Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo
Con citazione notificata il 22 febbraio 2007 R., A. e B.V. con R.M., quali comproprietari dell’area in N.C.E.U. del Comune di (OMISSIS), a F. 21, P.la 1371, espropriata per costruire una pista ciclabile con decreto del 13 settembre 2006 notificato loro il 23 gennaio 2007, hanno convenuto in giudizio detto comune, proponendo opposizione alla stima delle indennità d’espropriazione e d’occupazione, liquidate rispettivamente in Euro 245,16 ed Euro 135,75, sulla base di un valore unitario di Euro 1,81 a mq.
Per gli opponenti l’indennità era stata determinata senza considerare che l’area espropriata è una porzione della P.la 308, costituita da resede e parte comune del fabbricato di proprietà degli opponenti, funzionalmente destinata ad accesso anche carrabile agli spazi sul retro delle costruzioni in proprietà individuale degli istanti, usati come parcheggio.
Poichè la pista ciclabile ha reso "oltremodo gravoso" e "pericoloso" il transito sulla strada di accesso alla loro proprietà e impedito il posteggio in precedenza usuale sulla fascia acquisita dal comune, larga mi. 2,50, tra la recinzione del resede sul retro della loro costruzione e la già esistente strada carrabile, gli opponenti hanno dedotto che, nel caso era configurabile la espropriazione parziale, di cui alla L. n. 3259 del 1865, art. 40 e l’indennità andava liquidata nella differenza tra il giusto prezzo dei loro immobili prima dell’occupazione e dopo di essa. Nella citazione si è dedotto pure che il Comune aveva realizzato un allaccio della fognatura pubblica ad un manufatto esistente nella proprietà individuale degli espropriati, in tal modo asservita a vantaggio dell’ente locale per il deflusso delle acque dalla nuova pista.
L’opposto Comune di Prato, nel costituirsi, ha affermato che l’area espropriata era uno "stradello privato sterrato" in comproprietà degli opponenti titolari dei fabbricati che sul retro confinavano con esso e di altri proprietari di costruzioni nella medesima situazione lungo la stessa strada utilizzata per accedere ai cortili aperti retrostanti ai rispettivi immobili, cioè al cd. resede di ciascuno di essi.
Ad avviso dell’ente locale tale destinazione dello stradello in comunione, costituente pertinenza a servizio dei fabbricati per accedere anche con l’auto agli spazi retrostanti le proprietà individuali di dette costruzioni latistanti la strada, era rimasta inalterata anche con la realizzazione della pista ciclabile.
L’ente locale ha negato che nel caso potesse configurarsi una espropriazione parziale, ai sensi della L. n. 2359 del 1865, art. 40, non essendovi occupazione di una parte di un immobile nè residuandone un’altra parte il cui valore fosse diminuito per effetto dell’ablazione. Ha dedotto il convenuto espropriante che il terreno acquisito non costituisce una realtà giuridica unitaria con le singole proprietà dei frontisti sopra descritte, tra cui quelle degli opponenti, i quali non avevano subito una perdita di valore della parte residua del bene espropriato e neppure delle loro distinte proprietà individuali, in quanto a ciascuno di loro, era stato rilasciato un permesso di transito carraio sulla pista ciclabile alla cui costruzione l’espropriazione era preordinata.
Negato vi fosse una possibilità di parcheggiare lungo lo stradello preesistente a causa delle dimensioni di questo, che consentivano tramite esso solo l’accesso al resede retrostante la costruzione degli opponenti, sì chiedeva di respingere ogni richiesta di liquidazione dell’indennità ai sensi della L. n. 2359 del 1865, art. 40. Ad avviso del Comune di Prato, l’asfaltatura e la illuminazione della pista realizzata avevano migliorato la percorribilità della strada e di tale miglioramento doveva tenersi conto nel liquidare le indennità oggetto di causa, restando generico e non provato l’allacciamento dedotto della fogna comunale ad un manufatto degli opponenti, per il deflusso delle acque dalla strada, per cui nulla spettava alle controparti per tale preteso asservimento. La Corte d’appello, con la sentenza oggetto di ricorso, ha definito il bene espropriato come "un’area di mq. 136, rappresentata al foglio di mappa 21, particella 1371 (derivante dalla particella 308) che, nella relazione del c.t.u. ing. C.F., viene così descritta … bene comune non censibile ad unità urbana, gravata da servitù di passo pedonale e carraio a favore dei fondi limitrofi, che vi potevano accedere a mezzo di servitù attiva su porzione dell’attuale particella 308 dalla via (OMISSIS), tramite passo carrabile licenza della Provincia di Firenze n. 4231 del 1960".
