Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 19-07-2011) 29-09-2011, n. 35413 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Lucca, con sentenza del 24.2.2003, affermava la responsabilità penale di O.V. in ordine al reato di cui agli artt. 81 cpv., 609 bis e 609 ter cod. pen. (per avere, con più atti esecutivi di un medesimo disegno criminoso e mediante violenza ed abuso di autorità, costretto la figlia minore D., nata il (OMISSIS), a compiere atti sessuali, facendosi masturbare da lei – in (OMISSIS)) e lo condannava alla pena principale di anni otto e mesi sei di reclusione, alle pene accessorie di legge, nonchè al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile S.S., madre della bambina, da liquidarsi con separato giudizio, assegnando una provvisionale provvisoriamente esecutiva pari ad Euro 15.000,00.

Il Tribunale assolveva l’imputato, per insussistenza del fatto, da ulteriori episodi di violenza sessuale (rapporti sessuali orali, penetrazioni con le dita della mano nella vagina, tentativo di penetrazione con il pene nella vagina), contestatigli sempre in danno della figlia. La predetta sentenza, con una sintesi tratta da quella oggi impugnata, così scansiona lo svolgimento della vicenda.

O.D., una bambina di 8 anni, comincia a non voler andare dal padre. La mamma la fa visitare dal pediatra. Poi la visita, nel 1998, la dottoressa B.L. che rileva una forte inibizione, un atteggiamento troppo adultizzato, un continuo stato di ansia.

La B. sospetta un abuso sessuale, ma non ne parla.

Nell’estate 1998 D. manifesta ulteriori problemi. Dopo le visite al padre accusa bruciori alle parti intime.

Si arriva all’episodio scatenante. D. chiede alla nonna il valore di un giuramento.

Poi, a scuola, consegna il disegno con il pene e delle scritte sui rapporti fra lei e il padre.

Vi sarebbe una scritta sul retro, ma il primo Giudice la ritiene ininfluente. Il disegno viene mostrato alla madre dopo che la bimba le ha raccontato i fatti.

Viene effettuato un incidente probatorio: la bimba afferma, riferendosi al padre, che avevano fatto insieme la doccia e lui le insegnava come si faceva a masturbarlo.

11 Tribunale opera le seguenti valutazioni: D. è attendibile;

la valutazione della B. è confermata dalla CT V. autrice della perizia psicologica; la consulente della difesa sostiene, in teoria, la non attendibilità delle dichiarazioni della piccola D., ma non apporta elementi pratici; D. usa una matita per mimare la masturbazione e parla della "cremina" che il padre le spalmava; viene riscontrato il racconto della bambina quando parla delle video cassette pornografiche che, in effetti, vengono ritrovate, laddove il prevenuto rende una versione inspiegabile.

Con sentenza del 15.2.2005 la Corte di Appello di Firenze che, condividendo le conclusioni del perito (dr. B.G.) in quella sede nominato, dubitava dell’attendibilità delle dichiarazioni accusatorie della minore, in riforma della sentenza anzidetta, assolveva l’ O., per insussistenza del fatto, dal reato per il quale era intervenuta condanna.

La Corte suprema di Cassazione, Sezione 3^ penale, adita su ricorso del Procuratore generale presso la Corte di Appello predetta e della parte civile, con sentenza in data 18.6.2006, annullava tale pronuncia della Corte fiorentina, con rinvio ad altra sezione della medesima.

Secondo la Corte di Cassazione, il giudice di appello aveva omesso di valutare e confutare puntualmente le argomentazioni di segno contrario svolte dal primo Giudice, avuto riguardo ad una serie di elementi e cioè:

– la genesi dell’accusa;

– l’episodio del giuramento di mantenere il silenzio su quanto era avvenuto;

– le effettive implicazioni dell’esercitazione scolastica nel corso della quale venne richiesto ai bambini di disegnare un segreto molto grosso; in quell’occasione la piccola D. consegnò alla maestra il disegno da lei eseguito raffigurante un pene con le scritte "io e babbo" e "io ho guardato il pene a mio papà, e lui mi ha fatto fare il giuramento"; pur ammettendo, come sosteneva la Corte di Appello, che fosse possibile la recezione diffusa della rappresentazione fallica "essendo noto che la stessa viene riprodotta sui muri ed altrove" doveva essere svolta un’accurata indagine per comprendere come mai la bambina avesse fatto ricorso a quel tipo di rappresentazione in quel particolare momento e nel contesto dei comportamenti che all’epoca ella teneva a scuola, in famiglia e con le persone che frequentava.

– La concreta portata di quell’eccessivo eccitamento che, secondo la sentenza di appello, sarebbe derivato ai bambini della scuola, e alla stessa D., dall’anzidetta esercitazione e, segnatamente dalla asserita sessualizzazione dei discorsi fra i compagni di classe, che ne erano seguiti; ciò perchè sul punto la sentenza del Tribunale aveva osservato come fosse emerso nel dibattimento che, nella scuola, le lezioni sul corpo umano fossero fatte solo in quinta elementare e non in terza (che era la classe frequentata da D.) mentre talvolta nelle classi inferiori le maestre correggevano i bambini che usavano espressioni non corrette e volgari, con riferimento agli organi sessuali maschili e femminili. In questo contesto dovevano essere chiarite quali conseguenze potessero, in concreto, riconnettersi all’esistenza (effettiva?) di un fidanzatine di 16 anni, previa individuazione di contatti di concreto rilievo con la ragazzina.

– La prospettazione difensiva dell’ O. secondo la quale, all’epoca dei fatti, egli non aveva erezione, perchè faceva uso di psicofarmaci. Sul punto, il Tribunale aveva analizzato l’assunto, evidenziando l’assenza di certificazioni relative a terapie antidepressive; la Corte di merito, ove non avesse condiviso queste argomentazioni, avrebbe dovuto, anzichè limitarsi a censurare il mancato approfondimento del primo Giudice, avvalersi della facoltà riconosciutale dall’art. 603 cod. proc. pen..

La Suprema Corte rilevava, altresì, che il punto nodale della vicenda era costituito senza dubbio dall’apprezzamento della credibilità del racconto accusatorio di D., la quale, provenendo la narrazione da un minore, deve essere valutata con particolare attenzione.

Questa valutazione, però, non poteva fondarsi, in una sorta di affidamento "fideistico", sulle recenti argomentazioni del perito nominato in appello (Dr. B.), ma doveva coinvolgere l’attendibilità intrinseca ed estrinseca della ragazza, ponendo a confronto le affermazioni del secondo perito con quelle, adesive o contrarie, svolte dalla perizia d’ufficio di primo grado (Dr.ssa V.), e dai consulenti di parte (dr.sse S. e T.).

In ogni caso, la valutazione doveva essere autonoma, evitando riferimenti peritali, invasivi della competenza del Giudice.

Infine, in relazione all’inquadramento della vicenda in un difficile ambiente familiare, si rilevava come la Corte territoriale avesse evidenziato che simili situazioni instaurano un clima ideale per un certo tipo di denunzie, ma non aveva ricollegato tale constatazione ad alcun concreto elemento idoneo a raffigurare l’effettiva utilizzazione di accuse tanto gravi, da parte della madre della ragazza o di altre persone, idonee a configurare un odioso disegno calunnatorio per conseguire una concreta utilità, ovvero realizzare una vendetta.

La Suprema Corte demandava, quindi, al giudice del rinvio il compito di valutare tutti i predetti elementi, nell’ambito di un esame globale e non parcellizzato, ponendoli a confronto con il giudizio sugli stessi espresso dal primo Giudice.

La Corte di Appello di Firenze, con sentenza in data 17.3.2010, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Lucca di cui in premessa, riconosceva le circostanze attenuanti generiche, valutate con criterio di equivalenza rispetto alle aggravanti, e riduceva la pena inflitta ad anni 5 di reclusione, confermando nel resto la pronuncia di primo grado.

Avverso tale sentenza ricorre nuovamente per cassazione il difensore di fiducia di O.V. deducendo i motivi di seguito sinteticamente riportati.

1. Il vizio motivazionale e l’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza in punto di affermazione di responsabilità dell’imputato sulla base delle affermazioni della minore O.D., inattendibile intrinsecamente ed estrinsecamente, evidenziando la nullità della perizia della dr.ssa V..

2. La violazione di legge (ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) in relazione alla testimonianza della Dott.ssa B.L., che non avrebbe dovuto essere ammessa quale teste (come avvenuto con l’ordinanza del Tribunale di Lucca, contestualmente impugnata);

3. La mancata assunzione di prova decisiva in relazione all’audizione del consulente tecnico G. ed all’espletamento di perizia tossicologica e medico-legale sull’imputato.

4. Il vizio motivazionale in relazione al trattamento sanzionatorio non essendo stati spiegati i motivi della valutazione con criterio di equivalenza, anzichè di prevalenza, delle concesse circostanze attenuanti generiche rispetto alle aggravanti.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va respinto.

