T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 21-10-2011, n. 1451 Onere della degenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il presente ricorso è promosso dall’ANFFAS di Bergamo (ONLUS che tutela per statuto gli interessi delle persone disabili e delle loro famiglie) e da alcuni genitori (nonché tutori o amministratori di sostegno) di persone con disabilità grave inserite presso il centro diurno per disabili (CDD) gestito dalla cooperativa sociale Itaca con sede a Morengo. Il suddetto CDD, situato a Ghisalba, è stato accreditato dalla Regione con DGR n. 7/21414 del 29 aprile 2005.

2. La Regione mediante la DGR n. 7/18334 del 23 luglio 2004 ha individuato i CDD come strutture private accreditate, aventi carattere semiresidenziale, destinate all’accoglienza dei disabili gravi. È prevista un’apertura pari ad almeno 35 ore settimanali per un minimo di 47 settimane all’anno. L’offerta è rivolta in via prioritaria ai disabili maggiorenni. Gli ospiti sono divisi in 5 classi in base al livello di fragilità e al carico assistenziale richiesto. Per la remunerazione dei CDD da parte del servizio sanitario regionale è necessaria la sottoscrizione di un’apposita convenzione tra gli enti gestori e la ASL territorialmente competente. L’importo delle tariffe versate dalla Regione ai CDD (differenziato a seconda delle classi di fragilità) è stato fissato inizialmente dalla DGR n. 7/19874 del 16 dicembre 2004, ed è stato in seguito aggiornato con la DGR n. 8/6677 del 27 febbraio 2008 e con la DGR n. 399 del 5 agosto 2010.

3. Le direttive regionali (v. DGR n. 7/19874 del 16 dicembre 2004) prescrivono che al fine di caratterizzare i CDD come strutture con significativo rilievo sanitario devono essere accolti in misura prevalente soggetti con livelli di fragilità alti e medioalti. Le tariffe regionali coprono soltanto una parte del costo dell’ospitalità (quella propriamente sanitaria). La restante parte ricade automaticamente nel meccanismo della compartecipazione, ed è a carico dei Comuni e degli utenti sotto forma di rette. A tutti gli ospiti di un CDD deve essere applicata una retta unica, calcolata tenendo conto della media delle classi di fragilità presenti. All’interno della retta unica devono essere evidenziate in modo chiaro le diverse voci di costo.

4. I costi che confluiscono nella retta unica sono oggetto di concertazione in sede amministrativa, nel senso che sono definiti a livello sovracomunale tramite un accordoquadro tra gli enti gestori dei CDD e il Consiglio di Rappresentanza dei sindaci dei Comuni che ricadono nel territorio di competenza della ASL (v. art. 11 della LR 30 dicembre 2009 n 33). L’accordoquadro è poi recepito dalle Assemblee dei sindaci degli Ambiti Territoriali inseriti nei vari Distretti sociosanitari della ASL. Queste direttive sovracomunali si sostituiscono progressivamente alla disciplina della compartecipazione elaborata dai singoli Comuni.

5. Mediante l’accordo raggiunto il 21 gennaio 2010 tra il Consiglio di Rappresentanza dei sindaci della Provincia di Bergamo e ConfCooperative Bergamo, con la partecipazione di CGILCISLUIL, sono state riviste e aggiornate le condizioni economiche dell’ospitalità presso i CDD per il periodo 20102012. L’accordo è stato preceduto dall’approfondimento istruttorio di un gruppo di lavoro a composizione mista (ASL, Ambiti Territoriali, ConfCooperative, Coordinamento Bergamasco per l’Integrazione, sindacati). Il costo medio standard giornaliero è stato individuato in Euro 104 (IVA inclusa), di cui Euro 12 per il trasporto dalla residenza al CDD e viceversa. Di conseguenza (tenendo conto che la tariffa regionale di cui alla DGR n. 8/6677 del 27 febbraio 2008 prevedeva un importo medio giornaliero pari a Euro 50,20) la nuova quota mensile a carico delle famiglie è stata quantificata in Euro 196,05, quella dei Comuni di residenza in Euro 478,76 e quella degli Ambiti Territoriali in Euro 382,27. Rispetto al 2008 vi è stato un incremento della retta del 16,19% a causa degli aumenti contrattuali per la parte di costo relativa al personale e in conseguenza dell’adeguamento ISTAT per la parte di costo relativa alle spese generali (tra cui il trasporto). Come già nel 2008 alle famiglie è stato imposto il 18,54% dell’onere della compartecipazione, che per il resto è stato assunto dalle amministrazioni locali (e ripartito appunto tra il livello comunale e quello dell’Ambito Territoriale).

