Cass. civ. Sez. I, Sent., 14-02-2012, n. 2062 Indennità di espropriazione Occupazione d’urgenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione notificata il 29 dicembre 1978, F., B. e M.T. con V.C., convenivano in giudizio, dinanzi al tribunale di Patti, il Comune di San Fratello, deducendo che lo stesso aveva occupato un’area di loro proprietà, per costruire un campo sportivo, senza concludere la procedura espropriativa. L’adito Tribunale condannava il convenuto, con sentenza non definitiva del 1992, a pagare L. 3.351.868.621, a titolo di risarcimento del danno per occupazione appropriativa dell’area e L. 502.780.293, a titolo di indennità di occupazione legittima dal 1973 al 1976 e, con sentenza definitiva del 1995, a risarcire altri danni al residuo terreno, per L. 53.000.000, con rivalutazione monetaria, interessi e spese del grado.

Avverso le due decisioni erano proposti distinti appelli principali del Comune di San Fratello alla Corte d’appello di Messina, cui replicavano gli attori M., con gravame incidentale sull’errato computo degli interessi liquidati a titolo risarcitorio.

Riunite le cause sui distinti gravami, la Corte d’appello di Messina, con sentenza del 5 maggio 1998, riduceva il risarcimento del danno da occupazione a causa di pubblica utilità di mq. 27.858, a L. 311.912.000 e le altre somme dovute a titolo di danno al residuo fondo a L. 13.250.000, portando la indennità d’occupazione legittima a L. 46.786.800 oltre interessi dalla domanda.

Su ricorso di quattro motivi del Comune di San Fratello alla Corte suprema di cassazione, questa, con sentenza n. 4386 del 7 aprile 2000, rigettava il primo e quarto motivo della impugnazione, accogliendo il secondo e dichiarando assorbito il terzo, cassando la decisione della Corte messinese, in relazione al motivo accolto e rinviando la causa alla Corte d’appello di Catania.

Il giudice legittimità ha respinto il primo motivo di ricorso, con cui l’ente locale aveva dedotto che la misura del terreno occupato era stata erroneamente determinata in appello in mq. 27.858, pur essendo molto minore e il quarto motivo, che aveva invece censurato la valutazione dei danni operata dal c.t.u., alla cui relazione aveva aderito la Corte d’appello.

Era stato invece accolto il secondo motivo di ricorso, che aveva denunciato l’errore dei giudici di merito nell’avere qualificato "edificabile" il terreno acquisito, non tenendo conto di entrambi i criteri identificativi della edificabilità, legale ed effettiva, di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, come modificati nel comma 7 bis, dalla L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 1, comma 65, è poi dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 65.

La Corte suprema ha accolto tale motivo, per non essersi nel merito dato rilievo alcuno alla destinazione urbanistica dell’area ablata e per essersi qualificata come di mero fatto l’edificabilità delle aree, ritenendo rilevante tale natura per valutarle e liquidare il danno.

Nel terzo motivo di ricorso il comune di San Fratello aveva lamentato l’erronea adesione alle conclusioni del c.t.u. dalla Corte d’appello, senza giustificazioni di tale scelta e il motivo era ritenuto assorbito dall’accoglimento del secondo motivo di ricorso, per cui la sentenza era stata cassata con rinvio alla Corte d’appello di Catania. Riassunta la causa dal Comune di San Fratello, i M. si costituivano ed eccepivano una transazione conclusa con l’ente locale, di cui chiedevano però la condanna per inadempimento di tale accordo, che avrebbe determinato la cessazione della materia del contendere.

Sospeso il giudizio in attesa della conclusione della controversia sulla validità della transazione che precede, annullata in altra sede, la Corte di merito ha emesso, in sede di rinvio, la sentenza con cui ha rideterminato in Euro 161.313,29 la somma da pagarsi a titolo risarcitorio per la occupazione appropriativa oggetto di causa dall’ente locale ai M. che non avevano impugnato nel precedente giudizio di legittimità tale liquidazione, precisando che essa era "da rivalutare in base agli indici Istat dal 28.Il.1976 ad oggi ed oltre agli interessi legali annui per il primo anno, sui menzionati importi iniziali e per gli anni successivi su tali importi via via rivalutati, secondo gli indici Istat dal 28.11.1976".

