T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 21-10-2011, n. 1447

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Comune ricorrente impugna l’atto regionale di approvazione del Piano cave della Provincia di Bergamo.

Riferisce in punto di fatto che, nel corso dell’iter di approvazione del Piano:

– la Provincia di Bergamo elaborava la proposta prevedendo, nell’ATE g8 in località Cascina Berlona Nuova, l’estensione da 44,10 a 45,10 ettari e 2.000.000 di mc. di produzione prevista e 400.000 mc. come riserve residue, con una profondità massima di escavazione in falda (per l’intera superficie dell’ambito) di 40 metri dal piano di campagna;

– il Comune ricorrente formulava parere contrario, chiedendo di ridurre la profondità di scavo a 10 metri per problemi di carattere ambientale (falda affiorante, deviazione andamento acquifero, collegamento acquifero inquinato) già registrati in un Comune vicino la cui falda era stata contaminata da cromo esavalente;

– il Comitato per la Tutela dell’Ambiente Trevigliese esprimeva proprie critiche, mentre le controinteressate a loro volta avanzavano istanze per un’estensione della produzione annua con ampliamento dell’ambito e riduzione della fascia di rispetto ferroviario e stradale;

– la Provincia di Bergamo adottava il Piano e fissava la profondità di scavo a 40 metri, evidenziando che la falda non era mai stata coinvolta da fenomeni di inquinamento e che la sua qualità viene semestralmente monitorata; l’amministrazione ha anche disatteso le proposte incrementali elaborate dalle controinteressate;

– la Giunta regionale – con D.G.R. 22/12/2005 n. 1547 – riformulava la previsione con l’accoglimento di alcune osservazioni di E.C. Srl, e la scheda relativa all’ATE dava conto dell’ampliamento "… tramite l’inserimento dei terreni compresi tra la strada statale n. 42 e l’attuale limite nord orientale dell’ATE, come indicato nell’osservazione della ditta…";

– gli organi tecnici rendevano i loro pareri, e in data 13/12/2005 l’autorità competente in materia paesaggistica (doc. 16 ricorrente) rilevava tra l’altro che "…per quanto riguarda i nuovi ambiti di escavazione di sabbia e ghiaia localizzati nella pianura, si ritiene che le operazioni di cava non debbano interessare in alcun modo la falda, al fine di evitare possibilità d’inquinamento e soprattutto l’ulteriore formazione di nuovi specchi d’acqua (vedi ATE g38)";

– il Comune rimarcava per iscritto e in sede di audizione la sua posizione contraria per il forte impatto ambientale, ed anche le Associazioni ambientaliste manifestavano la loro opposizione; peraltro con nota 18/1/2007 (doc. 9) il Comune segnalava che da una verifica compiuta da E.C. nell’ambito del programma di monitoraggio era emerso un parametro superiore al limite normativo, ossia proprio il cromo esavalente;

– la VI Commissione consiliare competente manifestava il suo consenso alla proposta della Giunta, con la previsione ulteriore di un ampliamento areale a nord per la collocazione degli impianti di escavazione;

– il Consiglio regionale manteneva la previsione quantitativa per riserve e produzione nel decennio stabilita dalla Provincia (2.400.000 mc. per riserve ed altrettanti per produzione prevista nel decennio), confermava i 100 metri di fascia di rispetto dalla strada statale n. 42 ed i 70 metri dalla ferrovia e riduceva parzialmente la porzione di area a nord per l’ubicazione degli impianti.

Parte ricorrente introduce i seguenti motivi di diritto:

a) Violazione dei principi dettati dalla direttiva 2001/42/CE in materia di valutazione ambientale strategica, poiché questa doveva essere effettuata obbligatoriamente e con riferimento all’intero Piano;

b) Violazione e falsa applicazione degli artt. 5, 6, 7 e 8 della L.r. 14/98, eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, dato che nel procedimento pianificatorio il cavatore ha interloquito in maniera costante con gli organi regionali (come avviene fisiologicamente nel differente iter autorizzatorio), con eccessiva prevalenza del suo interesse privato ed evanescenza dell’interesse pubblico;

c) Eccesso di potere per difetto di istruttoria, di motivazione e ponderazione e per contraddittorietà, dato che l’estensione a tutta la superficie della possibilità di scavo in falda a 40 metri è stata accordata senza un’adeguata valutazione dell’incidenza della scelta sotto i profili ambientale e sanitario.

