Cass. civ. Sez. I, Sent., 16-02-2012, n. 2286 Amministratori

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato in data 18.02.2005, la S.A.I.S.A. società semplice in liquidazione, in persona dei liquidatori signori L.M.M. e D.F. interponeva appello avverso la sentenza in data 14.10-25.11.2004 del Tribunale di Venezia che l’aveva condannata a corrispondere a L.M.R. la complessiva somma di Euro 170.430,77, oltre interessi legali dalla domanda al saldo, a titolo di compenso dell’attività di amministratore della società semplice, contestualmente accertata, nel periodo compreso tra il 03.10.1996 (essendo prescritto il diritto per il periodo precedente di oltre un quinquennio all’introduzione del giudizio) e il giorno 01.08.2000 di messa in liquidazione della società.

L’appellato resisteva al gravame e con appello incidentale chiedeva che fosse aumentato il compenso con incidenza sullo stesso della prescrizione decennale in relazione alla disciplina sul mandato o con valorizzazione dell’atto interruttivo in data 12.04.1997 nell’ipotesi di applicazione al rapporto della prescrizione breve ex art. 2949 c.c..

La Corte d’appello di Venezia, con sentenza 683/10, rigettato l’appello incidentale, accoglieva parzialmente quello principale e, per l’effetto, condannava la SAISA a corrispondere al L.M. la somma di Euro 57.500,00.

Avverso la detta sentenza ricorre per cassazione il L.M. sulla base di cinque motivi, illustrati con memoria, cui resiste con controricorso la Saisa ss che propone altresì ricorso incidentale condizionato.

Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso principale il ricorrente censura la sentenza della corte d’appello di Venezia nella parte in cui ha qualificato come di natura societaria il rapporto che lo legava alla SAISA ed ha perciò applicato alla fattispecie la prescrizione quinquennale prevista dall’art. 2949 c.c., comma 1.

Corrispondentemente, con l’unico motivo di ricorso incidentale la Saisa contesta la mancata applicazione della prescrizione ex art. 2948 c.c., n. 4, in luogo di quella di cui all’art. 2949 c.c..

I due motivi vertendo sulla stessa questione vanno esaminati congiuntamente.

E’ pacifico tra le parti che la Saisa è una società semplice.

Da ciò discende, alla luce della giurisprudenza di questa Corte, che non può applicarsi nel caso di specie la prescrizione breve in materia di società, stabilita dall’art. 2949 cod. civ., che è applicabile esclusivamente alle società commerciali, e, cioè, alle società per le quali è prevista l’iscrizione nella sezione ordinaria del registro delle imprese, restando escluso che l’introduzione di sezioni speciali del registro delle imprese per gli imprenditori agricoli, i piccoli imprenditori e le società semplici abbia reso applicabile anche a queste ultime l’art. 2949 citato (Cass. 17587/05).

Ciò però non vuoi dire che nel caso di specie non sia intervenuta prescrizione quinquennale.

Nel caso di specie infatti lo stesso ricorrente ebbe a fondare la sua domanda contenuta in citazione (riportata sul punto nel ricorso incidentale) su una retribuzione mensile di L. cinque milioni in tal modo riconoscendo la natura periodica della retribuzione richiesta.

Da ciò discende la piena applicabilità al caso di specie della prescrizione di cui all’art. 2948 c.c., comma 4, come ritenuto dal giudice di primo grado,dovendosi in tal senso correggere la sentenza impugnata.

In conclusione va rigettato il primo motivo del ricorso principale ed assorbito quello incidentale.

Con il secondo motivo contesta la sentenza impugnata laddove questa ha escluso l’intervenuta interruzione della prescrizione.

Sul punto è applicabile il principio più volte espresso da questa Corte secondo cui in tema di interruzione della prescrizione, ai sensi dell’art. 2943 cod. civ., perchè un atto abbia efficacia interruttiva è necessario che lo stesso contenga l’esplicitazione di una precisa pretesa e l’intimazione o la richiesta di adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto, nei confronti del soggetto obbligato, con l’effetto sostanziale di costituirlo in mora (da ultimo Cass. 24656/10).

Nel caso di specie la Corte d’appello ha, escluso "l’efficacia interruttiva della interlocutoria richiesta di determinazione della volontà societaria di riconoscere un compenso per l’attività prestata dall’appellante incidentale nel corso dell’assemblea del 12.04.1997, non anche di adempimento di una obbligazione definita".