Per la stessa ragione era anche confermata la misura della indennità di occupazione legittima in Euro 24.163,37, oltre interessi legali dalla domanda; la Corte catanese ha compensato la metà delle spese del primo e secondo grado di merito dinanzi alla Corte d’appello di Messina, ed ha condannato il Comune di San Fratello a pagare la residua metà di tali spese e tutte quelle del giudizio di legittimità e di quelle della fase di rinvio. Rilevato che la Cassazione n. 4386 del 2000 era stata emessa su ricorso del solo ente locale e in mancanza di impugnazione dai M., la Corte d’appello con essa in sede di legittimità si era ritenuta immotivata la determinazione del danno basata sulla mera edificabilità di fatto delle aree, delle quali non si era però accertata la destinazione urbanistica.

Infatti non risultava esaminata nel merito la questione della "mancanza di strumenti urbanistici nella specie", emersa invece in sede di rinvio mancando, alla data della trasformazione delle aree, piani urbanistici idonei a inquadrare l’area espropriata tra quelle edificabili o agricole; correttamente pertanto si era liquidato il valore venale del terreno con il criterio subordinato ed eventuale della edificabilità di fatto, mancando una disciplina urbanistica che consentisse di ritenere fabbricabili in diritto le aree occupate.

Nel giudizio di rinvio la Corte catanese ha ritenuto che, in base alla situazione circostante alle aree espropriate e alla stessa scelta dell’ente locale di queste aree per realizzarvi lo stadio, i terreni de quibus erano da qualificare come fabbricabili in fatto, dovendosi in base a tale natura determinarne il valore come già deciso dai giudici di Messina, la cui liquidazione dei danni e dell’indennità di occupazione era da confermare, per non essere stata impugnata dai M., avendo il solo ente locale proposto ricorso.

Avverso tale sentenza propone ricorso di quattro motivi notificato il 29 ottobre 2010 a tutti gli appellati il Comune di San Fratello, cui replica la sola T.M. con controricorso notificato il 30 novembre 2010 mentre gli altri intimati non si difendono in questa sede; entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Va preliminarmente rilevato che, con la memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., il Comune ricorrente ha dedotto il decesso degli intimati F. e M.B., intervenuta per il primo il 12 febbraio 2009, dopo l’udienza di discussione del giudizio di rinvio (28 gennaio 2009) e per la seconda il 21 dicembre 2009, dopo il deposito della sentenza oggetto di ricorso e in pendenza del termine per l’impugnazione. Ritiene il collegio, giurisprudenza (S.U. 16 dicembre 2009 n. 26279) entrambe le notifiche ai defunti intimati siano affette da nullità assoluta e non sanabile ai sensi dell’art. 291 c.p.c. per cui non va ordinato il rinnovo delle notificazioni.

Peraltro essendo decorso il termine lungo per il ricorso e trattandosi di cause scindibili ai sensi dell’art. 332 c.p.c. (così in rapporto al risarcimento danno da occupazione appropriativa: Cass. 13 giugno 2006 n. 13684 e per. l’opposizione alla stima Cass. 27 agosto 1999 n. 8989), la omessa notifica del ricorso agli eredi dei due defunti M. comporta, nei confronti di costoro, il passaggio in giudicato della sentenza, da ritenere non impugnata nei loro confronti, per la inesistenza della notificazione.

1.1. Il primo motivo del ricorso del Comune di San Fratello denuncia la violazione della L. 8 agosto 1992, n. 359, art. 5 bis e dell’art. 384 c.p.c., comma 2, per avere la Corte di merito violato il principio di diritto enunciato nella pronuncia a base del giudizio di rinvio e per le carenze motivazionali della sentenza impugnata in ordine all’applicazione dello stesso.

Alla Corte d’appello la causa era stata rinviata perchè si accertasse la natura edificabile o agricola dell’area oggetto di espropriazione, negandosi ogni rilevanza alla cd. edificabilità di fatto in base alla quale si era pervenuti alla liquidazione del risarcimento nella specie. Ad avviso del ricorrente, la Corte di merito nel giudizio di rinvio, ritenuto che alla fine del periodo di occupazione legittima (26.11.1976), momento nel quale era da ritenersi consumata l’illecita occupazione per causa di pubblica utilità dell’area in controversia, mancavano strumenti urbanistici in base ai quali definire l’area come edificabile o non fabbricabile, ha ritenuto di definire le aree occupate come edificabili in fatto.

