T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 21-10-2011, n. 1455 Onere della degenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

ANFFAS Onlus di Valle Camonica è un’associazione che persegue fini di solidarietà sociale nel settore della tutela dei diritti civili delle persone svantaggiate, in situazione di disabilità intellettiva e relazionale. La persona fisica ricorrente è padre di C.C. – affetta da handicap grave – e con la madre e l’Ente locale ha condiviso un progetto per l’emancipazione della figlia, che dal mese di febbraio 2009 non è più stato rinnovato. In data 3/8/2010 i genitori hanno chiesto di fruire del servizio di assistenza domiciliare (SAD), allegando l’attestazione ISEE della sola assistita.

Con la nota impugnata del 31/8/2010 l’amministrazione osservava che la dichiarazione doveva essere integrata con i redditi dell’intero nucleo familiare risultante dallo stato di famiglia dell’interessata.

Dall’esame del regolamento comunale, approvato con deliberazione consiliare 16/7/2008 n. 18 parimenti gravata, la famiglia apprendeva che il sistema di accesso ai servizi non era rispondente ai principi del D. Lgs. 109/98.

Con ricorso ritualmente notificato e tempestivamente depositato presso la Segreteria della Sezione i ricorrenti impugnano i provvedimenti in epigrafe, esponendo i seguenti profili di censura:

a) Violazione degli artt. 3, 23, 38, 53, 117 comma 2 lett. m) della Costituzione, degli artt. 3 e 12 comma 1 e 25 della Convenzione internazionale sui diritti dei disabili, dell’art. 3 comma 2ter del D. Lgs. 109/98, recante il principio – immediatamente precettivo – che impone di valorizzare unicamente la situazione economica dell’assistito;

b) Violazione del principio di proporzionalità e difetto di istruttoria, poiché la misura della retta è eccessiva in relazione sia alle risorse dell’assistito che a quelle del nucleo familiare: per chi è titolare di assegno di accompagnamento si applica comunque la tariffa minima del 20% del costo del servizio;

c) Violazione degli artt. 1, 3, 6, 8 e 16 della L. 328/2000, delle circolari regionali 29/7/2005 n. 34 e 25/10/2005 n. 48, eccesso di potere per difetto di istruttoria, in quanto non è stata attivata la dovuta concertazione con le Associazioni del terzo settore né con le singole famiglie coinvolte.

Non si è costituita in giudizio l’amministrazione.

Con ordinanza n. 940 depositata il 24/6/2011 il Collegio ha disposto il compimento di attività istruttoria, chiedendo al Comune di Ossimo una relazione sui fatti di causa.

Nella nota pervenuta il 29/7/2011 sono stati forniti i chiarimenti richiesti. In particolare osserva l’amministrazione che il SAD è servizio di tipo non specialistico, meramente socioassistenziale e non rientrante nei livelli essenziali di prestazioni descritte all’art. 3 comma 2ter della L. 109/98 e all’art. 3 comma 2 lett. c) del DPCM 14/2/2001. Per quanto concerne la contribuzione minima del 20%, sostiene il Comune che non il servizio non risulta preso in considerazione nel regolamento comunale impugnato.

Alla pubblica udienza del 5/10/2011 il gravame è stato chiamato per la discussione e trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

I ricorrenti censurano le determinazioni del Comune di Ossimo, il quale si è orientato ad esigere la compartecipazione dell’utente e della sua famiglia al costo per il servizio di assistenza domiciliare (SAD).

Preliminarmente occorre dare atto della rinuncia al ricorso della Sig.ra G.I., in posizione di incompatibilità.

1. Il Collegio intende anzitutto rilevare che il servizio di assistenza domiciliare rientra tra i livelli essenziali di prestazioni sociali da garantire sul territorio nazionale. In proposito l’art. 22 della L. 328/2000, nel definire il sistema integrato di interventi e servizi sociali, individua al comma 2 lett. g) gli "interventi per le persone anziane e disabili per favorire la permanenza a domicilio….", mentre il successivo comma 4 – nell’elencare le prestazioni che debbono obbligatoriamente essere erogate dalle Regioni – enuclea esplicitamente l’assistenza domiciliare (lett. c).