6. Occorre evidenziare che il gruppo di lavoro nella riunione del 29 ottobre 2009 aveva proposto di calcolare la quota a carico delle famiglie a partire dall’indennità di accompagnamento, indicando come congrua una misura pari al 54% del totale (ossia, con riferimento all’importo del 2008, circa Euro 252 mensili rispetto al totale di Euro 465,09). La soluzione definitiva si è poi attestata, come si è visto, su Euro 196,05, importo che corrisponde al 42,15% dell’indennità del 2008, al 41,53% dell’indennità del 2009 (Euro 472,04), al 40,8% dell’indennità del 2010 (Euro 480,47), e al 40,22% dell’indennità del 2011 (Euro 487,39).

7. Nell’accordo del 21 gennaio 2010 è stata inoltre formulata la seguente disciplina: (a) il servizio di trasporto non ricade tra i requisiti essenziali per l’accreditamento ma è auspicabile che sia garantito dal gestore del CDD; (b) nella carta dei servizi il gestore deve indicare la retta giornaliera al netto della tariffa regionale e del costo del trasporto; (c) se la tariffa regionale dovesse aumentare sarà definita tramite un nuovo accordo una corrispondente riduzione della retta; (d) poiché la quota a carico degli Ambiti Territoriali non è dovuta per legge ma costituisce un contributo volontario a sostegno delle famiglie e dei Comuni di residenza dei disabili, il relativo importo è corrisposto per le sole giornate di presenza effettiva presso il CDD; (e) se l’ospite è assente per motivi di salute la famiglia deve autocertificare la situazione di malattia in modo da consentire il rimborso a carico del fondo sanitario regionale (in mancanza di autocertificazione la somma corrispondente al rimborso è addebitata alla famiglia); (f) in caso di mancato pagamento della quota da parte della famiglia il gestore emette un preavviso di dimissione di 4 mesi e al termine di tale periodo (perdurando l’inadempimento) potrà disporre la dimissione dell’ospite (il Comune entro il medesimo periodo valuta se vi siano le condizioni per sostenere le famiglie in stato di indigenza).

8. L’assemblea dei sindaci dell’Ambito Territoriale n. 14 (capofila il Comune di Romano di Lombardia) con deliberazione del 25 febbraio 2010 ha recepito l’accordo del 21 gennaio 2010 introducendo una modifica alla disciplina della dimissione per mancato pagamento della quota da parte delle famiglie. In base a tale modifica il mancato pagamento non comporta la dimissione dell’ospite ma la sospensione del servizio di trasporto. Il verbale della riunione del 25 febbraio 2010 segnala che erano presenti in aula alcuni familiari di ospiti dei CDD. Ai suddetti familiari non è però stato consentito di intervenire prima della votazione sul punto, e quando è stata data loro la parola al termine della riunione la discussione è stata interrotta "a causa dei toni e dei contenuti accesi del dibattito che si apre tra le famiglie e i componenti dell’assemblea".

9. Sulla base dell’accordo del 21 gennaio 2010 la cooperativa sociale Itaca, gestore del CDD di Ghisalba, ha proposto alle famiglie un contratto di ospitalità per il periodo 20102012 con la possibilità di scegliere tra queste due opzioni: (a) ospitalità comprensiva del servizio di trasporto a fronte di una quota mensile pari a Euro 196,05; (b) ospitalità completamente gratuita ma senza il servizio di trasporto. Nel caso di mancata sottoscrizione del contratto o di mancata scelta da parte della famiglia si applica automaticamente questa seconda soluzione.

10. Nei confronti delle famiglie che non avevano sottoscritto il contratto la cooperativa sociale Itaca con nota del 30 marzo 2010 ha in effetti sospeso il servizio di trasporto a partire dal 1 aprile 2010.