Quanto alla prima censura, è appena il caso di evidenziare che la sentenza di annullamento della Corte di Cassazione, nel rilevare l’omessa puntuale disamina e confutazione, nella sentenza assolutoria, delle argomentazioni di segno contrario svolte dal giudice di primo grado, ha univocamente, benchè implicitamente, ritenuto l’inidoneità delle argomentazioni svolte dal giudice di appello per scardinare la ben più congrua motivazione addotta dal Tribunale di Lucca in ordine all’affermazione di responsabilità dell’imputato, fornendo chiare indicazioni per la valutazione delle dichiarazioni della minore ed escludendone, quale supporto, le affermazioni del perito nominato in grado di appello.

Orbene, il Giudice del rinvio si è attenuto a tutte le indicazioni della Suprema Corte operando una ricostruzione della vicenda nella sua interezza e pretermettendo le conclusioni del perito nominato in secondo grado, così giungendo, con esaustiva e corretta motivazione, esente da vizi logici o giuridici e previa valutazione dei motivi di appello in relazione alle acquisizioni probatorie, ad una risoluzione opposta a quella adottata dalla sentenza annullata, ma in linea con quella di primo grado.

A questo punto, non è inutile ricordare che il nuovo testo dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, con la ivi prevista possibilità per la Cassazione di apprezzare i vizi della motivazione anche attraverso gli "atti del processo", non ha alterato la fisionomia del giudizio di cassazione, che rimane giudizio di legittimità e non si trasforma in un ennesimo giudizio di merito sul fatto. In questa prospettiva, non è tuttora consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito (Cass. pen. Sez. 4, 19.6.2006, n. 38424), giacchè, attraverso la verifica del travisamento della prova il giudice di legittimità può e deve limitarsi a controllare se gli elementi di prova posti a fondamento della decisione esistano o, per converso, se ne esistano altri inopinatamente e ingiustamente trascurati o fraintesi (Cass. pen. Sez. 4, 12.2.2008, n. 15556, rv. 239533; Conformi: n. 27518 del 2006 Rv. 234604, n. 30440 del 2006 Rv. 236034, n. 4675 del 2007 Rv.

235656). Tale possibilità, peraltro, varrebbe nell’ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell’Ipotesi di doppia pronunzia conforme (in cui le sentenze di primo e secondo grado s’integrano completamente a vicenda in un unicum inscindibile), come nel caso di specie, il limite del devolutum non può essere superato Ipotizzando recuperi in sede di legittimità (cfr. Cass. pen., sez. 4, 3.2.2009, n. 19710; Conformi:

n. 5223 del 2007 Rv. 236130, n. 24667 del 2007 Rv. 237207).

La situazione creatasi sul piano probatorio e motivatorio (e sulla possibilità di critica e contestazione da parte dell’impugnante) a seguito della conferma del verdetto di colpevolezza espresso dalla sentenza del Tribunale ed oggetto del novum iudicium è, cioè, ben diversa da quella che si presentava all’esame della Suprema Corte che s’indusse ad annullare con rinvio la pronuncia di riforma.

E deve riconoscersi come questa volta sia stata fatta particolare attenzione alla genesi dell’accusa, escludendone, già in base alla spontaneità di essa, l’artificiosità; si è richiamata, a tal proposito, la questione del giuramento, da cui tutto prese le mosse.

Si è considerato e correttamente valutato l’episodio del disegno a scuola apprezzando la genuinità della rappresentazione fallica e la non ricezione della stessa aliunde. Si è apprezzata l’originalità del racconto esposto dalla bimba ben prima di interloquire con la Dr.ssa B.. E’ stata esclusa, per assenza di elementi concreti al riguardo, la questione dell’ambiente familiare e la calunniosità dell’accusa, tenuto conto della prudenza con cui la madre si risolse alla denuncia. Si è valutata la deposizione testimoniale della bambina ed affermata la possibilità di valutarla frazionatamente, come da insegnamento di questa Suprema Corte e alle condizioni dalla stessa previste (Sez. 6, n. 7900 del 22.4.1998, Rv. 211376; e, segnatamente in materia di reati sessuali: Sez. 3, n. 40170 del 26.9.2006, Rv. 235575). Si è evidenziata la natura di formidabile riscontro del rinvenimento delle cassette videopornografiche di cui parla la piccola D., E’ stata valutata, con articolata argomentazione, l’epoca d’inizio delle molestie nell’estate del 1997 e non già del 1998, circostanza che contrastava irrimediabilmente con i malesseri accusati dalla bimba già alla fine del 1997.