Non è condivisibile la linea interpretativa del Comune, tesa ad escludere il SAD dal raggio di applicazione dell’art. 3 comma 2ter della L. 109/98, poiché detta disposizione fa letteralmente riferimento ai "percorsi assistenziali integrati di natura sociosanitaria, erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo, rivolte a persone con handicap permanente grave". La circostanza che in determinate fasi della sua esistenza il soggetto diversamente abile non usufruisca di prestazioni di duplice carattere (socioassistenziale e sanitario) non è sufficiente a determinare la perdita del beneficio, poiché ogni situazione personale (in particolare di disabilità) è per sua natura dinamica e soggetta ad evoluzione: in particolare possono manifestarsi bisogni di differente natura ossia, in determinati periodi, esigenze soltanto sanitarie (es. l’erogazione di cure a domicilio) ovvero socioassistenziali (ad es. l’aiuto nella vita domestica attraverso la somministrazione del pasto o per l’igiene personale). La finalità della disposizione, tesa ad evitare l’istituzionalizzazione e a favorire la permanenza dell’individuo nell’ambiente familiare induce ad un’interpretazione ampia, per cui il percorso – e dunque la cornice di riferimento – è senz’altro "integrato" e coinvolge gli Enti e gli specialisti incaricati di garantire attività sia sanitarie che assistenziali, mentre le singole prestazioni possono nel tempo variare e anche consistere (in un arco temporale più o meno esteso) in azioni omogenee rientranti in un’unica tipologia, senza con ciò determinare preclusioni a svantaggio della persona coinvolta.

2. Ciò premesso, con riguardo alla prima censura la Sezione ha più volte ribadito (cfr. da ultimo sentenza 13/7/2011 n. 1047, e in precedenza 10/11/2010 n. 4576, 1/7/2010 n. 2422, 14/1/2010 n. 18, 13/7/2009 n. 1470 e 2/4/2008 n. 350) che la disposizione che impone di evidenziare la situazione economica del solo assistito non va intesa in senso assoluto ed incondizionato ma racchiude un indirizzo – ancorché chiaro e vincolante – rivolto alle amministrazioni locali, chiamate a ricercare soluzioni concrete in sede di individuazione dei criteri di compartecipazione ai costi dei servizi e delle strutture frequentate: in assenza del D.P.C.M. pare evidente che la proposizione normativa – seppur immediatamente precettiva – deve essere nella sua globalità tradotta in scelte concrete dalle amministrazioni titolari delle funzioni amministrative in materia di interventi sociali sul territorio.

Alla luce delle pronunce di segno opposto del Consiglio di Stato (cfr. sez. V, n. 551/2011 da una parte e n. 1607/2011 e n. 5185/2011 dall’altra), si ritiene confermare il proprio precedente orientamento, e di ribadire le considerazioni sviluppate nella propria sentenza n. 2422/2010 e diffusamente argomentate anche nella pronuncia 1047/2011.

3. Con ulteriore doglianza i ricorrenti lamentano la violazione del principio di proporzionalità ed il difetto di istruttoria, poiché la misura della retta è eccessiva in relazione sia alle risorse dell’assistito che a quelle del nucleo familiare: osservano che nei confronti del titolare di assegno di accompagnamento si applica comunque una tariffa minima del 20% del costo del servizio, e che laddove sia superata la soglia di 11.985,22 Euro si applica in ogni caso la tariffa massima.

Detta doglianza è fondata.

3.1 Il Comune afferma che il SAD non risulta compreso tra i servizi inseriti nel regolamento comunale, ma l’allegato 2 alla relazione istruttoria (cfr. il testo del regolamento) disciplina a pag. 20 – per l’area disabili – il servizio di assistenza domiciliare, con modalità di compartecipazione analoghe a quelle del SAD anziani.

3.2 Ad ogni modo, come affermato da questo T.A.R. nella pronuncia n. 350/2008, il D. Lgs. 109/98 – esplicitamente richiamato dall’art. 25 della L. 328/2000 ai fini della verifica della condizione economica dei soggetti che chiedono l’erogazione di servizi sociali – dispone all’art. 2 comma 4 che "L’indicatore della situazione economica è definito dalla somma dei redditi, come indicato nella parte prima della tabella 1", al quale vanno aggiunti i valori del patrimonio immobiliare e mobiliare. Nella lettera a) della sua prima parte la tabella 1 valorizza da un lato "il reddito complessivo ai fini IRPEF quale risulta dall’ultima dichiarazione presentata o, in mancanza di obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi, dall’ultimo certificato sostitutivo rilasciato dai datori di lavoro o da enti previdenziali…", e dall’altro (lettera b) il reddito delle attività finanziarie.