11. A questo punto il ricorrente C.M., genitore di un ospite del CDD, ha chiesto con lettera del 31 marzo 2010 al Comune di Martinengo di garantire il servizio di trasporto gratuito ai sensi dell’art. 28 della legge 30 marzo 1971 n. 118 (beneficio riconosciuto ai soggetti non autosufficienti che frequentino la scuola dell’obbligo o i corsi di addestramento professionale finanziati dallo Stato). Identiche richieste sono state rivolte dai ricorrenti G.C., R.A. e S.C. ai rispettivi Comuni (Calcio, Covo, Cortenuova). In risposta al ricorrente C.M. il responsabile del Settore SocioCulturale del Comune di Martinengo con nota del 12 aprile 2010 ha però comunicato che l’amministrazione comunale non era in grado di organizzare il servizio di trasporto delle persone disabili. Gli altri Comuni non hanno risposto.

12. Contro l’accordo del 21 gennaio 2010, nonché contro la deliberazione di recepimento 25 febbraio 2010 e la nota del Comune di Martinengo del 12 aprile 2010, i ricorrenti hanno presentato impugnazione con atto notificato il 25 maggio 2010 e depositato il 17 giugno 2010. Oltre all’annullamento degli atti impugnati è stata formulata richiesta di risarcimento per l’interruzione del servizio di trasporto. Le censure possono essere sintetizzate come segue:

(i) violazione degli art. 2 e 3 del Dlgs. 31 marzo 1998 n. 109 e dell’art. 25 della legge 8 novembre 2000 n. 328, in quanto la compartecipazione dei privati al costo dei servizi sociosanitari e assistenziali dovrebbe essere graduata in base alla situazione economica del richiedente attraverso il metodo ISEE;

(ii) violazione dell’art. 3 comma 2ter del Dlgs. 109/1998, il quale stabilisce che per le prestazioni sociali rivolte ai disabili gravi di cui all’art. 3 comma 3 della legge 5 febbraio 1992 n. 104 occorre fare riferimento alla situazione economica del solo assistito;

(iii) violazione dell’art. 2 comma 6 del Dlgs. 109/1998 e degli art. 433 e 438 c.c., in quanto l’imposizione di una retta ai familiari sarebbe in contrasto con la disciplina civilistica degli obblighi alimentari;

(iv) carenza di proporzionalità e difetto di istruttoria, in quanto l’imposizione di un costo a soggetti particolarmente fragili, o anche alle loro famiglie, inciderebbe in modo intollerabile sui benefici assistenziali (indennità di accompagnamento, pensione di inabilità) che servono a garantire i mezzi necessari per vivere di cui all’art. 38 Cost.;

(v) violazione dell’art. 28 della legge 118/1971, nonché contraddittorietà e sviamento, in quanto il trasporto è una condizione essenziale per consentire ai disabili gravi di frequentare i CDD, e pertanto dovrebbe essere garantito gratuitamente, senza che la sospensione di tale servizio possa assumere una funzione impropria di deterrente per le famiglie che non pagano la retta;

(vi) difetto di istruttoria, in quanto è mancato un confronto effettivo con le famiglie dei disabili.

13. Si sono costituite in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso, le amministrazioni indicate qui di seguito: Assemblea dei Sindaci dell’Ambito Territoriale di Romano di Lombardia, Comune di Romano di Lombardia, Assemblea dei Sindaci dell’Ambito Territoriale Valle Seriana, Comune di Albino, Comune di Dalmine, Comune di Seriate, ASL di Bergamo, Comune di Martinengo, Comune di Bergamo, Assemblea dei Sindaci dell’Ambito Territoriale Val Cavallina. Si è costituita anche Confcooperative Bergamo, chiedendo parimenti la reiezione del ricorso. Hanno poi fatto intervento ad opponendum le seguenti amministrazioni: Assemblea dei Sindaci dell’Ambito Territoriale di Dalmine, Assemblea dei Sindaci dell’Ambito Territoriale di Seriate, Assemblea dei Sindaci dell’Ambito Territoriale di Grumello Del Monte, Comune di Bolgare, Azienda Territoriale per i Servizi alla Persona Valle Imagna e Villa D’almè, Azienda Speciale Risorsa Sociale Gera D’adda, Comunità Montana dei Laghi Bergamaschi, Azienda Speciale Consortile Isola Bergamasca e Bassa Valle San Martino.

