Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 19-09-2011) 29-09-2011, n. 35397

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il pubblico ministero presso il tribunale di Mondovì sequestrò a M.L., nell’ambito del procedimento penale a suo carico per falsità in testamento, la somma di Euro 370.212,56. Gli odierni ricorrenti, assumendo di essere eredi legittimi di D.G. C., facevano istanza al giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Mondovì di restituzione della somma, facendo presente che sia la M., sia gli altri soggetti nominati nel testamento impugnato avevano espressamente dichiarato di acconsentire alla restituzione. Contro la decisione negativa del gup i ricorrenti proposero appello al tribunale di Cuneo, il quale, con ordinanza del 14 aprile 2011, rigettò l’impugnazione.

Contro tale provvedimento i ricorrenti propongono oggi ricorso per cassazione evidenziando due motivi di ricorso:

1. Con il primo motivo si denuncia inosservanza o erronea applicazione dell’art. 323 c.p.p.; secondo i ricorrenti l’articolo in esame prevede esclusivamente un termine finale per la restituzione dei beni sequestrati, ma non vieta affatto che i beni siano restituiti agli aventi diritto prima di tale momento.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta inosservanza o erronea applicazione dell’art. 263 c.p.p.; in particolare ritengono i ricorrenti che il dubbio sull’appartenenza dei beni in sequestro, preclusivo della restituzione, debba essere di natura oggettiva e sussista esclusivamente quando vi sia una controversia sulla proprietà delle cose sequestrate e non invece quando il dubbio derivi da una convinzione meramente soggettiva del giudice. Con riferimento al caso di specie, i ricorrenti sostengono che la loro qualifica di eredi non sia in alcun modo contestata e non si sia dunque in presenza di una controversia circa la titolarità del diritto sulle somme oggetto di sequestro. Infine, secondo i ricorrenti il giudice di fronte a un’istanza di restituzione avrebbe due sole possibilità: restituire il bene o, in caso di controversia sulla proprietà, rimettere le parti davanti al giudice civile, mentre non potrebbe negare la restituzione sul presupposto della pendenza di una lite civile.

Per tali motivi i ricorrenti chiedono l’annullamento del provvedimento impugnato ed instanno affinchè questa corte disponga direttamente il dissequestro della somma a loro favore.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso è privo di rilevanza del presente giudizio; non vi è dubbio, infatti, che l’art. 323 c.p.p. non precluda la restituzione dei beni sequestrati agli aventi diritto prima della sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, ancorchè soggetta a impugnazione. Nemmeno il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato dubita della correttezza di tale interpretazione, dal momento che ha negato la restituzione non perchè il procedimento penale non fosse ancora completato, ma per il fatto che ha ritenuto sussistente un dubbio in merito alla titolarità delle somme in sequestro. Dunque non esiste, nel provvedimento impugnato, il vizio di interpretazione normativa lamentato dai ricorrenti.

Il secondo motivo di ricorso è parimenti infondato; innanzitutto si deve premettere che la valutazione di merito relativa alla sussistenza o meno di un controversia sulla titolarità dei beni e, conseguentemente, di un dubbio circa i soggetti cui spetta la restituzione è insindacabile in cassazione se, come nel caso di specie, correttamente motivata. Il tribunale di Cuneo ha ritenuto, correttamente, che tali dubbi scaturissero dalla pendenza di una lite civile relativa all’impugnazione del testamento invocato dalla M. (ed oggetto anche dell’indagine penale), nè risulta che tale giudizio sia terminato o, come affermato dai ricorrenti a pagina otto del ricorso per cassazione, definito con un accordo transattivo (che non risulta allegato al ricorso stesso). Che la qualità di eredi dei ricorrenti non sia contestata è affermazione che confligge con la stessa pendenza della lite civile, a meno che non sia intesa come mancata contestazione del fatto che i ricorrenti sono potenzialmente eredi legittimi del de cuius, in quanto parenti più prossimi; ciò non elimina peraltro il dubbio sulla titolarità dell’asse ereditario, che deriva non dalla difficoltà di individuare gli eredi legittimi, bensì dall’esistenza di una disposizione testamentaria che nomina eredi soggetti diversi e che si assume invalida. E’, dunque, la controversia circa la validità del testamento impugnato che implica inevitabilmente la permanenza del dubbio sulla titolarità delle somme che formano l’asse ereditario e non invece la mera qualifica di eredi legittimi (in quanto parenti più prossimi del defunto D.G.C.) degli odierni ricorrenti. Ciò premesso, deve ribadirsi che non spetta a questa Corte sostituirsi al giudice di merito nella valutazione sulla ritenuta sussistenza dei dubbi in ordine alla titolarità dei beni e sulla opportunità della loro restituzione.

E’ priva di pregio, poi, l’ultima censura dei ricorrenti, secondo cui il giudice, di fronte ad un’istanza di restituzione avrebbe due sole possibilità: restituire il bene o, in caso di controversia sulla proprietà, rimettere le parti davanti al giudice civile, mentre non potrebbe negare la restituzione sul presupposto della pendenza di una lite civile. Del tutto inutile, infatti, sarebbe stato il provvedimento di rimessione davanti al giudice civile per la risoluzione della controversia in ordine alla titolarità delle somme, dal momento che un tale procedimento è già pendente. La norma contenuta nell’art. 263 c.p.p., comma 3 non prende direttamente in esame l’ipotesi in cui sia già pendente il giudizio civile sulla titolarità dei beni, giacchè in tal caso per il giudice penale non vi è luogo a provvedere, essendo unicamente necessario attendere che l’accertamento in questione giunga al suo esito; ogni diversa interpretazione della norma sarebbe irragionevole.

Per i motivi esposti il ricorso deve essere respinto, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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