Poiché ai sensi dell’art. 34 comma 3 del D.P.R. 601/73 i sussidi corrisposti dallo Stato o da altri Enti pubblici a titolo assistenziale sono esenti da IRPEF, è evidente che tali provvidenze costituiscono entrate non computabili nella determinazione dell’I.S.E.E.

Sotto altro punto di vista, è poi ragionevole ritenere che gli Enti locali possano enucleare nuovi indici idonei a rivelare un "surplus" di ricchezza accumulata e disponibile, della quale tenere conto ai fini della determinazione della capacità contributiva: esulano certamente da tale ambito le entrate di cui si discute – di natura assistenziale ed indennitaria – le quali appaiono insuscettibili di incrementare significativamente il benessere economico dei beneficiari, per il loro valore complessivamente modesto in rapporto agli sforzi indispensabili per sopperire alle condizioni psicofisiche precarie del proprio congiunto, destinatario di cure e di interventi che contemplano spese talvolta superiori ai redditi medesimi (cfr. T.A.R. Umbria – 6/2/2002 n. 271).

3.3 Nel richiamare quanto già illustrato nella sentenza 10/11/2010 n. 4576, il Collegio ribadisce poi che la previsione di una compartecipazione alla spesa fissa ed uguale per tutti – da applicare anche a redditi molto bassi – risulta icto oculi del tutto irragionevole, colpendo l’unità familiare del soggetto diversamente abile a prescindere dalle risorse disponibili. La scelta è palesemente illogica, poiché trascura in toto l’obiettivo ricavabile dalla normativa vigente, che è quello di favorire misure idonee ad alleviare gli sforzi economici della famiglia che ospita o che comunque è legata al disabile. In presenza di categorie di reddito medie o mediobasse l’impennata dell’attuale costo della vita associata alle condizioni di un portatore di handicap – che impongono oneri non indifferenti, anche di tipo economico, rispetto agli altri nuclei familiari – dovrebbero indurre le amministrazioni ad una particolare prudenza nella previsione dei recuperi a carico degli utenti (cfr. sentenza T.A.R. Brescia 350/2008).

4. Infondata è la censura afferente alla violazione degli artt. 1, 3, 6, 8 e 16 della L. 328/2000 e delle circolari regionali 29/7/2005 n. 34 e 25/10/2005 n. 48, nonché all’eccesso di potere per difetto di istruttoria, per mancata attivazione della concertazione con le Associazioni del terzo settore e con le singole famiglie coinvolte.

4.1 Il Collegio rinvia al proprio orientamento espresso nella pronuncia 14/1/2010 n. 18. E’ infatti vero che il Tribunale ha osservato che il coinvolgimento del cd. terzo settore nella forma della "concertazione" – durante la fase di programmazione e di elaborazione dei principi guida – costituisce un preciso obbligo giuridico. Si tratta tuttavia di un dovere che matura in una fase differente, in sede di progettazione e realizzazione del sistema dei servizi sociali a rete (cfr. art. 8 comma 2 lett. a della L. 328/2000) in esito al quale viene adottato il Piano di zona in sede sovracomunale. L’obbligo di interpellare le associazioni di settore è relativo a quella fase preliminare che investe la progettazione zonale e non le scelte di ogni singolo Comune (o gruppo di Comuni, come nel presente caso).

Le spese di giudizio devono essere poste a carico del Comune di Ossimo soccombente, previa compensazione parziale del 50% in ragione della soccombenza reciproca. Possono essere compensate nei confronti della Comunità Montana evocata in giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando dà atto della rinuncia al ricorso della Sig.ra G.I..

Accoglie il gravame introduttivo nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla parzialmente l’atto regolamentare impugnato.

Accerta il diritto del soggetto diversamente abile ad usufruire del SAD secondo i principi illustrati nell’esposizione in diritto.

Condanna il Comune di Ossimo a corrispondere ai ricorrenti, in solido tra loro, la somma complessiva di Euro 3.500 a titolo di spese, competenze ed onorari di difesa, oltre ad IVA, CPA e spese generali.

Spese compensate nei confronti della Comunità Montana evocata in giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

La presente sentenza è depositata presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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