Dalla descrizione che precede emerge quindi che l’area oggetto di espropriazione, in comproprietà degli opponenti e di altri soggetti, è separata materialmente dalle proprietà frontiste individuali di tali parti da un muro di recinzione e dal cancello di accesso al "resede" retrostante ciascuna di tali proprietà, per l’accesso alle quali è stata ed è utilizzata.
Ad avviso della Corte d’appello, peraltro, esiste chiara una unità economico – funzionale della superficie espropriata e degli immobili in proprietà individuale degli opponenti, e "il collegamento funzionale fra la striscia di terreno de qua e il resede tergale del fabbricato degli attori è evidente, posto che su tale striscia gli attori passavano (e continuano a passare) anche con veicoli per parcheggiarli nei loro resede".
La Corte d’appello, pertanto, ha ritenuto che la vicenda espropriativa ha inciso negativamente sulle proprietà individuali dei frontisti opponenti in questa sede, riducendone il valore, a causa dell’incremento del passaggio, sulla strada-pista ciclabile, di auto e di terzi in aggiunta agli originari utenti, che in precedenza erano solo i titolari dei fabbricati latistanti lo stradello.
Ritenuta indennizzabile la riduzione subita della riservatezza dei fabbricati degli opponenti a causa del maggior uso della strada anche da terzi e dagli automezzi di costoro, la Corte di merito ha liquidato nella indennità la perdita di valore di tali immobili.
La stessa sentenza ha escluso il danno da perdita della accessibilità ai cortili destinati a parcheggio delle auto, essendo garantito tale passaggio ed essendosi in diritto lo stesso definitivamente assicurato, con la destinazione promiscua del tratto di strada lungo la proprietà individuale degli opponenti e il disposto uso anche carrabile della nuova pista in conformità a quanto suggerito dal c.t.u..
Nel merito, si è quindi liquidato l’indennizzo per l’esproprio nella riduzione del 5% del valore degli immobili in proprietà individuale degli opponenti, cioè in Euro 20.000,00 in favore di B. R. ed in Euro 13.000,00 a favore di B.V. e R. M.. L’indennità di occupazione delle aree poi espropriate dal 9 aprile 2002 al 13 settembre 2006, si è fissata negli interessi legali sulle indicate somme per ciascun anno in cui le – stesse sono state occupate, e complessivamente in Euro 1.562,05 per Vincenzo B. e la R. ed in Euro 2.404,00 per l’altro espropriato, oltre agli interessi legali sulla differenza ancora dovuta per entrambe le indennità, dal 13 settembre 2006 al saldo.
Esclusa la debenza della rivalutazione monetaria per essere le indennità debito "di valuta" e non "di valore", la Corte di merito ha condannato il Comune di Prato alle spese di causa.
Per la cassazione della sentenza che precede del 22 febbraio 2010, propone ricorso principale di quattro motivi notificato il 14 – 18 maggio 2010 il Comune di Prato, cui resistono i B. e la R. con controricorso e ricorso incidentale di quattro motivi, notificato il 24 – 25 giugno 2010 e illustrato da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui replica a sua volta, con proprio controricorso notificato il 17-28 settembre 2010, l’ente locale.
Motivi della decisione
I due ricorsi, principale ed incidentale, ai sensi dell’art. 335 c.p.c. devono essere riuniti.
1.1. Con il primo motivo del ricorso principale del Comune di Prato si denuncia violazione della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 40 e dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella decisione della Corte fiorentina, per non avere ritenuto indispensabile per l’applicazione della disciplina della espropriazione parziale l’esistenza di un solo complesso immobiliare "appartenente ad un unico proprietario".
Non sì è rilevata dai giudici del merito la necessità della unità economica e funzionale del fondo che solo in parte sia oggetto di ablazione (il ricorso cita Cass. 5 dicembre 2008 n. 28817 e 27 agosto 2004 n. 17112), applicandosi il criterio di determinazione della differenza di valore del bene prima e dopo l’esproprio ad una fattispecie in cui esso non poteva essere applicato.