A tale qualificazione la Corte di merito è giunta ritenendo la stessa conforme ai fini generali dell’ente locale, come poteva desumersi dalla presenza delle rilevanti opere di urbanizzazione descritte dal c.t.u., e dallo stesso comportamento del comune che aveva scelto il suolo per realizzarvi il campo di calcio.

Tali circostanze evidenziavano la edificabilità di fatto delle aree acquisite illecitamente dal comune, perchè non classificate urbanisticamente; con tale scelta ermeneutica, la sentenza impugnata ha violato gli indirizzi della Corte di cassazione che, in applicazione della citata L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, ha sempre chiesto entrambi i parametri – legali e di fatto – per ritenere sussistente la edificabilità, dando prevalenza al primo parametro al fine di valutare le aree occupate.

In sostanza, mancando strumenti urbanistici di regolazione delle aree occupate, ai sensi della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 4, dovevano classificarsi come agricole quelle non edificabili, ai sensi del comma 3 della stessa norma, per non essere dotate insieme delle "possibilità legali ed effettive" di edificazione, con conseguente applicazione dei criteri di liquidazione del regime indennitario delle aree agricole, parole così sottolineate nello stesso ricorso.

Ritenere che la scelta di costruire il campo di calcio e le attrezzature accessorie confermasse la destinazione edificabile in fatto delle aree per essere "un’opera pubblica di natura squisitamente edificatoria", così come testualmente afferma la sentenza oggetto di ricorso contrasta con la giurisprudenza costante della Cassazione che ha sempre ritenuto inedificabili le aree destinate ad impianti sportivi dagli strumenti urbanistici, per cui è stata immotivata la scelta della Corte d’appello su tale punto decisivo.

1.2. Si censura in secondo luogo la sentenza impugnata per violazione ancora dell’art. 384 c.p.c. e per insufficiente e contraddittoria motivazione sulla edificabilità di fatto riconosciuta alla data della illecita acquisizione.

La corte catanese nessun rilievo ha dato alla relazione del c.t.u. nominato dalla Corte d’appello di Messina, per la parte in cui propendeva ad escludere la edificabilità di fatto delle aree acquisite.

Sul piano geologico, le aree occupate erano qualificate ad equilibrio instabile, potendosi costruire su di esse solo con onerose opere di urbanizzazione primaria e con aggravio di spesa per la sistemazione esterna e per le opere di fondazione, in caso di realizzazione di edilizia privata. Invero già nel luglio 1979 il Comune si era dotato di uno strumento urbanistico, cioè di un Piano di fabbricazione, che qualificava tutte le aree esterne al centro abitato come agricole, per cui la edificabilità di fatto si era erroneamente riconosciuta, non rilevando quanto affermato dalla Corte di merito in ordine alla mancata impugnazione dall’ente locale della qualifica della cd. edificabilità di fatto riconosciuta alle aree occupate nella sentenza cassata, non potendosi formare su tale asserzione il giudicato, come dimostra la stessa pronuncia di cassazione con rinvio.

1.3. In terzo luogo il ricorso lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dei vincoli imposti dalla sentenza a base del giudizio di rinvio, per la disapplicazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, nonchè dei criteri ragionevoli di stima, anche per omessa e insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza impugnata su tali punti decisivi, in ragione del motivo già considerato assorbito dalla sentenza a base del giudizio di rinvio, che non aveva deciso quindi tali questioni, riproposte con l’atto di riassunzione dal comune. La Cassazione aveva accolto il secondo motivo di ricorso e dichiarato assorbito il terzo, nel quale erano richiamati gli errori della Corte di Messina nella liquidazione del danno, censurando la relazione del c.t.u. per essere inutilizzabili ai fini del metodo di stima sintetico-comparativo, atti relativi a beni siti in aree non omogenee a quella oggetto di causa e inapplicabili gli indici dei prezzi al consumo, per rivalutare i beni.

Di tali censure nessun conto si è tenuto nella sentenza oggetto di ricorso, pur essendosi ritenuti gli stessi rilevanti, tanto che il giudice di legittimità non aveva rigettato il motivo di ricorso dell’ente locale, dichiarandolo assorbito.