Si sono costituiti in giudizio la Regione Lombardia e le controinteressate, chiedendo la reiezione del gravame.

Alla pubblica udienza del 5/10/2011 il ricorso introduttivo è stato chiamato per la discussione e trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

La ricorrente censura la deliberazione del Consiglio regionale in data 14/5/2008 n. VIII/0619, di approvazione del nuovo Piano Cave della Provincia di Bergamo.

1. Preliminarmente deve darsi atto della permanenza dell’interesse alla decisione della presente causa, malgrado la sentenza di questa Sezione n. 1607 del 22/4/2010 – passata in giudicato – abbia statuito la caducazione dell’intero Piano cave della Provincia di Bergamo.

In proposito si rinvia al paragrafo 1.1 della sentenza di questo Tribunale 4/11/2010 n. 4558, seppur appellata al Consiglio di Stato, e si sottolinea che il Comune ricorrente mantiene l’interesse ad una pronuncia che si diffonda sul rapporto giuridico controverso, e che statuisca sulla pretesa di costringere l’amministrazione regionale (e provinciale) ad esprimersi nuovamente – nell’osservanza delle statuizioni racchiuse nella motivazione – in sede di riedizione della propria potestà discrezionale in materia pianificatoria.

2. Con il primo motivo il Comune di Treviglio lamenta la violazione dei principi dettati dalla direttiva 2001/42/CE in materia di valutazione ambientale strategica (VAS), poiché questa doveva essere compiuta inderogabilmente e con riguardo all’intero Piano. Sostiene l’Ente locale che la norma comunitaria è stata recepita nel nostro ordinamento con il D. Lgs. 152/2006 e riguarda tutti i piani e programmi per il settore industriale e della pianificazione territoriale (i quali definiscono il quadro per l’approvazione o l’autorizzazione di progetti), e tra essi sono comprese le cave con superficie superiore a 25 ettari (come nel caso dell’ATE g8); osserva l’amministrazione ricorrente che:

o la deliberazione del Consiglio regionale 13/3/2007 prevede la VAS per i Piani Cave;

o secondo il regime transitorio regolato dall’art. 13 punto 3 della direttiva, la VAS è dovuta sui Piani il cui primo atto di impulso formale è successivo al 21/7/2004;

o la medesima disposizione esige la VAS sui Piani avviati (come nel caso di specie) in epoca precedente al 21/7/2004 per i quali l’approvazione finale non interviene entro 24 mesi da quella data (in buona sostanza quando la procedura di protrae oltre il 21/7/2006).

La Regione Lombardia e i controinteressati invocano i precedenti di questa Sezione ed in particolare le sentenze della sez. I n. 893/2009 e n. 618/2010. La Regione aggiunge altresì che l’art. 3 paragrafo 3 della direttiva disciplina i Piani aventi ad oggetto una porzione limitata e locale, come quello di cui si discorre, i quali sono sottoposti a VAS soltanto se gli Stati membri ritengono che possano avere effetti significativi sull’ambiente, e l’Italia non si è pronunciata in questo senso con determinazione espressa; puntualizza altresì che l’art. 11 paragrafo 3 prescrive la VAS durante la fase preparatoria del Piano, mentre il D. Lgs. 152/2006 è entrato in vigore quando lo stadio iniziale era da tempo esaurito, potendosi far coincidere detta soglia temporale con l’approvazione del Piano da parte della Giunta regionale (avvenuta il 22/12/2005).

Detto ordine di idee non può essere condiviso.