Ad avviso del ricorrente, la striscia di terreno espropriata e gli edifici danneggiati, nella cui perdita di valore si è nel merito liquidata l’indennità di espropriazione, non costituiscono unico complesso immobiliare, in quanto la strada a servizio dei latistanti edifici è una pertinenza in comunione degli opponenti e di terzi, cioè di tutti i frontisti della strada ed è da considerare autonoma come ogni altra pertinenza rispetto all’immobile cui accede (in tal senso si cita in ricorso: Cass. 7 aprile 2005 n. 7295). In sostanza, la striscia,larga m. 6,50, tra la recinzione del resede retrostante il fabbricato degli opponenti e l’argine del torrente (OMISSIS), oggetto di espropriazione, era in comunione di tutti i titolari degli edifici latitanti ad essa, uno dei quali era in proprietà dei soli opponenti e costituiva una unità immobiliare giuridicamente diversa dall’immobile acquisito dal Comune di Prato. Erroneamente quindi si era applicata la disciplina della L. n. 2359 del 1865, art. 40 relativo alla espropriazione parziale, senza rilevare che il bene espropriato era oggetto di un diritto di comunione diverso da quello di proprietà individuale, che non è stato oggetto della procedura espropriativa, ma ha concorso con la sua perdita di valore alla liquidazione dell’indennizzo. L’unità economico-funzionale dell’unico bene che in parte viene espropriato è invece il presupposto di fatto e di diritto della espropriazione parziale, che non sì può configurare quando si espropri una autonoma pertinenza a servizio di un immobile appartenente ad altri, come accade nel caso in cui quest’ultimo è oggetto di una proprietà distinta dalla contitolarità della area acquisita che è solo a servizio di essa (in ricorso si cita, nello stesso senso, Cass. 25 luglio 2006 n. 16983).
1.2. Con il secondo motivo di ricorso si afferma la violazione delle stesse norme di cui al primo motivo di ricorso, in ragione del difetto assoluto di motivazione sul punto decisivo del pregiudizio alla porzione residua dell’area espropriata (sì citano Cass. 24 settembre 2007 n. 19570, 8 febbraio 2006 n. 2812).
La pretesa perdita di riservatezza, derivata dal maggiore uso della strada realizzata a seguito dell’espropriazione, non rileva per liquidare l’indennità per questa, in quanto già sullo stradello accedevano, prima dell’esproprio, altri terzi con gli opponenti contitolari dell’area, potendo tutti, i proprietari degli edifici latistanti, quali condomini del viottolo, passare e invadere la riservatezza degli altri titolari di case lungo i lati della strada.
In effetti, la funzione di collegare i parcheggi sul retro delle abitazioni individuali dei titolari dei fabbricati latistanti della strada pubblica, già in passato esercitata con il preesistente stradello, è stata mantenuta dalla nuova opera cui era preordinato l’esproprio e, quindi, nessuna maggiore perdita di valore si è avuta per le proprietà individuali dei titolari delle costruzioni confinanti, quali erano gli opponenti alla stima.
1.3. In terzo luogo, il ricorso principale lamenta la violazione delle norme indicate nei primi due motivi e del principio dispositivo, oltre che il difetto assoluto di motivazione sul punto decisivo del nesso causale tra l’espropriazione e il degrado della cd. parte residua dell’area espropriata, danno che, nel caso, non è derivato dalla ablazione ma dalla nuova opera realizzata sulle aree espropriate.
Deve negarsi che il distacco materiale della parte espropriata vi fosse stato e poi avesse inciso negativamente sul valore sulla parte residua di essa, effetto, non dello smembramento della originaria unica proprietà, ma dell’esercizio del passaggio di un numero maggiore di auto sulla nuova opera pubblica, con incremento rilevante dell’inquinamento e dei rumori.
In ricorso si citano varie pronunce di questa Corte che chiariscono, che il danno da indennizzare di cui all’art. 40 della legge sull’espropriazione del 1865, deve derivare direttamente e unicamente dalla parziale espropriazione di una parte del medesimo complesso immobiliare e non dall’opera per la quale essa era stata disposta (Cass. 5 dicembre 2008 n. 28817, 23 novembre 2004 n. 22110, 24 giugno 2003 n. 9981, tra altre).