Così anche si è approfondita mente valutata l’annotazione ("non voglio un f…o" che dovrebbe significare "non voglio un fratellino") sul retro del disegno che la bimba aveva negato d’aver scritto, con ciò inducendo la difesa a rappresentare la sua scemata attendibilità: la Corte territoriale ha in proposito posto in dubbio sia l’autografìa della bimba, sia il significato che si vorrebbe attribuire all’annotazione sia, comunque, la valenza di tale significato, quale elemento scatenante per una falsa dichiarazione, per giunta impostata in modo così articolato e quasi secondo una predisposta sceneggiatura da parte della stessa bimba.

La Corte, infine, ha persi no degradato la valenza delle asserzioni peritali, rilevando come l’attendibilità della minore derivasse soprattutto dalle circostanze obbiettive accertate che non erano solo quelle trasfuse nell’incidente probatorio, bensì tutte quelle, aliunde ricavabili, che la bimba aveva reso nel corso dell’intera vicenda, evidenziando, altresì, come le conclusioni della perizia B., svolta in appello, non arrivavano a formulare un sicuro giudizio d’inattendibilità della minore. Le censure sub 2 e 3 sono state oggetto di adeguata motivazione nella sentenza impugnata (pagg.

10 e 13) ed essendo state, ciononostante, reiterate nella presente sede di legittimità, si devono ritenere non solo infondate ma anche aspecifiche (Cass. pen. Sez. 4, 29.3.2000, n. 5191 Rv. 216473 e successive conformi, quale: Sez. 2, 15.5.2008 n. 19951, Rv. 240109).

Invero, è stata esclusa, con congrue argomentazioni, la sussistenza della prova di una vera e propria impotenza dell’ O. e rimarcata l’osservazione del Tribunale secondo la quale, nella limitata ipotesi ritenuta provata, e cioè della masturbazione, non potevano in ogni caso ravvisarsi atti sessuali di particolare impegno che richiedessero una piena salute. Del resto, in ordine alle dedotte condizioni fisiche dell’imputato all’epoca dei fatti, la Suprema Corte è stata estremamente chiara, laddove ha precisato che, qualora la Corte di appello non avesse condiviso le argomentazioni del Tribunale circa l’assenza di certificazioni relative a terapie antidepressive, avrebbe dovuto, anzichè limitarsi a censurare il mancato approfondimento del primo Giudice, avvalersi della facoltà riconosciutale dall’art. 603 cod. proc. pen., con ciò chiaramente apprezzando l’adeguatezza della motivazione della sentenza di primo grado sul punto che ora vale ad integrare la sentenza impugnata.

Del pari, quanto all’eccezione di operatività del divieto di testimonianza ex art. 197 cod. proc. pen. della B., la Corte, sulla scia di quanto già argomentato e deciso dal Tribunale, ha correttamente rilevato che il primo giudice aveva limitato la deposizione della B. alle sole circostanze da lei apprese prima dell’assunzione della qualifica dell’ausiliario, punti sui quali la testimonianza può essere legittimamente resa (cfr. Cass. pen. Sez. 4, n. 17043 del 26.3.2009, Rv. 243643, secondo la quale "Il divieto di assumere come testimoni coloro che hanno svolto nel corso del procedimento la funzione di ausiliario del pubblico ministero non configura un’ipotesi di incompatibilità assoluta a testimoniare, ma impedisce soltanto che l’ausiliario possa deporre su fatti o circostanze apprese nell’espletamento del suo incarico").

Quanto all’ultima censura, relativa al trattamento sanzionatorio, che ha pure trovato l’accoglimento del Giudice del rinvio, è palesemente infondata: la valutazione di mera equivalenza delle circostanze attenuanti generiche deriva implicitamente dalle ragioni stesse della loro concessione e cioè "anche per adeguare la pena al fatto" e dalla riduzione di pena che dall’adozione di tale criterio è derivata, pari al minimo edittale, apprezzata come congrua alla stregua dei parametri di cui all’art. 133 cod. pen. e quindi insuscettibile di quell’ulteriore riduzione che il criterio di prevalenza avrebbe comportato.

Al riguardo è opportuno rammentare, altresì, che in tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di questa Corte afferma che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all’art. 133 c.p., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Cass. pen. sez. 3^, 16.6.2004 n. 26908, rv. 229298), evenienza, questa, che nel caso di specie è da escludere radicalmente.

Consegue il rigetto del ricorso e, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione in favore della parte civile costituita delle spese di questo giudizio, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione delle spese in favore della parte civile costituita e liquida le stesse in Euro 2.100,00 oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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