2.1 Osserva anzitutto il Collegio che la sentenza di questo Tribunale 4/5/2009 n. 893 è stata annullata dal Consiglio di Stato per lesione del principio del contraddittorio, con rinvio della causa al giudice di primo grado. La seconda pronuncia (n. 618 in data 8/2/2010) è stata appellata.

Non è condivisibile la posizione espressa da E.C. nella memoria del 27/7/2011 nella parte in cui ravvisa il sopravvenuto difetto di interesse all’esame della censura, sia per la mancata formazione di un giudicato, sia perché in ogni caso la pronuncia n. 618/2010 – pur recando l’annullamento di un atto generale (ad efficacia inscindibile e riferito ad una pluralità di soggetti) – è idonea a "fare stato" nei confronti di tutti i consociati soltanto con riguardo all’eliminazione di un’entità obiettiva (cioè il provvedimento) dalla realtà materiale, ma non è suscettibile di imporsi erga omnes per le singole statuizioni tecnicogiuridiche, potendo valere come autorevole ausilio per il giudice in cause analoghe. Nella sua parte ordinatoriaprescrittiva, statuente limiti e vincoli per la successiva azione amministrativa, la pronuncia si atteggia come tipicamente inerente al rapporto giuridico dedotto in giudizio, con conseguente applicabilità del canone proprio delle pronunce giurisdizionali civili secondo cui il giudicato fa stato unicamente fra le parti, i loro eredi ed aventi causa ( art. 2909 c.c.). In questo senso l’effetto ripristinatorio segue la sorte dell’effetto conformativo – di guida della condotta successiva (e corretta) dell’amministrazione – che non può valere nei confronti della collettività intera in conformità al principio generale sui limiti soggettivi del giudicato (nella specie neppure formatosi).

Le sentenze richiamate fondano il proprio assunto sugli artt. 3, 4 paragrafo 2 e 13 paragrafo 1 della direttiva, dai quali si desumerebbe la non immediata applicabilità della medesima all’interno degli Stati membri.

Il Collegio ritiene di disattendere tale percorso interprettivo in virtù delle considerazioni che seguono.

2.2 L’art. 3 paragrafo 2 della direttiva statuisce che "Fatto salvo il paragrafo 3, viene effettuata una valutazione ambientale per tutti i piani e i programmi" i quali (lett. a) "… sono elaborati per i settori agricolo, forestale, della pesca, energetico, industriale, dei trasporti, della gestione dei rifiuti e delle acque, delle telecomunicazioni, turistico, della pianificazione territoriale o della destinazione dei suoli, e che definiscono il quadro di riferimento per l’autorizzazione dei progetti elencati negli allegati I e II della direttiva 85/337/CEE’. L’allegato I della predetta direttiva 85/337/CE contempla, al punto 19, "Cave e attività minerarie a cielo aperto, con superficie del sito superiore a 25 ettari, oppure torbiere, con superficie del sito superiore a 150 ettari".

L’ATE di cui si discorre rientrerebbe in astratto nel raggio di operatività della norma, poiché la sua estensione supera i 40 ettari. Peraltro parte ricorrente osserva che la VAS avrebbe dovuto essere effettuata per l’intero Piano cave, che interessa aree di ampiezza nettamente superiore. Questo rilievo consente di escludere l’applicazione del paragrafo 3 – nella parte in cui prevede la VAS soltanto previa indagine dello Stato membro sulla possibile incidenza dell’intervento sull’ambiente – che si riferisce a piani e programmi "che determinano l’uso di piccole aree a livello locale": la vastità di un Piano cave di un’intera Provincia – che contempla (cfr. proposta della Commissione del 30/7/2007 – doc. 18 ricorrente) oltre 40 ambiti per sabbia e ghiaia, 8 per argilla, 22 per calcari e dolomie, 27 per cave ornamentali e pietrisco oltre alle cave di recupero – conduce ex se ad escludere la sua sussunzione tra le aree di esigue dimensioni, raggiungendo un’estensione complessiva consistente (le superfici totali coinvolte superano i 1.000 ettari) ed interferendo con un territorio (la Provincia di Bergamo appunto) di oltre 2.700 Kmq.

E’ appena il caso di osservare, poi, che la deliberazione del Consiglio regionale 13/3/2007 – recante gli indirizzi generali sui Piani cave – specifica al punto 4.6 che "Per i Piani e programmi che determinano l’uso di piccole aree di livello locale e le modifiche minori,… si procede alla verifica di esclusione… al fine di stabilire se possono avere effetti significativi sull’ambiente". Dunque anche per gli interventi territorialmente limitati (e non è come già visto questo il caso) è comunque prevista un’indagine preventiva che statuisca sulla necessità della VAS.

2.3 L’art. 13 della direttiva, recante le norme transitorie, statuisce anzitutto che "Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva prima del 21 luglio 2004" (paragrafo 1). Il paragrafo 3 dispone che l’obbligo di VAS si applica "ai piani e ai programmi il cui primo atto preparatorio formale è successivo alla data di cui al paragrafo 1 (ossia al 21/7/2004)" mentre "I piani e i programmi il cui primo atto preparatorio formale è precedente a tale data e che sono stati approvati o sottoposti all’iter legislativo più di ventiquattro mesi dopo la stessa data sono soggetti all’obbligo di cui all’articolo 4, paragrafo 1, a meno che gli Stati membri decidano caso per caso che ciò non è possibile, informando il pubblico di tale decisione".

E’ pacifico che il Piano cave della Provincia di Bergamo rientra nella seconda ipotesi delineata, in quanto il primo atto di impulso risale al 2003 e tuttavia l’approvazione finale ha avuto luogo ben oltre il termine di 24 mesi calcolati dal 21/7/2004. Con riferimento all’ultimo periodo della norma, non risulta che lo Stato o la Regione siano intervenuti per evitare motivatamente la sua applicazione. In senso opposto si è pronunciato il T.A.R. Veneto, sez. II – 3/12/2010 n. 6324, ma ciò è avvenuto alla luce della Deliberazione n. 2988/04 con la quale la Giunta regionale del Veneto ha adottato i primi indirizzi operativi per la V.A.S. di piani e programmi di competenza regionale stabilendo che, se il primo atto preparatorio formale fosse stato adottato prima del 21 luglio 2004, gli stessi piani e programmi avrebbero dovuto essere sottoposti a VAS "qualora si preveda ragionevolmente che la loro approvazione intervenga dopo il 21 luglio 2006, salva l’ipotesi in cui il procedimento sia ad uno stadio avanzato tale da rendere impossibile l’espletamento della VAS", proprio come consentito dall’art. 13 paragrafo 3 della direttiva 2001/42/CE. Non risulta viceversa che la Regione Lombardia abbia adottato una norma di tenore identico o similare.

2.4 Peraltro anche la prospettata necessità di disposizioni attuative si può ritenere superata. L’atto di approvazione definitiva del Piano è del 14/5/2008, mentre il Consiglio Regionale aveva approvato gli indirizzi generali per la V.A.S. con deliberazione 13/3/2007 n. VIII/351, e con successiva deliberazione giuntale 27/12/2007 n. 8/6420 era stata disciplinata nel dettaglio la procedura. Lo Stato italiano ha dato compiuta attuazione alla direttiva 2001/42/CE con il D. Lgs. 16/1/2008 n. 4 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 29/1/2008), in epoca successiva alla regolamentazione regionale appena richiamata (cfr. T.A.R. Lombardia Milano, sez. II – 17/5/2010 n. 1526). Di ciò era evidentemente consapevole il legislatore nazionale il quale, all’art. 35 comma 2ter del D. Lgs. 4/2008 sanciva che "Le procedure di VAS e di VIA avviate precedentemente all’entrata in vigore del presente decreto sono concluse ai sensi delle norme vigenti al momento dell’avvio del procedimento".

All’art. 11 del D. Lgs. 4/2008 è prevista la modalità di svolgimento della VAS, mentre la deliberazione del Consiglio regionale 13/3/2007 indica all’allegato A i Piani cave provinciali tra i Piani e programmi rilevanti ai fini della valutazione predetta: in particolare ai punti 5, 6 e 7 della deliberazione è regolata la sequenza delle fasi del processo ed il rispettivo contenuto. L’allegato 1/h alla D.G.R. 27/12/2007 contempla infine il modello metodologico procedurale ed operativo di VAS per il Piano cave provinciale. Si può quindi affermare che in Regione Lombardia, al momento dell’approvazione definitiva del Piano cave il procedimento di VAS era già da tempo regolato nel suo svolgimento, senza che l’autorità pubblica si sia avvalsa della facoltà prevista dall’art. 13 paragrafo 3 della direttiva.

2.5 Non può essere invocato l’art. 11 comma 3 del D. Lgs. 152/2006 (nel testo in vigore nel 2008) per escludere la procedura di VAS in ragione dello stato di avanzamento della pianificazione. Oltre al chiaro dato letterale dell’art. 13 paragrafo 3 della direttiva (già illustrato al precedente paragrafo 2.3 dell’esposizione in diritto), la stessa disposizione invocata dalla Regione, nel testo per tempo vigente, statuisce che "La fase di valutazione è effettuata durante la fase preparatoria del piano o del programma ed anteriormente alla sua approvazione o all’avvio della relativa procedura legislativa". In coerenza con le disposizioni comunitarie la locuzione "fase preparatoria" deve intendersi correlata al complesso delle attività di impulso ed istruttorie, che hanno caratterizzato il Piano cave fino al segmento procedurale anteriore alla sua approvazione, tanto che è stato oggetto di modifiche ed aggiustamenti (anche sensibili) persino nel passaggio tra VI Commissione e Consiglio regionale.

In conclusione la censura è fondata e merita accoglimento, poiché il Piano cave avrebbe dovuto essere sottoposto a VAS prima della sua approvazione definitiva.

3. Con ulteriore censura parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 5, 6, 7 e 8 della L.r. 14/98 e l’eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, dato che nel procedimento pianificatorio il cavatore ha interloquito in maniera costante con gli organi regionali (come avviene fisiologicamente nel corso del’iter autorizzatorio), con eccessiva prevalenza del suo interesse privato ed evanescenza dell’interesse pubblico. Ad avviso del Comune la VI Commissione ha riaperto la trattativa con i cavatori ammettendo modifiche su loro richiesta diretta e senza coinvolgere nuovamente la Provincia: il Consiglio regionale può apportare modifiche al Piano ma il potere di proposta appartiene alla Provincia e non ai privati interessati, che hanno assunto iniziative affidate dall’ordinamento ad altri soggetti istituzionali (Provincia e Giunta regionale appunto).

La doglianza è priva di pregio.

3.1 L’acquisizione di proposte nel corso del lungo iter procedimentale che precede il perfezionamento del Piano cave è funzionale alla miglior ponderazione di tutti gli interessi coinvolti. L’intervento anche a più riprese dei soggetti privati direttamente interessati dalla pianificazione (perché portatori dell’aspirazione al miglior sfruttamento delle risorse economiche disponibili) è idoneo ad offrire agli organi competenti un quadro d’insieme più ricco e completo, capace di giovare al compimento delle scelte definitive. Detta regola è consacrata all’art. 10 comma 1 lett. b) della L. 241/90, che contempla l’obbligo di valutare le memorie scritte e i documenti che i soggetti legittimati presentano all’amministrazione. In proposito la legge sul procedimento non introduce termini né prescrive di avanzare prospettazioni in un’unica soluzione, per cui l’attività istruttoria si svolge in assenza di regole rigide e formali e le sollecitazioni ed integrazioni possono anche essere formulate in più occasioni fino a quando l’iter non è ultimato. I soggetti portatori di interessi contrapposti o di tipo diverso, come il Comune ricorrente, godono delle stesse opportunità di intervento e possono altresì invocare il principio di leale collaborazione tra soggetti pubblici e privati.

3.2 Quanto all’obbligo di coinvolgere nuovamente la Provincia, è vero che questo Tribunale ha statuito (cfr. sentenza 22/4/2010 n. 1607) che il (rinnovato) coinvolgimento dell’autorità provinciale costituisce condotta dovuta in presenza di variazioni sostanziali del Piano o dell’ATE coinvolto, ma nella fattispecie le innovazioni introdotte appaiono di mero dettaglio.

Sull’ATE in questione, infatti, i volumi estrattivi riconosciuti dalla Provincia hanno trovato conferma sia presso la Giunta che presso il Consiglio regionale, il quale ha stabilito la quota di 2.400.000 mc. per riserve e lo stesso per la produzione prevista nel decennio. Nessuna variazione pertanto è intervenuta su tale parametro.

Con riguardo all’estensione dell’ATE, l’unica incisione è avvenuta sull’ampliamento a nord per la collocazione degli impianti di escavazione: premesso che i quantitativi non sono variati, complessivamente l’impresa ha ottenuto l’estensione per un’area a nord capace di ospitare l’impianto produttivo. Per il resto, anche la richiesta di deroga alle distanze ha trovato determinazioni sfavorevoli che si sono succedute (e mantenute) nel corso del procedimento.

In definitiva, nei passaggi tra i diversi Enti ed organi coinvolti – ed in particolare Provincia, Giunta regionale, VI Commissione, Consiglio comunale – non emergono stravolgimenti o mutamenti sensibili che avrebbero imposto la riedizione della procedura ed il riesame ad opera delle autorità proponenti.

4. Fondata è invece l’ultima censura di eccesso di potere per difetto di istruttoria, di motivazione e ponderazione e per contraddittorietà, dato che l’estensione a tutta la superficie della possibilità di scavo in falda a 40 metri è stata accordata senza un’adeguata valutazione dell’incidenza della scelta sotto i profili ambientale e sanitario.

4.1 Il primo rilievo avanzato dall’amministrazione comunale nei confronti della Provincia è stato da questa effettivamente affrontato. Tuttavia la vicenda del rischio di inquinamento, già di per sé meritevole di particolare attenzione, ha conosciuto un elemento nuovo illustrato dal Comune nella nota 18/1/2007 richiamata nell’esposizione in fatto. A fronte di tale fatto ulteriore (superamento del limite per il cromo esavalente in uno dei punti sottoposti a periodico controllo) è evidente che l’autorità regionale era tenuta a riesaminare compiutamente la connessione tra la profondità dello scavo ammessa ed il pericolo di contaminazione, mentre la previsione del monitoraggio semestrale è evidentemente funzionale al mantenimento di un elevato livello di attenzione, destinato a sfociare in azioni concrete (o comunque in rinnovate valutazioni) quando si registrano valori che oltrepassano la soglia fissata dalla legge.

E’ vero che i pareri e le osservazioni dei Comuni nel procedimento in questione non sono vincolanti, ma l’aspetto segnalato ha una specifica rilevanza sanitaria ed ambientale e comportava l’obbligo di un approfondimento, del quale doveva essere dato espressamente (e diffusamente) conto. A tale condotta doveva indurre anche il già richiamato parere dell’autorità competente in materia paesaggistica (doc. 16 ricorrente) rilasciato il 13/12/2005.

In conclusione il gravame è fondato e deve essere accolto nei limiti precisati.

La parziale soccombenza reciproca e le oscillazioni giurisprudenziali sulla prima questione giustificano la compensazione integrale delle spese di giudizio tra le parti in causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.

Spese compensate.

Dà atto che l’amministrazione regionale è tenuta a rifondere al Comune ricorrente le spese del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13 comma 6bis del D.P.R. 30/5/2002 n. 115.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

La presente sentenza è depositata presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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