La Corte d’appello ha dunque effettuato un accertamento in fatto del contenuto della dichiarazione ed ha escluso che la stessa contenesse una precisa ed esplicita richiesta di pagamento.

Il ricorrente contesta tale pronuncia ma la censura, oltre che priva di argomentazione, è priva di autosufficienza. Era infatti onere preciso del ricorrente riportare il testo della dichiarazione nel ricorso per consentire a questa Corte di valutare l’asserita erronea valutazione della Corte. tal fine non è sufficiente la mera indicazione del documento poichè tale indicazione può costituire un punto di riferimento per un eventuale riscontro da parte della Corte ma non può costituire ragione per un riesame nel merito della documentazione delle precedenti fasi di giudizio.

Sul punto questa Corte ha già chiarito che il ricorrente per cassazione che intenda dolersi dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 6, e dall’art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, a pena di improcedibilità del ricorso – di indicare esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e di indicarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso. (Cass. 2966/11).

Ad analoga conclusione deve pervenirsi per l’ulteriore doglianza relativa al mancato esame della documentazione da cui risulterebbe l’esistenza di ulteriori atti interruttivi.

Era anche in questo caso onere del ricorrente riportare nel ricorso il testo di detti documenti con tutte le indicazioni di corredo (data della loro effettuazione, modo di comunicazione etc.) per consentire a questa Corte di valutare l’effettiva valenza degli stessi ed eventualmente riscontrarne l’effettivo contenuto. Deve aggiungersi che, non essendo contenuta nella sentenza alcuna citazione in ordine ai predetti documenti, era ulteriore onere del ricorrente di prospettare in quale degli scritti difensivi aveva sostenuto sulla base dei detti documenti l’intervenuta interruzione della prescrizione.

L’assenza di tali adempimenti rende le censure inammissibili.

Con il terzo motivo si duole della dichiarazione di inammissibilità della documentazione prodotta per tardività senza che sia stata effettuata una valutazione in ordine alla indispensabilità dei medesimi.

Il motivo è infondato.

La necessità di motivazione sull’indispensabilità dei documenti sussiste solo nel caso in cui la Corte d’appello decida di ammettere gli stessi e non anche nel caso di mancata ammissione in cui la valutazione di non indispensabilità è implicita nella pronuncia.

Anche il quarto motivo con cui si contesta che la Corte d’appello abbia disatteso le risultanze della CTU, è infondato.

Questa Corte ha in più riprese affermato che le valutazioni espresse dal consulente tecnico d’ufficio non hanno efficacia vincolante per il giudice e, tuttavia, egli può legittimamente disattenderle soltanto attraverso una valutazione critica, che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruamente e logicamente motivata, dovendo il giudice indicare gli elementi di cui si è avvalso per ritenere erronei gli argomenti sui quali il consulente si è basato, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico-giuridici per addivenire alla decisione contrastante con il parere del c.t.u. (Cass. 5148/11; Cass. 23063/09).

Nel caso di specie la Corte d’appello ha ritenuto che la consulenza d’ufficio aveva avuto una funzione meramente esplorativa e che comunque le specifiche concrete prestazioni del ricorrente non potevano ritenersi provate.

Con il quinto motivo lamenta la mancata valutazione di una serie di documenti da parte della Corte d’appello nella determinazione del compenso a lui spettante nonchè una omessa ed insufficiente motivazione sul punto.

Il motivo è inammissibile.

Anche in tal caso il ricorrente indica alcuni documenti che non sarebbero stati oggetto di esame ma non ne riporta il contenuto nel ricorso ne argomenta per quale motivo sulla base di detti documenti la determinazione del compenso sarebbe dovuto essere diversa, incorrendo così nella violazione del principio di autosufficienza del ricorso nonchè di genericità dello stesso. Non è sufficiente infatti assumere l’erroneità o la carenza di motivazione di un punto della sentenza senza addurre le specifiche avverse ragioni per cui il detto capo della sentenza debba ritenersi erroneo.

Il ricorso va in conclusione respinto.

Il ricorrente va di conseguenza condannato al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 5.000,00 per onorari oltre Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali e accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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