In quanto si è liquidato un danno diverso da quello di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 40, reintegrando il pregiudizio effetto della utilizzazione dell’opera pubblica costruita a seguito dell’ablazione, si è pure violato il principio dispositivo, essendosi determinata una indennità reintegrativa di danni non compresi nella domanda relativa alla sola indennità dell’area in comunione acquisita dal comune (viene citata Cass. 17 giugno 2009 n. 14095). Si è sostanzialmente nel merito fatto ricorso a una causa petendi diversa da quella a base dell’opposizione alla stima e sì è liquidato il corrispettivo dei vincoli imposti dalla nuova strada realizzata alle proprietà laterali ad essa e quindi non la indennità di espropriazione parziale, come richiesto dai controricorrenti.
1.4. L’ultimo motivo del ricorso principale censura la sentenza per violazione della L. 21 ottobre 1971, n. 865, art. 20, per avere la Corte d’appello liquidato l’indennità di occupazione in forse agli interessi legali di quella di espropriazione, per ciascun anno nel quale le areèstesse rimasero occupate.
Rileva il ricorrente che la L. del 1971 prevede invece solo il pagamento di 1/12 dell’indennità di espropriazione per ogni anno d’occupazione.
2. I controricorrenti B. e R. denunciano la inammissibilità e l’infondatezza dei motivi del ricorso principale, perchè pretendono di sostituire le valutazioni della Corte d’appello, logicamente congrue e giuridicamente corrette, con quelle del ricorrente Comune di Prato, sulla unitarietà economica e funzionale dell’area espropriata con gli altri immobili degli stessi opponenti.
In quanto il pregiudizio indennizzato è quello conseguente all’espropriazione, nessuna violazione v’è stata del principio dispositivo e correttamente si è liquidata l’indennità di occupazione in una parte di quella di espropriazione, perchè l’area occupata era parte del più ampio resede degli immobili degli stessi attori. Con le repliche al ricorso principale sopra richiamate i controricorrenti propongono anche ricorso incidentale.
2.1. Il primo motivo del ricorso incidentale denuncia la violazione della L. n. 2359 del 1865, art. 40, per non avere la Corte di merito considerato il pregiudizio derivato dalla perdita di spazi interni alla recinzione sulla residua porzione non espropriata del resede stesso. In quanto l’opera da realizzare era una "pista ciclabile", essa ostava all’utilizzazione di essa per l’accesso alle proprietà degli opponenti cui l’area occupata era prima invece destinata.
Secondo gli espropriati, erano infatti irrilevanti le successive disposizioni regolamentari date dall’ente locale, che avevano disposto un uso promiscuo e carrabile del tratto di strada oggetto di causa e permesso ai residenti di accedere con le auto alle loro proprietà individuali, comunque ancora inefficiente alla data dell’ablazione.
Deducevano inoltre la illegittimità dell’ordinanza sindacale n. 1757 del 23 settembre 2008, per non avere previsto alcun intervento materiale per garantire la sicurezza degli utenti della pista ciclabile, limitandosi solo a consentire il passaggio delle auto degli opponenti, in modo da far ridurre l’indennità.
Il c.t.u. ha rilevato pure la possibilità di circolazione affiancata di autoveicoli e biciclette, ma, ad avviso degli opponenti, la permanente revocabilità della indicata ordinanza, comporta comunque la riduzione di valore delle unità immobiliari latistanti correttamente reintegrata con la indennità liquidata.
Anche la limitazione o riduzione del godimento pregresso delle aree espropriate doveva infatti indennizzarsi e non vi è motivazione dalla sentenza di merito in ordine alla reintegrazione della perdita di valore delle aree interne al resede destinate a parcheggio, per l’aggravio dell’uso promiscuo delle aree espropriate.
2.2. In secondo luogo, i ricorrenti incidentali lamentano la violazione della L. n. 2359 del 1865, art. 40 e dell’art. 112 c.p.c. per non avere la Corte liquidato il danno derivato alle loro proprietà individuali dalla eliminazione della striscia immediatamente confinante con gli spazi in loro proprietà, larga circa m. 2,50, lungo il vecchio stradello e destinata a parcheggio dei visitatori all’esterno del resede di loro proprietà esclusiva.
Erroneamente si è limitata al 5% la perdita di valore delle unità immobiliari latistanti alla strada, senza considerare il pregiudizio ora descritto della perdita di parte dello stradello che precede e omettendo ogni motivazione su tale punto oggetto di precise richieste degli opponenti.
