Cass. civ. Sez. I, Sent., 16-02-2012, n. 2278 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con decreto depositato in data 20 giugno 2008 la Corte di appello di Perugia, in parziale accoglimento della domanda proposta da M.C. nei confronti del Ministero della Giustizia, avente ad oggetto la richiesta di indennizzo del pregiudizio, patrimoniale e non patrimoniale, in conseguenza del superamento del termine di ragionevole durata di un processo relativo a una vertenza in materia di sfratto per finita locazione, condannava il Ministero della Giustizia al pagamento della somma di Euro 6.000,00, oltre interessi dalla domanda al saldo.

1.1 – A fondamento della decisione, la Corte di merito rilevava che il procedimento presupposto, protrattosi per sei anni e cinque mesi dalla notifica dello sfratto per finita locazione fino al rilascio dell’immobile, avesse ecceduto il periodo di durata ragionevole nella misura di tre anni.

Quanto al danno non patrimoniale, veniva attribuita la somma di circa Euro 2.000,00 per ciascun anno di ritardo, mentre, quanto al pregiudizio patrimoniale, si osservava che non era stata offerta alcuna dimostrazione delle condizioni del bene e, soprattutto, della concreta possibilità di percepire un canone maggiore rispetto a quello corrisposto dall’originario conduttore.

1.2 – Per la cassazione di tale decreto ricorre la M., sulla base di due motivi.

Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.

Motivi della decisione

2 – Con il primo motivo si denuncia illogicità della motivazione in relazione alla determinazione del periodo eccedente la durata ragionevole del processo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deducendosi che, avuto riguardo alla natura della controversia, ed alla sua semplicità, il riferimento allo "standard" previsto per l’ordinario processo di cognizione, appariva inadeguato, stante l’assenza di attività istruttoria nella procedura di rilascio di immobile. Viene al riguardo indicato, nel c.d. momento di sintesi conclusivo, il fatto controverso e decisivo per il giudizio, consistente nell’erronea equiparazione del procedimento presupposto all’ordinario processo di cognizione, che inficerebbe la motivazione.

2.1 – La censura è in parte inammissibile ed in parte infondata.

Sotto il primo profilo vale bene ribadire che la violazione dei parametri della Cedu andrebbe denunciata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, ricorrendo il vizio motivazionale soltanto quando non siano enunciate le ragioni dello scostamento, in concreto, dai parametri medesimi (Cass., 6 ottobre 2005, n. 19503).

Il rilievo, poi, secondo cui l’equiparazione del processo presupposto in esame a quello ordinario, quanto alla durata media da prendersi in considerazione secondo i parametri normalmente utilizzati dalla CEDU, sarebbe illogica, si fonda su un’asserita semplicità della procedura per rilascio di immobile rispetto al processo di cognizione, che non può condividersi. Ed invero, nel momento in cui si afferma – in linea generale, e, quindi, anche con riferimento al tipo di procedimento presupposto in esame – che il principio della durata ragionevole del processo implica la reale attuazione, in sede giurisdizionale, della pretesa legittimamente fatta valere dall’attore, così rendendo concreto il comando astratto della legge, deve a tal fine valutarsi non solo l’attività dell’organo giurisdizionale adito, ma anche il ritardo conseguente ai comportamenti di ogni altra autorità chiamata a concorrere o a comunque contribuire alla sua definizione del procedimento (come prevede testualmente la L. n. 89 del 2001, art. 2), nonchè (cfr., con specifico riferimento al rilascio di immobile ad uso abitativo, Cass., 22 ottobre 2001, n. 14885) alla (doverosa) applicazione di atti legislativi o, comunque, a contenuto normativo.

Nello stesso ricorso (a pag. 2) si afferma che la definitiva immissione nel possesso del bene era avvenuta a distanza di tempo, "a causa di provvedimento giudiziale di differimento dell’esecuzione, di inerzia dell’ufficiale giudiziario, della mancata concessione dell’assistenza di forza pubblica, dell’emanazione dal dicembre del 2001 in poi di una serie di provvedimenti legislativi di sospensione degli sfratti e della resistenza materiale e fisica dello sfrattando, fiancheggiato da parenti ed estranei". La decisione impugnata, in maniera sintetica, ma efficace, indica le ragioni del ritardo:

"proroghe, mancata assistenza della forza pubblica, sospensione legislativa della efficacia dagli sfratti".

