del diritto di proprietà.

3. Analoga sorte merita il secondo motivo di doglianza.

Si è già chiarito, prima, che il Collegio non ravvisa alcun "principio di esecuzione" nella condotta della curatela fallimentare, tale non potendosi ritenere la citata nota del 8.3.2004 da essa indirizzata alla A.S.L. di Pavia: quest’ultima conteneva infatti una mera comunicazione della avvenuta vendita di alcuni beni e la disponibilità ad effettuare un sopralluogo sul sito aziendale, ma era certamente inidonea ad essere valutata quale "principio di esecuzione di una attività di bonifica e disinquinamento dell’area ", come apoditticamente sostenuto nel ricorso in appello.

Ciò smentisce in punto di fatto il primo caposaldo della doglianza, non potendo certo detta nota valere a far considerare integrato il presupposto ostativo previsto dalla suindicata disposizione di cui al comma 436 ("qualora non sia stato avviato l’intervento di messa in sicurezza d’emergenza, caratterizzazione e bonifica.") che riposa in una vera e propria attività materiale che doveva, quantomeno, essere stata già intrapresa dopo l’entrata in vigore della legge predetta con prospettive di conclusione in un ragionevole arco di tempo.

La detta doglianza è smentita anche sotto il connesso profilo della lamentata insussistenza del presupposto di "attribuibilità soggettiva" della condotta omissiva in capo alla curatela e titolo di dolo o colpa.

La legge citata, infatti, non ha affatto inserito tale profilo "soggettivo" del dolo o della colpa della curatela quale presupposto legittimante l’ablazione dell’area, nella evidente consapevolezza che le problematiche della incapienza finanziaria delle curatele fallimentari non sono certo di regola attribuibili a queste ultime, e che condizionare l’intervento di bonifica e la ablazione dell’area di sedime al positivo riscontro di un simile presupposto avrebbe comportato mplicato nella maggior parte dei casi la impossibilità applicativa delle citate disposizioni.

Invero l’esigenza tenuta presente dal Legislatore è stata unicamente quella di procedere alla bonifica, fornendo all’ente locale lo strumento utile a disporla; si prescinde ivi da qualsiasi giudizio sfavorevole sull’operato della curatela, e men che meno sulla attribuibilità dell’omissione a quest’ultima sotto il profilo soggettivo; l’unico elemento valutabile riposa nella circostanza – o meno- che l’intervento sia stato già avviato.

La pacifica circostanza della insussistenza di tale elemento impedisce di tenere presente la (soltanto oralmente affermata dall’appellante, per il vero) "buona volontà della curatela" e, allo stesso tempo, implica la circostanza che non può ritenersi affetto da carenza motivazionale il provvedimento che tale supposto elemento non abbia positivamente vagliato.

3.Quanto alla terza doglianza essa è parimenti infondata (se non anche inammissibile, posto che l’appellante si è limitata a reiterare le argomentazioni contenute nel mezzo di primo grado e disattese dal primo giudice senza fornire alcun apporto critico rispetto alla decisione di primo grado).

Il Collegio non ravvisa alcuna "contraddittorietà" nell’operato dell’amministrazione, rispetto alle determinazioni conclusive della conferenza di servizi decisoria del 27 novembre 2008.

Il fine della procedura avviata (ottenere la bonifica dell’area) è infatti sempre il medesimo; la circostanza che il comune di Broni sia stato prima individuato qual soggetto obbligato ad eseguire le opere in danno della inadempiente curatela, e successivamente si sia invece utilizzato lo strumento normativo di cui di cui all’art. 1 comma 436 della L. 23 dicembre 2005, n. 266, non implica (nel permanere della sostanziale inattività della curatela, che costituiva, come già prima rilevato il presupposto legittimante) che si possa ravvisare contraddittorietà viziante nel percorso seguito dalle amministrazioni, e ciò tanto più laddove non si nega da parte dell’appellante medesima che entrambe le procedure normative applicabili perseguivano il medesimo fine di consentire in tempi celeri la bonifica delle aree inquinate.

4. Conclusivamente, la appellata decisione resiste alle censure dedotte nel ricorso in appello che deve pertanto essere disatteso

5. Le spese processuali possono essere compensate nei confronti dell’ appellato Ministero, mentre devono seguire la soccombenza nei confronti dell’appellata amministrazione comunale, pertanto l’appellante deve essere condannata al pagamento delle medesime in favore dell’appellata amministrazione comunale di Broni in misura che appare congruo quantificare, avuto riguardo alla natura della controversia, in Euro cinquemila (Euro 5000/00) oltre accessori di legge, se dovuti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)definitivamente pronunciando sull’appello, numero di registro generale 10064 del 2010, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali in favore dell’appellata amministrazione comunale di Broni in misura che appare congruo quantificare, avuto riguardo alla natura della controversia, in Euro cinquemila (Euro 5000/00) oltre accessori di legge, se dovuti, mentre le compensa per il resto.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dalla Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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