Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 14-02-2012, n. 2068

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso del 4 novembre 2003 al Tribunale di Milano, C. G. chiedeva nei confronti della datrice di lavoro s.p.a. Hilti Italia, in via gradata; a) la dichiarazione di legittimità del licenziamento intimatogli il 31 maggio precedente e l’ordine di reintegrazione con collocamento in aspettativa retribuita; b) la condanna della società al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso; c) la dichiarazione di invalidità delle sue dimissioni condizionate alla non spettanza dell’aspettativa per nomina a direttore amministrativo di un’azienda sanitaria locale di Latina.

Presupposto di tutte queste domande era l’affermazione del diritto a detta aspettativa, ai sensi del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 3, comma 3 bis.

Costituitasi la convenuta, il Tribunale rigettava la domanda con decisione confermata, con sentenza del 30 novembre 2005, dalla Corte d’appello, la quale riteneva che "il D.Lgs. 19 giugno 1999, n. 229, art. 3, introduttivo di un D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 3, comma 3 bis", usando il termine "le amministrazioni di provenienza", avesse previsto aspettativa e trattamento di quiescenza per i soli dipendenti pubblici nominati dirigenti nel servizio sanitario nazionale, onde i benefici non spettavano ai dipendenti di imprese private, in tal modo non gravate da "oneri economici indennitari e ingiustificati". Contro questa sentenza il C. proponeva ricorso per cassazione sostenendo nuovamente la tesi dell’applicabilità al dipendente privato della normativa in materia di diritto all’aspettativa e questa Corte, con sentenza n. 12325/2008, ritenendo fondata la doglianza, rinviava alla Corte d’appello di Brescia per l’applicazione del principio di diritto e per la pronuncia, non avvenuta, sulle domande del lavoratore aventi ad oggetto la validità del licenziamento, nonchè l’eventuale validità delle dimissioni da lui rese, sempre eccepita dalla datrice di lavoro.

Con sentenza del 28 maggio-20 agosto 2009, il Giudice designato, in riforma della sentenza n. 1660/04 del Tribunale di Milano, condannava l’appellata società a corrispondere al C. l’indennità supplementare nella misura minima prevista dal contratto collettivo pari ad Euro 68,697,48, respingendo tutte le altre domande e compensando le spese di tutti i gradi di giudizio.

A sostegno della decisione osservava, in primo luogo, che andava disattesa l’eccezione in ordine all’inammissibile mutamento in sede di riassunzione della domanda principale, volta non più alla prosecuzione del rapporto, come richiesto in origine, ma solo al pagamento delle indennità di preavviso e supplementare, trattandosi di una riduzione della domanda, considerato che le indennità erano state richieste fin dall’origine.

Riteneva, poi, sulla base della documentazione acquisita, che il rapporto doveva intendersi risolto non per dimissioni ma per licenziamento, risultando la volontà datoriale nel senso di ritenere cessato con effetto dal 31 maggio 2003 il rapporto di lavoro.

Riteneva, ancora, che l’indennità supplementare andava liquidata nella misura minima prevista dall’art. 29, comma 16 del CCNL applicato al rapporto e, quindi, pari all’indennità di mancato preavviso ammontante ad Euro 68.697,48, tenuto conto che la soluzione adottata dalla sentenza rescindente superava il dato testuale, "solo recuperando la ratio della legge delega".

Riteneva, infine, infondata la pretesa del C. di ottenere la liquidazione dell’intero periodo di preavviso, anche, cioè, di quello non lavorato presso l’azienda, tenuto conto di apposita pattuizione intervenuta tra le parti.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre C.G. con due motivi, depositando anche memoria ex art. 378 c.p.c..

Resiste la Hilti Italia S.p.A. con controricorso, proponendo, a sua volta, ricorso incidentale affidato a tre motivi.

Motivi della decisione

Va preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale trattandosi di impugnazioni avverso la medesima sentenza ( art. 335 c.p.c.).

Va poi disattesa l’eccezione, sollevata dalla società, di inammissibilità del ricorso principale per mancata indicazione del codice fiscale del ricorrente e del suo legale ai sensi dell’attuale art. 125 c.p.c..

Invero, il mancato rispetto della previsione contenuta nell’art. 125 c.p.c., comma 1, come modificato dal D.L. 29 dicembre 2009, n. 193, art. 4, comma 8, lett. a), convertito, con modificazioni, dalla L. 22 febbraio 2010, n. 24, secondo la quale "il difensore indica il proprio codice fiscale", non è causa di nullità del ricorso, non essendo, tale conseguenza, espressamente comminata dalla legge, e non potendo ritenersi che siffatta omissione integri la mancanza di uno dei requisiti formali indispensabili all’atto per il raggiungimento dello scopo cui è preposto (Cass. n. 24717/2011).