Tanto premesso, appare evidente che, dovendosi tener conto degli aspetti (ancorchè non direttamente riferibili all’autorità giudiziaria adita) sopra evidenziati, il procedimento presupposto in esame non è stato in maniera illogica equiparato – quanto allo "standard" di durata – al processo ordinario, dovendosi al contrario rilevare come l’affermazione della ricorrente di una maggiore semplicità della procedura esecutiva in esame non tenga conto degli aspetti sopra indicati, la cui incidenza è stata più volte ribadita da questa Corte (v. anche Cass., 26 luglio 2002, n. 11046; Cass., 4 maggio 2005, n. 9245), e nella specie concretamente apprezzati dalla corte territoriale.

3 – Con il secondo motivo si denuncia "motivazione carente, apodittica ed illogica in ordine al rigetto della domanda di danno patrimoniale", sostenendosi che la Corte territoriale non avrebbe considerato il pregiudizio correlato alla differenza fra il canone percepito dalla M. fino al rilascio e quello, maggiore, risultante dal listino ufficiale della Borsa di Roma, e, in ogni caso, non avrebbe giustificato il mancato ricorso alla liquidazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c..

3.1 – Viene, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., formulato il seguente quesito: Dica l’ecc.ma Corte di cassazione se è illogica o carente la motivazione dell’impugnato decreto della Corte di appello di Perugia nella parte in cui rigetta il riconoscimento dei danni patrimoniali per non aver spiegato i motivi del ricorso ai criteri equitativi di cui all’art. 1226 c.c. e per aver ritenuto la necessarietà dell’allegazione di proposte di locazione da parte di terzi". 3.2 – Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato. Vale bene premettere – sotto il primo profilo – che in tema di danno patrimoniale il pregiudizio patrimoniale indennizzabile non è configurabile come "danno evento", riconducibile al fatto in sè dell’irragionevole protrazione del processo, ragion per cui incombe al ricorrente l’onere di fornire la prova della lesione della propria sfera patrimoniale prodottasi quale conseguenza diretta ed immediata della violazione, sulla base di una normale sequenza causale (Cass., 24 gennaio 2011, n. 1616). Orbene, pur volendosi prescindere dall’orientamento secondo cui il ritardo nella riconsegna e nel mancato godimento dell’appartamento, non necessitato da norme che ne vietino il rilascio, è esclusivamente dovuto alla resistenza della controparte nel processo presupposto, e quindi non è imputabile all’apparato statale e allo strumento processuale con la sua durata (Cass., 15 novembre 2010, n. 23053), deve rimarcarsi che la prova del danno patrimoniale, anche sotto il profilo della causalità diretta ed immediata (Cass., 19 luglio 2010, n. 16837) deve essere fornita dal ricorrente. Nel caso di specie la Corte territoriale, oltre ad evidenziare la carenza probatoria circa l’esistenza di trattative o di offerte di locazione, ha affermato che la domanda della M. era totalmente sfornita di prova in merito alle condizioni dell’immobile, circostanza certamente decisiva per stabilire il valore locativo dell’immobile, e, quindi, la sua eccedenza rispetto al canone percepito dalla M.. Deve per altro evidenziarsi un ulteriore profilo di inassecondabilita del motivo, in quanto la ricorrente asserisce di aver prodotto i listini della Borsa immobiliare di Roma, senza tuttavia, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, richiamarne o trascriverne il contenuto.

3.3 – Tanto premesso, deve ritenersi che l’accertata carenza della prova dell’esistenza del pregiudizio di natura patrimoniale comporti implicita esclusione della possibilità del ricorso alla liquidazione equitativa, cui, com’è noto, non può accedersi in assenza della già acquisita dimostrazione dell’ontologica sussistenza di un danno risarcibile (Cass., 30 aprile 2010, n. 10607; Cass., 7 giugno 2007, n. 13288) . 4 – Al rigetto del ricorso consegue la condanna della M. al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 600,00, oltre spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *