Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 11-07-2011) 29-09-2011, n. 35563

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Venezia dichiarava inammissibile l’appello dell’imputato L.K. e confermava la sentenza del Tribunale della stessa città, che lo aveva dichiarato responsabile del reato di detenzione illecita di grammi 47 di cocaina, condannandolo alla pena di giustizia.

La Corte di appello riteneva inammissibile l’appello presentato personalmente dall’imputato, in quanto non corredato dei motivi di gravame della cui presentazione si era riservato.

Respingeva, inoltre, l’istanza di rimessione nel termine per formulare i motivi, a motivo dell’omessa traduzione della sentenza di primo grado, rilevando che, nel corso del giudizio di primo grado, nessun problema di comprensione della lingua italiana era stata sollevata dall’imputato o dalla difesa e che neppure nella dichiarazione di impugnazione, redatta in lingua italiana corretta, era stato dato atto della necessità dell’assistenza di un interprete.

2. Avverso la suddetta sentenza, ricorre per cassazione l’imputato, chiedendone l’annullamento per violazione di legge. Deduce la mancata traduzione della sentenza di primo grado, sostenendo di non avere una conoscenza essenziale e sufficiente della lingua italiana, dimostrata dall’assistenza di un interprete per il grado di appello.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile, perchè manifestamente infondato.

2. Deve ribadirsi preliminarmente che, poichè l’efficacia operativa dell’art. 143 c.p.p. è subordinata all’accertamento dell’ignoranza della lingua italiana da parte dell’imputato, qualora l’imputato straniero mostri, in qualsiasi maniera, di rendersi conto del significato degli atti compiuti con il suo intervento o a lui indirizzati e non rimanga completamente inerte ma, al contrario, assuma personalmente iniziative rivelatrici della sua capacità di difendersi adeguatamente, al giudice non incombe l’obbligo di provvedere alla nomina dell’interprete, non essendo del resto rinvenibile nell’ordinamento processuale un principio generale da cui discenda il diritto indiscriminato dello straniero, in quanto tale, a giovarsi di tale assistenza (Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216258).

Nel caso in esame, il Giudice di appello ha ritenuto che l’imputato non ignorasse la lingua italiana sulla base di elementi concreti emergenti dal suo stesso comportamento processuale e non contestati dalla difesa. Si tratta, com’è evidente, di un’indagine di mero fatto il cui esito, se riferito dal giudice di merito con argomentazioni esaustive e concludenti, sfugge al sindacato di legittimità. 3. In ogni caso, anche a voler tacere della ricorrenza nel caso in esame del presupposto richiesto dall’art. 143 cod. proc. pen., deve constatarsi che, secondo la giurisprudenza più recente, che questo Collegio condivide, la legge processuale non prescrive che la sentenza sia tradotta nella lingua nota all’imputato alloglotta che non conosca la lingua italiana, il quale può esercitare il suo diritto di impugnazione attraverso la traduzione del dispositivo e della motivazione, a proprie spese o senza oneri personali (quando sussistano i presupposti del patrocinio a spese dello Stato) (tra le tante, Sez. 2, n. 34830 del 07/05/2008, Margel, Rv. 241106; Sez. 6, n. 38639 del 30/09/2009, Pantovic, Rv. 245314; Sez. 2, n. 11311 del 17/12/2010, dep. 22/03/2011, Ticu, Rv’ 249948).

Come ha stabilito, in tema di garanzie fondamentali dell’equo processo, la Corte Europea per i diritti dell’uomo, l’art. 6 Cedu, che sancisce il diritto all’assistenza di un interprete, non arriva al punto di esigere che sia effettuata una traduzione scritta di tutti i documenti processuali (Corte Edu, Grande camera, 18/10/2006, Hermi c. Italia, 70; Corte Edu, 11/01/2011, Hacioglu c. Romania, 90, nella quale la Corte ha ritenuto infondato il ricorso che lamentava la mancata traduzione della sentenza, rilevando che nessuna richiesta di ottenerne la traduzione era stata fatta dall’imputato all’autorità giudiziaria).

4. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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