2.3. Si lamenta poi la omessa e/o contraddittoria motivazione della sentenza impugnata in ordine al valore di mercato delle singole unità immobiliari degli opponenti che si affermano danneggiate dalla espropriazione dell’area pertinenziale ad esse, senza considerare alcun prezzo da comparare e senza effettuare indagini di mercato, essendosi richiamata la relazione del c.t.u. anch’essa carente su tali punti.
2.4. Infine si denuncia la insufficiente e contraddittoria motivazione e la violazione della L. n. 2359 del 1865, art. 41, per essersi escluso il danno derivato dall’allacciamento al sistema fognario privato dei controricorrenti del sistema di smaltimento delle acque meteoriche provenienti dalla pista ciclabile, compensato con gli ipotetici vantaggi derivati agli opponenti dalla esecuzione dell’opera pubblica per essersi asfaltata e migliorata la già esistente strada.
3.1. Il primo motivo del ricorso principale è fondato, e il suo accoglimento comporta l’assorbimento degli altri motivi della stessa impugnazione e del ricorso incidentale. I B. e la R. hanno agito nel merito nella qualità di "comproprietari" della striscia di terreno espropriato, proponendo opposizione alla stima delle indennità loro offerte per l’area in comunione e sono stati indennizzati invece per un danno subito dalle loro proprietà individuali.
R. e B.A. sono infatti proprietari esclusivi di distinte costruzioni in Via (OMISSIS), sul cui retro vi è il cortile aperto o "resede" destinato a parcheggio delle auto, recintato da muratura e con ingressi separati costituiti da cancellate, che li separano dalla area oggetto di espropriazione, in comunione tra loro e con altri titolari dei fabbricati latistanti alla fascia di terreno acquisito dall’ente locale.
Con ciascuna di tali costruzioni e con il resede ad essa retrostante confina la striscia di terreno occupata dal comune opposto, larga m.
6,50, in parte già costituente lo stradello comune, cui si accedeva con regolare passo carrabile da Via (OMISSIS) e nel cui ambito vi era una fascia larga circa m. 2,50, sulla quale, ad avviso degli espropriati, potevano parcheggiare le auto dei visitatori.
Come risulta dalla quarta pagina della sentenza impugnata, l’area espropriata di mq. 136 in N.C.E.U. di Prato a F. 21, P.la 1371 (già 308) risulta essere secondo il c.t.u. "bene comune non censibile ad unità urbane, gravata da servitù di passo pedonale e carraio a favore dei fondi limitrofi, che vi potevano accedere a mezzo di servitù attiva su porzione dell’attuale particella 308 dalla via (OMISSIS) tramite passo carrabile (licenza della Provincia di Firenze n. 4231 del 1960)".
Nella comproprietà del bene espropriato, B.V. e R.M. erano subentrati ad A. e B. R., per donazione del 21 luglio 2004 per notar Pasquetti di Prato di parte del fabbricato dei due cedenti. Risulta dagli atti e dalla stessa qualifica che gli opponenti si sono dati nell’atto introduttivo del giudizio, oltre che dai dati catastali riportati, che gli attori erano titolari della proprietà esclusiva degli edifici il cui retro era limitrofo all’area espropriata, appartenente in comunione e pro quota a loro e agli altri proprietari delle altre costruzioni confinanti sul retro con la striscia espropriata, la quale era condominiale. E’ quindi chiara la distinta natura del diritto sui beni dei quali si è chiesto e ottenuto come indennizzo la perdita di valore (proprietà individuale) rispetto a quello sull’area espropriata (comunione), di cui gli opponenti sono contitolari, con terzi proprietari di lotti diversi lungo la stessa striscia di terreno, destinata all’accesso comune ai retrostanti parcheggi in proprietà esclusiva. La destinazione della striscia di terreno espropriata a servizio delle proprietà individuali dei vari titolari dei fabbricati latistanti, per raggiungere anche con auto il resede di ciascuno di questi destinato a parcheggio, ne evidenzia il carattere pertinenziale rispetto a tali beni. Attribuendo valenza esclusiva e determinante a quest’ultima situazione, assolutamente irrilevante nel sistema indennitario predisposto dall’art. 42 Cost. e dalla L. n. 2359 del 1865, artt. 39 e 40, la Corte di appello ha stravolto la funzione stessa del criterio differenziale introdotto da quest’ultima norma, che non è affatto quella di apprestare una tutela indennitaria e/o risarcitoria ai terzi pregiudicati di fatto dall’espropriazione. L’art. 40 più volte richiamato si rivolge, al pari del precedente art. 39 di cui è seguito immediato e logico nell’ordine della legge, "al proprietario" del "bene espropriato" in tutto o in parte, onde garantirgli, in quest’ultima ipotesi, che l’indennità riguardi l’intera diminuzione patrimoniale subita al di là della porzione espropriata, e quindi copra anche la (eventuale) diminuzione di valore di quelle residue del fondo, rimaste nella sua proprietà.