1.4. Si denuncia poi la violazione ancora degli artt. 112 e 287 c.p.c., oltre che dei principi del giusto processo di cui all’art. 111 Cost. e degli artt. 3 e 24 Cost., perchè, ad avviso della Corte di merito, sarebbe passata in giudicato la determinazione della misura dell’area occupata in mq. 27958, invece che in mq. 14357, essendo stato rigettato il motivo di ricorso che la censurava da Cass. 4386/00.

In realtà il c.t.u. aveva ricavato la misura dell’area occupata dal piano particellare di esproprio, senza considerare quale fosse stata invece la superficie realmente occupata, per cui era incorso in un errore materiale o di calcolo sempre rettificabile e correggibile.

Escluso che il giudicato potesse formarsi su un errore materiale, che anzi si sarebbe dovuto correggere anche di ufficio (il ricorso cita Cass. 4 giugno 1992 n. 8094), il Comune di San Fratello chiede di procedere direttamente alla correzione che precede ovvero di cassare la sentenza impugnata con rinvio per procedere a detta correzione, anche alla luce di Corte Cost. 10 novembre 2004 n. 335, che ha dichiarato incostituzionali nell’art. 287 c.p.c. le parole "contro le quali non sia stato proposto appello". 2. La controricorrente replica al Comune di San Fratello eccependo la infondatezza o inammissibilità del primo motivo di ricorso, per avere la Corte d’appello di Catania applicato il principio di diritto di cui alla sentenza n. 4386 del 2000, per il quale la mancanza di strumenti urbanistici applicabili nella fattispecie alla data dell’accessione invertita (novembre 1976) consentiva di considerare le possibilità effettive di edificazione del terreno occupato, in applicazione del comma 3 per non essere applicabile la L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 4, essendo invece preclusa la censura di carenze motivazionali su un punto invece che su un fatto controverso.

Invero la stessa sentenza che ha disposto il rinvio ha rilevato che la sentenza della Corte di Messina aveva affermato la "edificabilità di fatto dell’area … sulla base di logica e coerente valutazione del materiale probatorio (appunto diversa da quella espressa dal ricorrente in ricorso)".

Richiamata S.U. 18 novembre 1997 n. 11433, che confermerebbe che la scelta di un’area per destinarla a impianti sportivi comporta una valutazione di edificabilità della stessa, la controricorrente chiede il rigetto o la inammissibilità anche del secondo motivo di ricorso. Altrettanto afferma la M. in rapporto al terzo motivo, da dichiarare inammissibile o infondato, così come il quarto che deduce un errore materiale già oggetto del precedente ricorso per cassazione e già ritenuto inammissibile in sede di legittimità. 3.1. Il primo motivo di ricorso è infondato. Invero la Corte d’appello di Catania, dopo avere richiamato la sentenza di questa Corte che ha disposto il rinvio per la parte in cui affermava che la Corte d’appello di Messina non aveva affrontato il problema della mancanza di strumenti urbanistici del Comune di San Fratello alla data dell’acquisizione al novembre 1976, circostanza confermata nello stesso ricorso in cui si afferma che solo nel 1979 venne approvato il programma di fabbricazione dell’ente locale, afferma che ricorre nella specie la fattispecie per la quale, secondo costante giurisprudenza di questa Corte può accertarsi il valore venale di un’area per la sua cd. edificabilità di mero fatto (Cass. 22 agosto 2011 n. 17442, 9 febbraio 2009 n. 3222, 26 novembre 2008 n. 28282, 28 dicembre 2003 n. 24064, e S.U. 23 aprile 2001 n. 172).

Il parametro della cd. edificabilità di fatto è utilizzabile da solo in mancanza di disciplina urbanistica, in via suppletiva, e, nel caso, la Corte di merito in base alle indicazioni ricavate dalla relazione del c.t.u. ha rilevato l’esistenza in loco di rilevanti opere di urbanizzazione e la conformità alle scelte generali e a quelle urbanistiche dell’ente locale, di una potenziale edificabilità effettiva, ritenendo sussistere la stessa anche dal punto di vista tecnico e geologico, come emergeva dalla stessa scelta di realizzare in esse il campo di calcio da parte del Comune di San Fratello.