Con il primo motivo di gravame, il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1364 e 1365 c.c. sull’interpretazione del contratto, ed ancora violazione dell’art. 29 commi 15 e 15 del CCNL per i dirigenti di aziende del terziario, della distribuzione e dei servizi del 24/4/1995, nonchè insufficienza della motivazione su un punto decisivo della controversia, censura la sentenza impugnata, in quanto la Corte d’appello di Brescia – dopo aver (a suo dire, correttamente) ritenuto che l’atto che aveva posto fine al rapporto di lavoro inter partes dovesse essere parificato ad un licenziamento – non avrebbe motivato in modo "soddisfacente" la decisione di riconoscere al dirigente l’indennità supplementare al trattamento di fine rapporto nella misura minima (pari alle mensilità di preavviso spettanti) indicata dall’art. 29 del richiamato CCNL, vigente all’epoca dei fatti di causa.

Il motivo non può trovare accoglimento, non potendo l’interpretazione fornita dal Giudice a quo essere utilmente contestata, in mancanza di produzione di copia del CCNL di cui si è invocata l’applicazione.

Va in proposito rammentato che – come puntualizzato da questa Corte (v. per tutte, Cass. S.U. n. 7161/2010) -, in tema di ricorso per cassazione, l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, novellato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, oltre a richiedere l’indicazione degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto; tale prescrizione va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per cui deve ritenersi, in particolare, soddisfatta:

a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo, purchè nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile; b) qualora il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che il documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rivela opportuna la produzione del documento, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per il caso in cui la controparte non si costituisca in sede di legittimità o si costituisca senza produrre il fascicolo o lo produca senza documento;

c) qualora si tratti di documento non prodotto nelle fasi di merito, relativo alla nullità della sentenza od all’ammissibilità del ricorso ( art. 372 c.p.c.) oppure di documento attinente alla fondatezza del ricorso e formato dopo la fase di merito e comunque dopo l’esaurimento della possibilità di produrlo, mediante la produzione del documento, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nell’ambito del ricorso. Con il secondo motivo di gravame, il C. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2118, 1362 e segg. c.c. e dell’art. 33 p. 5 del CCNL per i dirigenti di aziende del terziario, della distribuzione di servizi del 26.4.1995, nonchè carenza e contraddittorietà della motivazione su un punto essenziale della controversia).

Secondo il C., la Corte d’appello bresciana avrebbe errato laddove ha escluso il diritto del dirigente all’indennità sostitutiva del preavviso, presupponendo, da un lato, che le parti si fossero accordate per la prestazione in servizio di una parte del preavviso stesso, senza reciproco onere di indennità sostitutiva per la parte residua e, dall’altro, che il dott. C. non avrebbe comunque potuto prestare in servizio il residuo periodo, dovendo inevitabilmente iniziare la collaborazione con la ASL di Latina il 3 giugno 2003. Secondo parte ricorrente, l’esistenza di un accordo tra la società e il dirigente per una cessazione del rapporto anticipata rispetto al termine del periodo di preavviso (di licenziamento o di dimissioni poco importa) non troverebbe riscontro nei fatti. Replica la Hilti che, fin dalla memoria di costituzione in prime cure, aveva affermato l’esistenza di un accordo, raggiunto durante un incontro del 4 aprile 2003 tra il dott. V. (Direttore Generale della società) e il dott. C., su sollecitazione di quest’ultimo, affinchè gli fosse consentito di prendere servizio presso la ASL di Latina nel termine richiestogli.

A sostegno dell’assunto richiama una lettera del 29 aprile 2003 della società al dirigente (prodotta sub. doc. 4 fase, primo grado Hilti e testualmente riprodotta nel controricorso), nella quale si legge:

"Per quanto sopra, La consideriamo dimissionario e, secondo le intese, con la data del 31.5.2003 verrà a cessare il rapporto di lavoro con la nostra Società (senza trattenuta dell’indennità sostitutiva della parte di preavviso da Lei non prestato in servizio)"; a tale lettera il dott. C. – come da doc. 5 fase, promo grado Hilti – così rispondeva: "confermo che, a decorrere dal 03 giugno 2003, assumerò la carica di Direttore Amministratore della Azienda USL di Latina".

Rimarca, ancora, la Hilti che, se non fosse intervenuto un accordo quale quello in discussione, la stessa (che riteneva valide ed efficaci le dimissioni del dirigente) avrebbe dovuto trattenere l’indennità sostitutiva del preavviso dalle ultime competenze di fine rapporto; trattenuta, pacificamente e significativamente, non operata.

Osserva il Collegio che l’illustrata situazione con le conseguenti conclusioni trova riscontro nella impugnata pronuncia.

Sul punto, la Corte territoriale ha chiarito che, nel caso di specie, nel corso del periodo di preavviso era risultato che tra le parti si raggiunse un accordo per la prestazione lavorativa di una parte del periodo di preavviso e per la mancata trattenuta (sul presupposto che spettasse alla datrice di lavoro) della parte non lavorata, ma era risultato, altresì, per tabulas, che il Dirigente non sarebbe stato in condizioni di prestare l’ulteriore preavviso atteso che il 3 giugno successivo prese servizio nel suo nuovo incarico presso la USL di Latina.