Proprio per tale ragione, la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’enunciare quali presupposti indispensabili per invocare l’applicazione dell’art. 40: a) che la vicenda ablativa investa parte di un complesso immobiliare appartenente allo stesso proprietario (Cass. 5 dicembre 2008 n. 28817, 31 gennaio 2008 n. 2424, 24 settembre 2007 n. 19570, 8 febbraio 2006 n. 2812 e Cass. 27 agosto 2004 n. 17114); b) che detto complesso sia caratterizzato da un’unitaria destinazione economica, il cui smembramento implichi per il proprietario un pregiudizio diverso da quello ristorabile mediante l’indennizzo calcolato con riferimento soltanto alla porzione espropriata (Cass. S.u. 8 aprile 2008 n. 9041, Cass. 5 settembre 2008 n. 22409/2008, Cass. 24 giugno 2004 n. 10634).
Con l’avvertenza che la prima condizione (ricavabile dallo stesso tenore letterale della norma che si riferisce "all’immobile" prima dell’espropriazione, ed alla "residua parte di esso" dopo) è pregiudiziale e perciò stesso necessaria, ma non sufficiente per legittimare il ricorso al criterio differenziale suddetto, dovendo essere completata dalla ricorrenza della seconda, a sua volta non invocabile quando manchi, a monte, il presupposto cui è subordinata, dell’identità del proprietario (così la già citata Cass. n. 2424/2008).
Questa disciplina, in cui va compresa ogni ipotesi di diminuzione di valore della parte di immobile non interessata dall’espropriazione, con necessario riferimento al concetto unitario di proprietà, non è superabile attraverso il richiamo al regime delle pertinenze di cui agli art. 817 ed 818 c.c., avendo questa Corte ripetutamente affermato che, in tema di espropriazione per pubblica utilità, la natura pertinenziale di un’area non riveste alcuna rilevanza nella determinazione della indennità, neppure quando la stessa e il bene principale, appartengano al medesimo proprietario.
Infatti anche in tal caso le pertinenze mantengono la loro individualità fisica e giuridica, e (se espropriate) sono separatamente indennizzabili alla stregua della disciplina ad esse inerente (Cass. 20 giugno 2011 n. 13455, 25 luglio 2006 n. 16983; 21 settembre 2005 n. 18602). La giurisprudenza di legittimità ha sistematicamente escluso che l’indennità di espropriazione parziale di un’area annessa o pertinente ad un fabbricato di civile abitazione, possa essere liquidata sulla base della differenza fra il valore unitario dei due beni prima dell’espropriazione e il valore della porzione residua, proprio perchè il criteriò di stima differenziale previsto dalla L. n. 2359 del 1865, art. 40 per l’espropriazione parziale è inapplicabile quando non sia possibile considerare le due aree in modo unitario, stante la diversità di funzione economica e di natura dei beni espropriati (Cass. 8 ottobre 2010 n. 22108, 25 luglio 2006 n. 16980, 4 novembre 2005 n. 21401 e 9 novembre 2004 n. 21352).
Il criterio è a maggior ragione inapplicabile, ove non solo i beni sono separatamente indennizzabili alla stregua della diversa disciplina inerente ad ognuno di essi, ma ne sia esclusa in radice la natura "unica ed unitaria" per appartenere gli stessi a proprietari diversi. Conseguenza degli errori in cui è incorsa la sentenza impugnata è che la stessa ha finito per non liquidare affatto l’indennità spettante ai comproprietari B. per l’espropriazione della striscia di terreno comune, costituente il solo oggetto del giudizio di opposizione alla stima L. n. 865 del 1971, ex art. 19 di competenza della Corte di appello dagli stessi proposto, bensì un diverso indennizzo estraneo allo stesso procedimento ablativo ed al criterio di stima stabilito dalla L. n. 2359 del 1865, art. 39 (dopo le note declaratorie di incostituzionalità da parte della cit. Corte Cost. n. 348/007 e 181/2011, dei criteri riduttivi); tale indennità è astrattamente collegabile alla seconda previsione della L. n. 2359 del 1865, art. 46, comma 1, che disciplina le perdite ed i danni permanenti provocati da un’opera pubblica a immobili non espropriati (nel caso, i fabbricati di proprietà esclusiva), sempre che non si tratti di pregiudizio destinato ad incidere indistintamente su ogni proprietà che si trovi in prossimità di essa (Cass. 17 febbraio 2008 n. 2938, 17 gennaio 2007 n. 1043 e 25 novembre 2005 n. 25017).
La mancanza di unicità giuridica del diritto oggetto di espropriazione con quello leso dalla riduzione di valore, rende impossibile l’applicazione alla fattispecie della L. n. 2359 del 1865, art. 40, per non essere i beni espropriati e quelli rimasti agli originari titolari, appartenenti al medesimo titolare (così, di recente, Cass. 25 novembre 2010 n. 23967, 4 maggio 2009 n. 10217, Cass. 5 settembre 2008 n. 22409 con le sentenze citate in ricorso).
Deve quindi escludersi, nella fattispecie, che sia stata corretta la liquidazione dell’indennità di espropriazione con i criteri di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 40, perchè nel caso si è invece reintegrato con l’indennizzo la perdita cagionata a beni diversi da quello oggetto d’espropriazione.
Nella specie non vi è lo smembramento di un immobile oggetto di un diritto unico e appartenente ad uno stesso soggetto e la necessità di considerare in modo unitario, sul piano funzionale ed economico le proprietà individuali, e quella comune espropriata per intero, osta all’applicazione del criterio di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 46 (sul punto, cfr. pure la cit. Cass. n. 22108 del 2010).
Il primo motivo di ricorso è quindi fondato e il suo accoglimento assorbe ogni questione sui pregiudizi arrecati alle diverse e distinte proprietà individuali ed esclusive degli opponenti (2 motivo ricorso principale) e lo stesso problema della cd. extrapetizione, per essersi liquidato l’aggravamento di una esistente servitù o vincolo del tipo di quello di cui all’art. 46 della predetta L. del 1865, piuttosto che l’indennità di espropriazione, da determinare invece nel valore venale dell’area.
Altrettanto è a dire per il motivo attinente alla indennità di occupazione che non può costituire parte di un indennizzo erroneamente liquidato, fermo restando la necessità di liquidare il danno da mancato godimento del fondo per il periodo dalla sua materiale apprensione fino alla data dell’espropriazione, in una percentuale di quanto dovuto per essa, pari alla sua redditività virtuale.
4. Anche i motivi del ricorso incidentale, in quanto partono dal presupposto della natura parziale della espropriazione, in realtà non configurabile nel caso e denegata con l’accoglimento del primo motivo del ricorso principale, restano assorbiti; così accade per il primo motivo di ricorso degli espropriati, che attiene alla perdita di valore delle proprietà individuali distinte da quella comune del bene espropriato.
Resta irrilevante nel caso la perdita pretesa delle aree sterrate già esistenti destinate a parcheggio lateralmente alla strada, in quanto anche esse come oggetto di comunione sono state espropriate unitariamente al resto della striscia acquisita dal Comune di Prato.
Assorbita è infine la questione del valore di mercato delle proprietà individuali, che non rilevano per quanto detto al fine di determinare l’indennità di espropriazione che non attiene ad esse e quella del danno per i controricorrenti dall’allacciamento del sistema di smaltimento delle acque della pista ciclabile, comunque riferita ad una ipotesi diversa, da quella della L. n. 2359 del 1865, art. 40 e non liquidabile con l’applicazione di tale norma.
4. In conclusione dei ricorsi riuniti, va accolto il primo motivo di quello principale con assorbimento degli altri e dell’incidentale.
La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa deve rinviarsi alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione, perchè si adegui. ai principi di diritto sopra enunciati, nel liquidare le indennità di espropriazione e occupazione in controversia, provvedendo anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale dell’ente locale e dichiara assorbiti gli altri motivi della stessa impugnazione e quelli dell’incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione.
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