Non rilevano le censure in ricorso relative alle difficoltà tecniche della edificazione nelle aree occupate, le quali comportano solo aumenti dei costi di costruzione senza escluderne la edificabilità di fatto, unica applicabile in assenza di quella legale, con conseguente scelta logica fondata sulla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 3, che esclude l’applicabilità del comma 4 della stessa norma in caso di mancata conformazione e classificazione urbanistica delle zone in cui sono le aree. Correttamente pertanto si è applicato il parametro di determinazione del valore venale delle aree come edificabili in fatto, anche a non considerare che la sentenza della Corte Costituzionale 10 giugno 2011 n. 181 ha dichiarato illegittimi i valori tabellari o agricoli medi di cui alla L. n. 865 del 1971, di regola non ritenuti pienamente applicabili anche in passato, per la liquidazione del risarcimento del danno da illecita occupazione per causa di pubblica utilità o senza titolo (così Cass. 15 gennaio 2011 n. 717, 26 maggio 2010 n. 12862, 28 maggio 2004 n. 10280).

Il primo motivo di ricorso deve quindi essere rigettato.

3.2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile per la parte nella quale vuole sostituire le valutazioni della Corte d’appello sulla edificabilità di fatto delle aree con quelle del ricorrente, che peraltro non esclude la fabbricabilità di fatto delle aree occupate da edifici di natura privata, prevedendone solo un maggior costo per le difficoltà geologiche della natura del suolo.

La inammissibilità del motivo del ricorso deriva dal giudicato della sentenza della Corte di Messina sulla questione della edificabilità di fatto dalla stessa ritenuta parametro di valutazione delle aree nel caso, avendo ritenuto la Corte di Cassazione nella sentenza n. 4386/99 che la edificabilità di fatto si è affermata dai giudici di merito "sulla base di logica e corrente valutazione del materiale probatorio (appunto diversa da quella espressa dal ricorrente in ricorso)" sulla quale ancora si insiste in questa sede.

3.3. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile, non solo perchè contestualmente denuncia una estrapetizione della sentenza impugnata e contestualmente e incoerentemente deduce carenze motivazionali nella mancata statuizione sulle stesse domande proposte dal Comune, ma anche perchè richiama genericamente censure già proposte nel pregresso ricorso deciso da Cass. 4386/00 con il rinvio a base della decisione oggetto del presente ricorso.

Invero già il richiamo impreciso alle critiche e censure proposte sulle valutazioni delle aree del c.t.u., cui aveva aderito la Corte d’appello di Messina, e la mancata riproduzione della impugnativa sul punto avverso la sentenza della Corte d’appello di Messina, rende il motivo di ricorso improcedibile, non risultando depositati con la nuova impugnazione gli atti processuali su cui essa si fonda, tra i quali è la precedente impugnazione per cassazione decisa con la sentenza a base del giudizio di rinvio, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., n. 4. 3.4. Inammissibile è anche il quarto motivo di ricorso, anche a prescindere della idoneità dell’accertamento della misura del terreno occupato a divenire giudicato ai sensi dell’art. 2909 c.c..

Invero certamente risulta già rigettato il motivo di ricorso con il medesimo oggetto dalla sentenza 7 aprile 2000 n. 4386 a base del giudizio di rinvio dinanzi alla Corte catanese, con giudicato sull’accertamento di fatto sulla misura dell’area occupata.

Comunque la prospettazione della esistenza di un errore materiale è erronea nel caso, non risultando lo stesso dalla sentenza impugnata ed essendo irrilevante che la misura della superficie occupata si sia ricavata dal piano particellare di esproprio che non aveva avuto attuazione. Nessun elemento emerge dalla sentenza oggetto di ricorso dal quale possa rilevarsi il preteso errore materiale o di calcolo che si chiede di correggere anche di ufficio a questa Corte, invece che al giudice che ha pronunciato la sentenza ritenuta affetta da tale errore ai sensi dell’art. 287 c.p.c., per cui il motivo di ricorso già inammissibile sul piano sostanziale deve ritenersi precluso anche su quello processuale.

4. In conclusione il ricorso deve rigettarsi e, per la soccombenza, il Comune di San Fratello dovrà corrispondere alla controricorrente le spese di causa nella misura che si liquida in dispositivo nulla disponendosi nei confronti degli altri intimati.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso del Comune di San Fratello e condanna lo stesso a rimborsare alla controricorrente M.T. le spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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