Il ricorrente – prosegue la Corte- avrebbe avuto, quindi diritto, una volta accertato che si trattava di licenziamento e non di accoglimento delle sue dimissioni, a vedersi restituita l’indennità di mancato preavviso, ove fosse stata erroneamente trattenuta, ma poichè l’accordo intervenuto aveva regolato diversamente il periodo da lavorarsi, null’altro poteva essere preteso.

Del resto -soggiunge il Giudice a quo -, la circostanza che la datrice di lavoro non aveva alcun interesse ad interrompere il rapporto e questo fece solo per l’irrevocabile volontà del suo dirigente di assumere l’incarico presso l’ASL di Latina (che era tra l’altro la sua città), "fa ritenere che avrebbe comunque chiesto di lavorare per l’intero periodo essendosi determinata a rinunciare ad una parte del periodo solo perchè comunque il lavoratore non sarebbe stato in grado di prestare per intero, atteso che il 3 giugno doveva prendere servizio nel nuovo incarico".

La regolazione pattizia del preavviso e la circostanza che, in ogni caso, il lavoratore aveva solo il diritto a prestarlo lavorando o, se esonerato, a non vederselo trattenuto, come in effetti era avvenuto, rendeva, pertanto -conclude la Corte di merito-, del tutto ingiustificata la pretesa.

La decisione della Corte d’appello di Brescia deve pertanto ritenersi corretta poichè la circostanza dell’accordo sull’esonero parziale del preavviso – tenuto conto del contesto logico e cronologico degli eventi – ben poteva/doveva ritenersi provata da parte dei giudici del merito.

Non ravvisandosi le violazioni ed i vizi lamentati dal C., il ricorso principale va rigettato.

Passando all’esame del ricorso incidentale, va osservato che, con il primo motivo, la Hilti, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 394 c.p.c., comma 3, e art. 437 c.p.c., comma 2, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ( art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), lamenta che, in sede di rinvio, il C. avrebbe irritualmente modificato le proprie conclusioni/domande, omettendo la domanda principale e proponendo solo la domanda originariamente formulata in via subordinata al mancato accoglimento della principale, sicchè, non essendosi verificata tale circostanza, quest’ultima domanda sarebbe inammissibile. Il motivo è infondato, avendo il Giudice a quo correttamente osservato che trattandosi di una riduzione della domanda (stante la sopravvenuta carenza d’interesse ad una ripresa del rapporto, solo interrotto, in tesi, per il periodo spettante di aspettativa) visto che le indennità erano state richieste fin dall’origine. Con il secondo motivo la società, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 2118 c.c., artt. 29, 30, 31 e 33 del CCNL Dirigenti Aziende Terziario del 26.4.1995, artt. 1362 e ss. c.c. ( art. 360 c.p.c., n. 3) nonchè omessa, insufficente e contraddittoria motivazione ( art. 360 c.p.c., n. 5), lamenta che la Corte territoriale, pur ritenendo che alla base del recesso da parte della Hilti vi fosse una "ragionevole" motivazione, valutati gli elementi caratterizzati la fattispecie in esame, avrebbe dovuto dare atto della "giustificatezza" del recesso e negare al C. l’indennità supplementare ex art. 29 del CCNL applicato al rapporto. La censura non può essere condivisa, avendo la Corte d’appello motivato correttamente sul punto senza incorrere nelle reclamate violazioni di legge, osservando che il rischio della oggettiva erroneità della soluzione data dalla datrice di lavoro non poteva ricadere sul lavoratore "e quindi la non irragionevolezza e rifiuto, sulla base di una interpretazione letterale, ritenuta di univoco significato anche dai giudici di merito di primo e secondo grado…" non poteva valere a rendere giustificato il provvedimento con il quale si era confermato al lavoratore che "la volontà datoriale era nel senso di ritenere cessato con effetto dal 31.5.2003 il rapporto di lavoro".

Con il terzo motivo la società, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e il vizio di motivazione, lamenta che la Corte di Brescia, dichiarando che il rapporto di lavoro inter partes era venuto a cessare per un atto della Hilti parificabile ad un licenziamento, non avrebbe precisato la natura dell’atto -comportamento o negozio-, mancando, peraltro, una istruttoria sul punto.

Il motivo non può trovare accoglimento, stante la sua genericità, che non vale a scardinare il corretto iter argomentativo del Giudice a quo, volto a dimostrare, mediante un attento collegamento del succedersi degli avvenimenti e lo scambio di corrispondenza tra le parti, l’insussistenza di valide dimissioni, da parte del C., e la volontà datoriale di porre termine al rapporto, traendone coerenti conseguenze.

Per quanto precede entrambi i ricorsi vanno rigettati con compensazione delle spese tenuto conto dell’esito del giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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