14. Sulle questioni che rilevano nella presente controversia si possono formulare le seguenti considerazioni:

(a) l’accordo del 21 gennaio 2010, pur avendo forma negoziale, è nella sostanza un atto di indirizzo per la definizione delle rette di frequenza ai CDD, e dunque ricade nell’attività amministrativa finalizzata alla gestione delle prestazioni sociosanitarie e assistenziali. Come tale è impugnabile dai soggetti che si ritengano lesi dalla sua applicazione;

(b) costituisce principio generale della materia dei servizi sociosanitari e assistenziali, codificato negli art. 2 e 3 del Dlgs. 109/1998 e nell’art. 25 della legge 328/2000, e ripreso a livello locale nell’art. 8 della LR 12 marzo 2008 n. 3, che la compartecipazione dei privati ai costi delle prestazioni sia graduata in base alla situazione economica del richiedente misurata attraverso l’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE);

(c) rispetto a tale principio le scelte dei comuni della Provincia di Bergamo contenute nell’accordo del 21 gennaio 2010 si collocano in dissonanza, in quanto prevedono il pagamento di una retta uguale per tutti. È vero che in questo modo viene seguita l’impostazione regionale di cui alla DGR n. 7/19874 del 16 dicembre 2004 a proposito della retta unica, che semplifica notevolmente il calcolo del riparto dei costi una volta scorporata la tariffa versata dalla Regione per le prestazioni sanitarie. Tuttavia una cosa è la retta unica pagata al gestore del CDD, un’altra è l’onere che grava effettivamente sui privati dopo che è stato quantificato il contributo del Comune all’interno del meccanismo di compartecipazione. Il trattamento uniforme degli ospiti dei CDD in sede di compartecipazione fallisce l’obiettivo di equità e giustizia sostanziale che è il nucleo della disciplina dell’ISEE: nella fruizione delle prestazioni sociosanitarie e assistenziali ciascuno deve infatti sopportare oneri adeguati alle sue possibilità;

(d) posto quindi che l’utilizzo dell’ISEE è indispensabile, nel caso dei disabili gravi (categoria definita dall’art. 3 comma 3 della legge 104/1992) il punto è stabilire se vada seguita la regola generale che estende l’ISEE all’intero nucleo familiare o se si debba tenere conto della situazione economica del solo assistito. L’art. 3 comma 2ter del Dlgs. 109/1998 contiene un’esplicita indicazione a favore di quest’ultima soluzione, almeno per le prestazioni assicurate nell’ambito di percorsi assistenziali integrati di natura sociosanitaria, erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno (come nei CDD) o continuativo. In effetti, con riguardo a queste fattispecie, la norma fa rinvio a un successivo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri ma stabilisce un primo vincolo imponendo di evidenziare la situazione economica del solo assistito, e un secondo vincolo imponendo il rispetto delle indicazioni contenute nell’atto di indirizzo e coordinamento di cui all’art. 3septies comma 3 del Dlgs. 30 dicembre 1992 n. 502;

(e) richiamando il primo vincolo una parte della giurisprudenza ritiene la norma non solo immediatamente applicabile pur in mancanza del decreto attuativo ma anche interpretabile nel senso che per le prestazioni rese ai disabili gravi (e ai soggetti ultrasessantacinquenni non autosufficienti) la compartecipazione al costo deve basarsi solamente sulla situazione economica dell’assistito senza coinvolgere il nucleo familiare (v. CS Sez. V 16 marzo 2011 n. 1607; TAR Milano Sez. III 7 febbraio 2011 n. 362);

(f) tale soluzione non appare integralmente condivisibile. La norma è indubbiamente chiara nella parte in cui tende a favorire la permanenza dell’assistito all’interno della famiglia evitando di scaricare sui componenti del nucleo familiare costi che nel tempo potrebbero rivelarsi insostenibili e in definitiva potrebbero costituire un incentivo a non prendersi cura del congiunto disabile. Occorre però considerare che generalmente i soggetti disabili non hanno redditi propri e solo in casi eccezionali dispongono di un patrimonio liquidabile per sostenere le spese di cura e assistenza. Ne consegue che se si considera la sola situazione economica degli assistiti il costo delle prestazioni (escluse quelle sanitarie, che sono a carico del servizio sanitario regionale) dovrebbe ricadere, nella quasi totalità dei casi, sui Comuni di appartenenza, il che in un sistema assistenziale dotato di risorse limitate (e verosimilmente decrescenti) crea problemi di sostenibilità finanziaria. Lo stesso art. 3 comma 2ter del Dlgs. 109/1998 si preoccupa infatti di bilanciare il riferimento alla situazione economica del solo assistito richiamando contestualmente le indicazioni dell’atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni sociosanitarie. Poiché l’art. 3septies comma 3 del Dlgs. 502/1992 stabilisce che nell’atto di indirizzo siano previsti anche i criteri di finanziamento, si può ritenere che la gratuità dei servizi non sia un risultato acquisito a priori ma presupponga una valutazione complessiva dei costi e dei bisogni;

(g) l’atto di indirizzo, ossia il DPCM 14 febbraio 2001, fornisce alcune indicazioni sulla necessità che l’accesso alle prestazioni sia sempre accompagnato dalla compartecipazione degli utenti alla spesa. In questo senso si esprime l’art. 3 comma 2, il quale, dopo aver definito le prestazioni sociali a rilevanza sanitaria (ossia quelle che hanno l’obiettivo di supportare la persona con problemi di disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato di salute), aggiunge che tali prestazioni sono erogate con partecipazione alla spesa da parte dei cittadini. Il successivo art. 4 comma 1 stabilisce che la programmazione regionale degli interventi sociosanitari deve rispettare, tra gli altri, anche il principio di copertura finanziaria. L’art. 5 comma 2 rinvia ai criteri regionali per la definizione della partecipazione alla spesa da parte degli utenti. Infine nella tabella allegata, all’interno della sezione dedicata alle prestazioni riabilitative ed educative, si specifica che l’assistenza a favore dei disabili gravi in strutture semiresidenziali e residenziali accreditate è posta a carico del servizio sanitario per il 70% e a carico dei Comuni per il restante 30% "fatta salva la compartecipazione da parte dell’utente prevista dalla disciplina regionale e comunale";

(h) una ripartizione analoga è stabilita dal DPCM 29 novembre 2001, che contiene la definizione dei livelli essenziali di assistenza. In particolare nella tabella dedicata all’assistenza sociosanitaria semiresidenziale e residenziale a favore dei disabili gravi (prestazioni socioriabilitative e interventi di sollievo alle famiglie) si precisa che il 30% dell’onere è posto a carico dell’utente o del Comune;

(i) dunque, ritornando all’art. 3 comma 2ter del Dlgs. 109/1998, da un lato non è stato adottato il decreto attuativo sulla valorizzazione della situazione economica del solo assistito, dall’altro è stato invece adottato l’atto di indirizzo sulle prestazioni sociosanitarie, che anche a proposito dei disabili gravi stabilisce il principio della compartecipazione rinviando ai criteri regionali e comunali. Questa asimmetria impone di trovare soluzioni operative che contemperino tutti gli interessi coinvolti, in primo luogo la tutela dei soggetti fragili (anche economicamente) e delle famiglie che li sostengono, ma subito dopo le esigenze di finanza pubblica, imprescindibili per assicurare la continuità del servizio nel lungo periodo. In questa prospettiva, garantendo soglie di esenzione individuate secondo criteri di ragionevolezza, il riferimento alla situazione economica del nucleo familiare appare ammissibile (anche se non obbligatorio);

(j) prima di procedere all’esame della soluzione individuata dai Comuni della Provincia di Bergamo nel caso concreto occorre precisare che il coinvolgimento delle famiglie non può avvenire attraverso la surrogazione dei gestori delle strutture sociosanitarie nei diritti alimentari di cui gli assistiti sono titolari ai sensi degli art. 433 e 438 c.c. nei confronti dei familiari. In effetti l’obbligazione agli alimenti ha natura strettamente personale è può essere fatta valere unicamente dal suo titolare. D’altra parte l’art. 2 comma 6 del Dlgs. 109/1998 esclude espressamente che i gestori subentrino nella facoltà di cui all’art. 438 comma 1 c.c. nei confronti del nucleo familiare dell’assistito. Per le situazioni pregresse si potrebbe quindi ipotizzare soltanto il rimedio generalissimo dell’azione di arricchimento (o di mancato depauperamento), peraltro resa complessa dalla difficoltà di individuare retrospettivamente la misura dell’indennizzo dovuto. Il caso in esame è invece caratterizzato dalla stipulazione di un contratto direttamente tra il CDD e uno dei familiari dell’assistito ("familiare di riferimento"). Si tratta di un contratto a favore di terzi ex art. 1411 c.c., nel quale i familiari sono gli effettivi debitori del corrispettivo pattuito. Il problema non è quindi il coinvolgimento dei familiari, che è automatico con la stipulazione del contratto in forma scritta o per fatti concludenti, ma la misura del corrispettivo che può essere chiesto per le prestazioni erogate al soggetto che beneficia del suddetto accordo;

(k) questo ci riporta alla questione della situazione economica di riferimento. I disabili gravi ricevono alcuni aiuti pubblici di natura assistenziale (indennità di accompagnamento, pensione di inabilità) che alleviano ma certamente, nella maggior parte dei casi, non compensano l’onere economico gravante sulle famiglie. I componenti del nucleo familiare che si prendono cura di un congiunto affetto da disabilità grave sono quindi esposti al rischio di impoverimento. Se, come normalmente accade, la situazione economica del disabile grave è minima o insignificante, l’esame può essere spostato sulla situazione economica dei familiari (i genitori e successivamente i congiunti che assumono la posizione di familiare di riferimento nei confronti del gestore della struttura sociosanitaria). L’ISEE del nucleo familiare serve appunto a verificare in quale misura i benefici assistenziali possano essere destinati al pagamento delle rette. Se risulta evidente che la privazione anche di una piccola parte di tali provvidenze ha effetto destabilizzante dovrà essere garantita una franchigia totale. Diversamente, l’importo della retta dovrà essere proporzionato alla capacità economica riscontrata;

(l) peraltro non sembra possibile l’incameramento dell’intero importo dei benefici assistenziali. Una quota non irrilevante deve infatti rimanere al disabile, in analogia con quanto previsto in via di principio dall’art. 24 comma 1 lett. g) della legge 328/2000, essendo la disponibilità di mezzi economici uno strumento che favorisce l’inserimento sociale e la valorizzazione della soggettività dell’individuo rispetto al contesto familiare. Con riguardo alle strutture semiresidenziali occorre poi sottolineare che il disabile rimane comunque per la maggior parte del tempo all’interno del proprio nucleo familiare, e dunque è ragionevole che una frazione delle risorse derivanti dai benefici assistenziali sia destinata ad alleviare i costi sopportati dalla famiglia;

(m) nel caso concreto, come emerge dai lavori preparatori (v. sopra al punto 6), l’importo della retta a carico dei familiari è stato pensato come una percentuale dell’indennità di accompagnamento. Questa impostazione, che è una delle varie possibili, è senz’altro legittima, specie se si considera il carattere semiresidenziale dei CDD, ma è stata implementata in modo parziale e insoddisfacente. Vi sono in particolare le seguenti lacune: (1) la retta è uguale per tutti, con irragionevole equiparazione della situazione economica delle famiglie; (2) non è stato utilizzato il metodo ISEE per stabilire la suddetta situazione economica; (3) non è stata fissata la soglia di esenzione e non sono state definite le classi di compartecipazione in base alla situazione economica familiare; (4) non è stata stabilita la percentuale massima dell’indennità di accompagnamento che può essere chiesta per il pagamento della retta;

(n) le suddette lacune non sono compensate dal fatto che nel complesso la quota di compartecipazione chiesta alle famiglie è solo il 18,54% dell’onere totale (ripartito per il resto tra i Comuni di appartenenza e l’Ambito Territoriale). Occorre infatti distinguere l’astrazione statistica dall’onere che in concreto ricade sulle singole famiglie;

(o) sul piano statistico il peso complessivo della quota di compartecipazione gravante sulle famiglie non appare sproporzionato rispetto ai parametri di riparto contenuti nel DPCM 14 febbraio 2001 e nel DPCM 29 novembre 2001 (70% a carico del fondo sanitario regionale, 30% a carico di Comuni e utenti). È vero che su un costo medio giornaliero di Euro 104 la tariffa regionale copre solo Euro 50,20 (ossia il 48,26%) ma dei restanti Euro 53,80 le famiglie sono tenute a versare circa Euro 10, dunque una quota che rimane all’interno del 30% dell’importo complessivo. Sono invece i Comuni e gli Ambiti Territoriali ad assumersi la parte principale della spesa non coperta dalla Regione. Se il costo medio giornaliero dovesse continuare ad aumentare (come è probabile, visto che riflette i costi reali della gestione) con una progressione superiore a quella dell’incremento delle tariffe regionali, si porrà a un certo punto il problema del rispetto degli atti di indirizzo per l’eccessivo onere economico spostato a carico delle famiglie (oltre che naturalmente per lo squilibrio che si verrebbe a creare tra Comuni e Regione). Nel presente ricorso peraltro questi problemi non assumono ancora un rilievo decisivo;

(p) l’ospitalità presso i CDD è resa possibile attraverso il servizio di trasporto. Solo in casi particolari le famiglie sono in condizione di provvedere direttamente al trasporto con la frequenza necessaria e adattandosi agli orari di apertura, e inoltre è ragionevole che la dislocazione geografica delle famiglie non diventi una fonte di disparità di trattamento. Ne consegue che il trasporto è da considerare parte integrante dell’offerta sociosanitaria. In questo senso si è espresso del resto anche il gruppo paritetico incaricato dei lavori preparatori nelle riunioni del 16 e 19 ottobre 2009, e coerentemente l’accordo del 21 gennaio 2010 ha espresso l’auspicio che sia il gestore del CDD a organizzare il trasporto, anche se non si tratta per il momento di un requisito indispensabile ai fini dell’accreditamento;

(q) i ricorrenti sostengono che il servizio di trasporto relativo ai CDD sarebbe equiparabile a quello scolastico, e dunque i Comuni e la Provincia dovrebbero garantirne lo svolgimento gratuito a favore dei disabili gravi. La tesi presuppone da un lato che esista per i Comuni e la Provincia l’obbligo di organizzare e finanziare il trasporto scolastico gratuito degli studenti disabili (in questo senso v. TAR Brescia Sez. II 13 luglio 2011 n. 1046) e dall’altro che le prestazioni erogate dai CDD siano assimilabili all’attività scolastica. In base alle direttive poste dalla DGR n. 7/18334 del 23 luglio 2004 queste strutture hanno in effetti anche una componente riabilitativa e formativa, tuttavia nel caso in esame non sembra necessario stabilire una piena equivalenza con gli istituti scolastici, in quanto il trasporto è curato dal gestore del CDD e il relativo costo non può assumere un ruolo autonomo;

(r) si osserva in proposito che il trasporto è una delle spese che contribuiscono a determinare il costo medio su cui si applica la compartecipazione. Nel costo medio tutte le voci si confondono, e quindi non è possibile stabilire se le famiglie paghino il trasporto o il personale o un’altra spesa. D’altra parte, poiché i Comuni e gli Ambiti Territoriali assumono a proprio carico la parte prevalente dell’onere al netto della tariffa regionale, e poiché il contributo di questi enti è ampiamente superiore al costo del trasporto, si può anche sostenere in via teorica che il trasporto è gratuito per le famiglie e che la compartecipazione di queste ultime si applica alla restante parte del costo medio. Tuttavia un simile argomento non evidenzierebbe il punto fondamentale, ossia che esiste un margine di discrezionalità nella predisposizione del meccanismo di compartecipazione: dunque la garanzia che le famiglie non siano costrette a sopportare oneri eccessivi non passa per l’espunzione di alcune voci dalla base di calcolo (che potrebbe essere facilmente bilanciata dall’aumento della percentuale applicata sulla parte restante) ma richiede l’accertamento della situazione economica dei singoli nuclei familiari, come si è visto sopra;

(s) nello specifico il costo del trasporto ha assunto importanza solo perché il gestore del CDD ha offerto alle famiglie la possibilità di scegliere tra l’opzione a pagamento (comprensiva del trasporto) e l’opzione gratuita (senza trasporto). Si tratta però di un’alternativa scorretta, in quanto discrimina le famiglie sulla base di criteri impropri (la possibilità di trasportare i familiari disabili, la maggiore o minore vicinanza alla struttura) che non hanno alcuna connessione con la situazione economica e dunque non intervengono a favore delle situazioni di maggiore bisogno;

(t) poiché la sospensione del servizio di trasporto equivale alla perdita della possibilità di frequentare il CDD, ovvero crea un aggravio significativo a famiglie che già sono costrette ad affrontare ordinariamente un carico particolare di difficoltà, sussiste il presupposto oggettivo per la condanna al risarcimento del danno esistenziale (sui diritti fondamentali incisi da comportamenti che negano il servizio di trasporto ai disabili v. ancora TAR Brescia Sez. II 13 luglio 2011 n. 1046). L’illegittimità dell’impostazione seguita dal gestore del CDD nella predisposizione dello schema di contratto e parimenti la susseguente sospensione del servizio di trasporto hanno provocato un danno ingiusto ai ricorrenti indicati sopra al punto 11. La responsabilità ricade anche sui Comuni di appartenenza dei ricorrenti (Martinengo, Calcio, Covo, Cortenuova, ciascuno in relazione al ricorrente su cui ha competenza), in quanto non sono intervenuti per far ripristinare il servizio. Poiché la domanda di risarcimento è formulata solo nei confronti dei suddetti Comuni, la condanna riguarda unicamente e singolarmente questi enti. L’importo dovuto è liquidato in via equitativa in Euro 1.500 per ogni ricorrente. Per il pagamento è fissato il termine di 30 giorni dalla comunicazione della presente sentenza. Dopo tale data, in caso di ritardo, sono dovuti gli interessi legali;

(u) infine occorre sottolineare la fondatezza della censura relativa alla mancanza di un confronto effettivo con le famiglie dei disabili. È vero che ai lavori preparatori ha partecipato il Coordinamento Bergamasco per l’Integrazione (v. sopra al punto 5) ma l’importanza della materia e delle conseguenze economiche per le famiglie avrebbe imposto di estendere i contatti anche ad altre organizzazioni rappresentative degli interessi dei disabili, nonché a soggetti delegati dai comitati di familiari dei disabili ospitati nei CDD. L’unico confronto documentato è invece avvenuto il 25 febbraio 2010 in coda alla riunione dell’assemblea dei sindaci dell’Ambito Territoriale n. 14, dopo che l’accordo del 21 gennaio 2010 era ormai stato recepito (v. sopra al punto 8). L’importanza del confronto con le famiglie dei disabili e con la pluralità delle organizzazioni che ne difendono i diritti non è solo procedimentale. Poiché ormai l’ammissione alle strutture sociosanitarie è generalmente subordinata alla stipulazione da parte delle famiglie di un contratto con cui vengono accettate le condizioni economiche dell’ospitalità, si pone il problema della validità di accordi nei quali una parte (la famiglia del disabile) è significativamente più debole e quindi disposta ad accettare per necessità anche clausole penalizzanti. È vero che poi i Comuni nei regolamenti sull’erogazione delle prestazioni sociali agevolate possono prevedere dei rimborsi, ma non è scontato che siano sempre rimborsi sufficienti, e comunque se l’importo della retta a carico delle famiglie è stabilito direttamente negli accordi provinciali è evidentemente a questo livello che deve svolgersi il confronto più ampio possibile tra tutti i soggetti interessati (gestori, enti pubblici, famiglie dei disabili). La concertazione provinciale diventa un reale elemento di riequilibrio se a tutti questi soggetti è data la possibilità di incidere effettivamente sul contenuto delle condizioni di ospitalità poi riversate nei singoli contratti.

15. In conclusione il ricorso deve essere accolto con il conseguente annullamento degli atti impugnati e la condanna al risarcimento nei modi e negli importi dettagliati sopra al punto 14(t). Le spese di giudizio seguono la soccombenza e possono essere liquidate complessivamente in Euro 4.500 oltre agli oneri di legge. Poiché il contenzioso riguarda principalmente il contenuto e l’impostazione dell’accordo del 21 gennaio 2010 le spese di giudizio sono poste a carico del Consiglio di Rappresentanza dei sindaci della Provincia di Bergamo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso e conseguentemente dispone l’annullamento degli atti impugnati e il risarcimento del danno come precisato in motivazione.

Condanna il Consiglio di Rappresentanza dei sindaci della Provincia di Bergamo a versare alla parte ricorrente, a titolo di spese di giudizio, l’importo complessivo di Euro 4.500 oltre agli oneri di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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